Il maki mongoz è classificato come specie vulnerabile nella Lista Rossa dell’Unione Mondiale per la Conservazione della natura (IUCN).
Se il mondo vuole conservare la sua varietà di specie viventi, dalle grandi alle piccole, dalle affascinanti alle terrificanti, dalle più amate a quelle sconosciute, si dovranno stanziare dai 3.41 ai 4.76 miliardi di dollari l’anno in fondi per la conservazione, secondo un recente studio di “Science”. Ma c’è dell’altro: alcune stime hanno rivelato che il costo della protezione e gestione delle area di conservazione nel mondo è di ulteriori 76.1 miliardi di dollari l’anno.
Sebbene queste cifre possano sembrare eccessive, secondo i ricercatori si tratta di un investimento saggio. Il totale dei costi costituisce una minima percentuale, compresa tra l’1 e il 4% del valore complessivo della perdita di servizi ecosistemici causata dalla distruzione dell’ambiente. Si stima che questa perdita vari dai 2.6 ai 6 trilioni di dollari.
I “servizi eco sistemici” comprendono un’ampia varietà di vantaggi offerti dal mondo naturale, che non sempre sono nominati nei parametri di bilancio, come ad esempio l’impollinazione, il buono stato del terreno, la dispersione dei semi, la filtratura dell’acqua, la purificazione dell’aria e, tra gli altri fattori, il turismo.
“Per fare un paragone più banale”, aggiungono gli scienziati, “il totale dei costi è inferiore al 20% della spesa complessiva annuale per il consumo di bibite analcoliche”.
Lo studio è stato pubblicato in concomitanza al vertice delle Nazioni Unite sulla Convenzione per la Diversità Biologica (CBD), tenutosi nella città Indiana di Hyderabad. I partecipanti alla convenzione hanno promesso di impegnarsi a fermare la perdita della biodiversità nel mondo e ad aumentare la superficie delle aree protette entro il 2020.
Una coalizione formata da gruppi conservazionisti, Conservation International (CI), BirdLife International e The Nature Conservancy (TNC), ha fatto richiesta ai capi politici mondiali di impegnarsi ad aumentare i fondi per la conservazione globale dai 5 miliardi di dollari attuali a 48 entro il 2020.
“La cifra finale può sembrare eccessiva ma si possono raggiungere grandi risultati con il ricollocamento dei fondi attuali”, afferma Carolina Hazin, coordinatrice per le politiche globali della biodiversità presso BirdLife International. “È possibile che una riforma dei sussidi attualmente a sostegno di attività perverse e dannose, come ad esempio la sovrapesca, la deforestazione, le pratiche agricole distruttive e il ricorso a combustibili fossili, contribuisca in maniera significativa all’utilizzo sostenibile di risorse naturali e alla conservazione della biodiversità”.
Tuttavia, dai risultati degli studi sembra che 48 miliardi all’anno non siano ancora sufficienti.
Per determinare i costi della biodiversità globale, i ricercatori hanno calcolato quanto costerebbe salvare 211 specie di uccelli a rischio di estinzione secondo la Lista Rossa (cifra che equivale al 19% delle specie conosciute di uccelli), estrapolando poi i risultati per incorporare tutte le altre specie di animali minacciate. Utilizzando un processo simile, hanno stimato il costo per ettaro per la gestione di 396 aree protette in 50 paesi, estrapolando poi i costi per conseguire gli obiettivi di conservazione stabiliti dalla CBD, ovvero l’aumento delle zone protette del 17% della superficie terrestre e del 10% della superficie oceanica entro il 2020. Il costo finale ammonta a ben 80.86 miliardi di dollari l’anno.
Secondo lo studio, i fondi destinati alla conservazione della biodiversità nel mondo sono estremamente scarsi. I risultati hanno dimostrato che i finanziamenti diretti destinati alla conservazione sono l’88% in meno per gli uccelli presi in analisi dallo studio. Il dato probabilmente più preoccupante è che una parte sostanziosa dei fondi è stata destinata solo a un numero esiguo di specie, mentre la maggior parte degli uccelli a rischio di estinzione si sono dovuti accontentare delle briciole. Ad esempio, solamente per 7 delle 211 specie di uccelli presenti nello studio i fondi hanno raggiunto percentuali del 90%.
Inoltre, i risultati dello studio riportano che le aree protette hanno ricevuto il 69% in meno di finanziamenti in paesi a reddito inferiore e il 50% in paesi a reddito superiore. Spesso la mancanza di fondi destinati alle aree protette si traduce in una percentuale maggiore di disboscamento illegale, attività minerarie, bracconaggio e sconfinamento; alcuni parchi sono ormai quasi totalmente privi di animali di media e grande taglia, altri hanno perso gran parte delle foreste.
“Il raggiungimento degli obiettivi (della CBD) richiede un aumento degli stanziamenti per la conservazione di almeno un ordine di magnitudine”, è la conclusione a cui si è giunti nello studio.