Along Sega non ha mai conosciuto esattamente la sua età, ma quando ieri è morto in un ospedale ben distante dalla foresta in cui è nato doveva avere all’incirca 70 anni. Leader del popolo cacciatore-raccoglitore e tradizionalmente nomade dei Penan del Borneo e mentore del giovane attivista svizzero Bruno Manser, Along Sega sarà ricordato per gli sforzi profusi per salvare la foresta dei Penan, così come il loro modo di vivere e la loro cultura, dalle compagnie del legname, spalleggiate dal governo del Sarawak e incoraggiate dalla polizia di stato.
“Vogliamo che la nostra foresta rimanga intatta, perché solo così possiamo andare a caccia. […] Non vogliamo che gli animali vengano molestati. Quando ero giovane, nessuno molestava gli animali: la foresta era buona e noi potevamo andare a caccia vicino al luogo in cui vivevamo. Le donne potevano prendere facilmente i pesci e procurarsi il cibo”, così raccontava durante un’intervista del 2005 al Bruno Manser Fonds
Along Sega, abbastanza vecchio da ricordarsi la Regina Elisabetta d’Inghilterra ancora principessa.
Along Sega nel 1986 con un bastone “seperut”, usato dai Penan sia come ornamento che come talismano. Foto su gentile concessione del Bruno Manser Fonds. |
Negli anni ’80 le compagnie del legname invasero le foreste dei Penan, capovolgendo il loro stile di vita. Le tribù bloccarono le strade contro queste compagnie, intentarono cause legali e sollecitarono appassionatamente il governo per tutelare la foresta in cui vivevano. In quel periodo un giovane attivista svizzero, Bruno Manser, contribuì ad attirare l’attenzione del mondo sulle condizioni dei Penan, dopo aver vissuto con loro per sei anni. Uno dei maestri di Manser era Along Sega.
“Incontrai Bruno per la prima volta a Long Napir. All’inizio, quando arrivò da noi, non conosceva la lingua Penan. Le uniche parole che sapeva erano “bakeh, bakeh” (amico). Venne da me e disse: Sono Bruno. Posso entrare nel tuo gruppo? Io risposi: se vuoi stare con noi, sei il benvenuto,” raccontò Along Sega in quella stessa intervista.
Tuttavia dopo decenni buona parte della foresta dei Penan è andata distrutta, e ciò che rimane è ancora gravemente a rischio. Le compagnie del legname continuano a violare le terre dei Penan. Le cause legali riguardanti questi territori hanno aspettato decenni prima di essere risolte. Le dighe idroelettriche hanno rotto il flusso dei fiumi, costringendo le tribù a spostarsi o a morire, e ne sono previste ancora di nuove. Gli ufficiali di stato hanno annunciato nuovi progetti per un milione di ettari di piantagioni di palma da olio, molte delle quali potrebbero finire sulle terre occupate abitualmente dagli indigeni. Per quanto riguarda Manser, sparì nel Sarawak nel 2000. La sua scomparsa rimane un mistero, anche se non era estraneo a minacce di morte.
Senza le foreste il popolo Penan è stato costretto a cambiare, come spiegava Along Sega nel 2005: “L’albero pelayo da resina rappresenta uno dei legnami più apprezzati e quindi la maggior parte è stata abbattuta. Gli alberi da cui estraevamo il veleno per le frecce e quelli con cui costruivamo le cerbottane sono stati buttati giù con i bulldozer. Sono rimasti solo pochissimi di questi alberi. Questo è il motivo per cui ora molti Penan stanno abbandonando le loro abitudini nomadi. Non c’è altra scelta. Anche le nostre palme da sagù sono state distrutte. La compagnia del legname ha distrutto tutto il nostro territorio, perfino il cimitero, e non ha mai pagato alcun risarcimento per quello che ha fatto. A volte arrivano, abbattono tutti gli alberi e non si preoccupano nemmeno di portarli via.”
Imprigionato due volte per la sua lotta contro le compagnie del legname, Along Sega affermò che le promesse fatte nel 1993 dal governo del Sarawak di creare per i Penan un’area protetta per la foresta primordiale erano tutte “menzogne”.
Tuttavia dichiarò che anche dopo la sua morte la generazione successiva avrebbe dovuto portare avanti la causa.
“Quando morirò, continueranno la nostra battaglia perché io ho chiesto loro di non arrendersi.”
Along Sega (al centro) con Bruno Manser (a sinistra) nel 1996. Foto su gentile concessione del Bruno Manser Fonds.