L’80 per cento della perdita della foresta pluviale amazzonica è dovuta alla disboscazione per l’allevamento del bestiame. Ma ora che l’allevamento in Amazzonia è divenuto un affare da miliardi di dollari, alcuni compratori corporativi di manzo e cuoio, Wal-Mart incluso, stanno iniziando ad esigere che la distruzione della foresta venga fermata.
Nell’Amazzonia brasiliana, 80 milioni di unità di bestiame – quasi tanto quanti ne esistono in tutti gli Stati Uniti d’America – pascolano su terreni che prima erano foresta pluviale o su un tipo di prateria boscosa e biologicamente ricca chiamata “cerrado”. Un’area più estesa della Francia è stata allocata al bestiame, rendendo l’allevamento di gran lunga il movente maggiore di disboscamento della foresta amazzonica in Brasile, responsabile di più di tre quarti della perdita della foresta.
Mato Grosso. Photo by Rhett Butler.
Sono anni che i gruppi ambientalisti avvertono che la produzione di bestiame sta inghiottendo pezzi enormi della foresta pluviale più grande del mondo, ma le loro campagne non hanno avuto nessun percepibile effetto sulla deforestazione. Il livello di disboscamento rimane ostinatamente alto e allo stesso tempo la produzione di bestiame ha continuato ad espandersi, permettendo così a questa industria di diventare una valanga economica e politica apparentemente irrefrenabile.
Ma con il rivolgersi a società conglomerate che forniscono il mercato internazionale, seguendo la tendenza degli ultimi 20 anni che ha portato aziende industriali a sostituire agricoltori poveri come agenti primari della deforestazione, i produttori si sono esposti alla critica dei consumatori. Per un gruppo ambientalista è difficile puntare il dito contro un agricoltore di sussistenza che disbosca terreni per sfamare la propria famiglia; è molto più facile puntarlo contro un’impresa multinazionale. Quindi, paradossalmente, la forza dell’industria multimiliardaria dell’allevamento brasiliano è diventata anche il suo tallone d’Achille.
In giugno Greenpeace ha approffittato di questa vulnerabilità. Il gruppo verde ha pubblicato “Il macello dell’Amazzonia”, un rapporto che collega imprese globali illustri (inclusi Wal-Mart, Nike e Carrefour, la catena di supermercati con base francese) ad attività di allevamento che stanno disboscando l’Amazzonia illegalmente. L’impatto è stato immediato e sostanziale e ora alcuni agenti importanti si stanno dando da fare per approfittare dell’impeto del rapporto ed ingaggiare giganti del dettaglio a comprare manzo e pellame amazzonici con origini più sostenibili.
Mato Grosso. Photo by Rhett Butler.
Coloro che cercano di rallentare la deforestazione dell’Amazzonia brasiliana devono affrontare degli ostacoli enormi in una regione dove l’illegalità, l’intimidazione e la violenza l’hanno spesso fatta da padroni. Tuttavia, la pubblicazione del rapporto di Greenpeace ha dato un improvviso impulso alla domanda di manzo e pellame di origine controllata, con i maggiori acquirenti mondiali ora interessati a creare una supply chain attraverso la quale carne e pelli possano essere identificati come provenienti da allevamenti che abbiano smesso di radere al suolo la foresta e usino dei metodi soddisfacenti dal lato ecologico. Alcuni allevatori, imprese e gruppi di tutela dell’ambiente stanno considerando l’uso di tecniche sofisticate, come l’utilizzo della fotografia satellitare e l’impianto di minuscole targhette di identificazione nel bestiame, per creare un solido sistema di controllo d’origine.
Il rapporto di Greenpeace, basato su un’indagine durata tre anni, sostiene che il governo brasiliano ha investito 2.65 miliardi di dollari in tre maggiori imprese di lavorazione di carne di manzo e di pellame che sono stati contributori chiave nella spinta alla deforestazione. Greenpeace ha identificato una moltitudine di ditte internazionali titolari di marche famose che commerciano con queste tre imprese, tra le quali i produttori di calzature Nike, Adidas, Reebok e Timberland. Il rapporto evidenzia l’entità della gamma dei prodotti di consumo, dagli hamburger dei supermercati alle scarpe Nike Airs, che derivano da prodotti della lavorazione del bestiame brasiliano.
In seguito alla pubblicazione del rapporto di Greenpeace, i più grossi compratori di manzo brasiliano, tra i quali Wal-Mart e Carrefour, hanno annunciato che avrebbero sospeso i loro contratti con fornitori coinvolti nella deforestazione dell’Amazzonia. Nike e Timberland hanno fatto altrettanto. L’Ente di Finanza Internazionale della World Bank ha revocato l’accordo per una linea di credito di 90 miliardi di dollari a favore di Bertin, il secondo maggior esportatore di manzo del mondo. Investigatori brasiliani hanno fatto irruzione negli uffici di JBS, il più grosso lavoratore di manzo del mondo, e in quelli di altre ditte, arrestando funzionari per corruzione, frode e collusione.
Inoltre, un pubblico ministero federale brasiliano ha intentato causa contro l’industria del bestiame per miliardi di dollari per danni causati all’ambiente, avvertendo che le imprese scoperte a vendere carne allevata su terra amazzonica disboscata illegalmente sarebbero soggette a sanzioni di 500 reais (260 dollari) per chilo. Marfrig, il quarto commerciante di manzo più grande del mondo, ha affermato che avrebbe istituito una moratoria sull’acquisto di bestiame allevato su nuove aree disboscate nell’Amazzonia brasiliana. BNDES, la banca di sviluppo dalla quale dipende la maggior parte dei finanziamenti al settore agricolo brasiliano, ha annunciato che avrebbe emendato le sue pratiche di prestito, legando i prestiti al livello di protezione ambientale.
Anche se il rapporto di Greenpeace ha di fatto scombussolato l’intero settore brasiliano di carne e pellame, non ha offerto molte soluzioni. È improbabile che l’allevamento di bestiame in Amazzonia venga vietato, visto che la domanda globale di manzo è in continua crescita, principalmente a causa dell’impennata del consumo di carne da parte della classe media delle economie emergenti di Brasile, Cina, India e Russia.
A seguito dello scandalo del manzo, le parti interessate si sono rivolte a una figura improbabile: un allevatore texano chiamato John Cain Carter. In collaborazione con l’ Instituto de Pesquisa Ambiental da Amazônia (un’associazione non governativa, o NGO, brasiliana), il Woods Hole Research Institute e altri, l’organizzazione di Carter, Aliança da Terra, ha escogitato un approccio eccezionale per promuovere la tutela della terra in Amazzonia, che potrebbe eventualmente venire applicato alla produzione di materie prime in altre aree vulnerabili del mondo.
Carter non è un allevatore brasiliano o texano convenzionale. Dopo aver combattuto nella prima Guerra del Golfo, sposò una brasiliana e andò a finire nello stato amazzonico del Mato Grosso. Allora, il Mato Grosso orientale era terra di frontiera nel più stretto senso della parola: una regione senza governo, dove l’invasione della terra a mano armata era la norma, imperversava il conflitto tra le tribù indigene e i forestieri e i conti venivano regolati col sangue. Queste circostanze perpetuavano la smania di deforestazione e Carter si trasferì in Amazzonia durante quello che fu probabilmente il massimo spasmo di distruzione della foresta mai visto. Circa 79.000 miglia quadrate furono distrutte tra il 1995 e il 2004, un’area più larga del Nebraska.
Carter ammette senza indugio di non essere un ecologista, ma dice che la strage intorno a lui lo costrinse ad agire.
Sulla carta, le leggi di tutela ambientale dell’Amazzonia brasiliana sono tra le più rigorose del mondo. I proprietari terrieri sono obbligati per legge a mantenere foresta sull’80 per cento della loro terra, ma la mancanza di controlli ha minato questa disposizione, mentre ragioni economiche e politiche hanno contribuito ad ostacolare i tentativi di rallentare la deforestazione. Per i gruppi ambientalisti, questo è territorio ostile.
“Due dei miei lavoratori sono stati ammazzati la settimana scorsa,” ha affermato Carter. “Questo non è un posto per le associazioni non governative. Qui ci vorrebbe l’esercito.”
Ma nemmeno l’esercito non è necessariamente dalla parte della legge, secondo Carter, il quale sostiene che alcuni funzionari locali sono complici nell’occupazione di terreni e nel disboscamento illecito.
Mato Grosso. Photo by Rhett Butler.
“Ci sono politici locali che attraverso la radio dicono alla gente di invadere terreni”, dice Carter mentre manovra la sua Cessna su un appezzamento della sua “reserva legal”, un pezzo di terra il cui uso da parte altrui è ammesso dalla legge per uno scopo specifico, che fu tagliata e bruciata da occupanti abusivi nell’ottobre del 2007. Marãiwatsede, la riserva indigena Xavante adiacente al ranch di John Carter, è stata invasa molte volte. Ad un certo punto, la tribù manteneva controllo soltanto su una piccolissima frazione della propria terra, mentre un’esercito di “invasores” abbatteva alacremente alberi.
Nonostante tutto, Carter spera che la situazione possa migliorare usufruendo delle severe norme ambientali del Brasile per creare un vantaggio di mercato per gli allevatori, i quali possono usufruire di un marchio di qualità per garantire ai loro clienti che il manzo è stato prodotto in modo sostenibile. Sia Wal-mart che Nike hanno annunciato che esigeranno questa garanzia di qualità dai lori fornitori. Il marchio di qualità di Aliança da Terra mira a sostituire il fallito sistema governativo e ad incentivare i produttori a mantenere le loro riserve forestali, a rimboschire idrovie, a rispettare norme antincendio e a preservare il terreno. Carter asserisce che il marchio Aliança potrebbe aiutare coltivatori e allevatori brasiliani ad ottenere prezzi più alti fornendo direttamente le maggiori catene di supermercati e di ristoranti, le quali possono poi sostenere di utilizzare manzo prodotto in modo legale e responsabile.
“Vogliamo che il mercato riconosca il costo di questo lavoro di tutela”, dice Carter.
Mato Grosso. Photo by Rhett A. Butler. |
Un improbabile sostenitore dell’iniziativa di certificazione è Blairo Maggi, il coltivatore di soia diventato governatore del Mato Grosso, al quale Greenpeace diede il suo “premio” “Moto Sega d’Oro” nel 2005 per essere “la persona brasiliana che ha maggiormente contribuito alla distruzione dell’Amazzonia”. Adesso Maggi sostiene che la certificazione potrebbe essere la chiave per introdurre i prodotti agricoli brasiliani in nuovi mercati. Persino BNDES, il malfamato finanziatore della distruzione della foresta pluviale, ora ha reso mandataria la prova da parte degli allevatori che il bestiame sia stato allevato su terra non disboscata illegalmente.
Facendo notare che la creazione sulla carta di aree protette non ha significato se queste non vengono rispettate, Carter afferma che “se il settore privato non viene coinvolto, [la foresta] non verrà mai salvata. Ci devono essere degli incentivi per la conservazione della foresta su proprietà privata. Gli allevatori sono stufi di essere demonizzati. Se viene presentata loro un’opzione attuabile, si può esigere che diventino parte della soluzione.”
Un segno che l’interesse nella certificazione sta aumentando è stato il lancio lo scorso giugno della “Forest Footprint Disclosure Project” (Progetto di Divulgazione dell’Impatto sulla Foresta) per aiutare ad identificare come l’attività e supply chains di un’organizzazione contribuiscano alla distruzione della foresta. Questa iniziativa, sponsorizzata dal governo britannico, chiederà alle compagnie di “divulgare l’impatto delle loro operazioni e supply chains sulle foreste a livello mondiale e cosa venga fatto per gestire questo impatto in modo responsabile.” I maggiori acquirenti di prodotti di allevamento stanno partecipando: sia Wal-mart che Nike hanno annunciato che esigeranno certificazione di provenienza dai loro fornitori, ed altre maggiori catene di fast-food sono in trattativa.
In collaborazione con Woods Hole, Google Earth ed altri, il gruppo di Carter è impegnato ad escogitare un modo onesto per la registrazione dei terreni e un sistema chiaro di certificazione. Questo potrebbe implicare l’uso di metodi high-tech, incluso l’identificazione di allevamenti attraverso foto satellitari, minuscoli elettrodi impiantati nel bestiame e sistemi di documentazione elettronica, per identificare allevamenti responsabili e il bestiame da loro prodotto.
Questo progetto deve affrontare delle sfide notevoli. Il rapporto di Greenpeace ha fatto infuriare molti produttori, i quali hanno minacciato di bypassare i maggiori acquirenti di manzo. Anche se può sembrare una minaccia a vuoto, il manzo dell’Amazzonia è un’industria che dipende dalle esportazioni, la maggior parte delle quali vanno verso paesi dove la protezione ambientale è al massimo una vaga preoccupazione. Neanche i consumatori brasiliani hanno mostrato una marcata preferenza per le credenziali ecologiche dei prodotti, il che dimostra che la domanda di manzo rimane forte senza riguardo per come venga prodotto. Un’altra possibilità è che il sistema venga manipolato, specialmente visto che BNDES favorisce l’uso di etichette sulle orecchie, che possono essere facilemte rimosse, per seguire gli spostamenti del bestiame.
“Nel mio paese natale, uno dei tradizionali centri di allevamento di bestiame, hanno un detto: ‘La mucca cammina e gli orecchini volano’” afferma Sergio Abranches, un giornalista ecologista brasiliano.
Comunque, in seguito al rapporto, il governo brasiliano ha espresso vivo interesse a migliorare la propria performance ambientale. Al di là di questo, se questi progetti riescono a fornire un incentivo finanziario attraverso prezzi più alti per il manzo e pagamenti per il rimboschimento, gli allevatori saranno incoraggiati a far parte del sistema. Ma i criteri possono essere resi troppo stringenti, rendendoli così gravosi per i produttori che abbadonano il programma se gli incentivi non sono sufficienti ad allettarli.
Inoltre ci sono questioni più importanti. Il Brasile si è impegnato a spendere circa 300 miliardi di dollari in nuovi progetti di infrastruttura, una prospettiva che potrebbe negare i guadagni derivati da un sistema di rilevamento della merce e superare di gran lunga i 21 miliardi che il paese sta cercando di raccogliere per proteggere l’Amazzonia. Inoltre, una nuova legge, approvata il mese scorso dal presidente Luiz Inacio Lula da Silva, potrebbe avere più peso del valore dei progressi fatti dagli allevatori. La legge assegna diritto di proprietà a centinaia di agricoltori, allevatori e squatters che hanno occupato illegalmente di più di un quarto di milioni di miglia quadrate di foresta protetta. Al momento non è chiaro se la legge sarà un incentivo per ulteriore disboscamento o se creerà una parvenza di governo nella regione, rendendo più facile il controllo della deforestazione.
Secondo alcuni, queste questioni potrebbero suggerire che frenare il consumo di manzo sia la soluzione chiave alla deforestazione dell’Amazzonia. Nel frattempo, comunque, è chiaro che l’industria può avere un ruolo critico nel cambiare la situazione in Amazzonia. E il tempo, fanno notare Carter ed altri, sta per scadere.
“Se non facciamo qualcosa presto,” dice Carter, “l’intera foresta andrà in fumo.”