Un bovino nel Pantanal, in Brasile, la zona umida più grande al mondo minacciata dall’allevamento di bestiame e dall’agricoltura. Nel 2006 è stato reso noto che il 17% del Pantanal è andato perso a causa della deforestazione. Foto di Rhett A.Butler
Da un recente studio emerge che, solo negli ultimi 100 anni, la metà delle zone umide del pianeta è andata persa. Pubblicato dall’Economics of Ecosystems and Biodiversity (TEEB), tale studio ha rivelato che dei 25 milioni di chilometri quadrati di zone umide esistenti nel 1900, ne rimangono appena 12,8 milioni. Il tasso di distruzione varia geograficamente, con perdite notevoli in Asia Orientale che ammontano all’1,6% l’anno. In luoghi dove l’acquacoltura, il sovrasfruttamento (come, per esempio, la raccolta non sostenibile di pesce) e i cicloni, con i relativi danni, sono stati intensi, il tasso di distruzione può arrivare anche all’80%.
“Si avverte con urgenza la necessità di mettere le zone umide e i servizi degli ecosistemi legati all’acqua al centro della gestione delle risorse idriche allo scopo di soddisfare i bisogni sociali, economici e ambientali di una popolazione che, secondo le stime, nel 2050 raggiungerà i 9 miliardi di individui,” ha dichiarato in un comunicato stampa Achim Steiner, Sottosegretario Generale dell’ONU e Direttore Esecutivo dell’UNEP, (United Nation Environment Programme).
Le zone umide svolgono un ruolo essenziale per la vita degli esseri umani: aiutano a regolare il ciclo dell’acqua, agiscono da sink biosferici, forniscono protezione da inondazioni e cicloni, regolano il trasporto di sedimenti e contribuiscono alla formazione del suolo e alla stabilità costiera.
Inoltre, le zone umide offrono una serie di servizi e benefici molto meno dispendiosi rispetto alle infrastrutture costruite dall’uomo. Nel Regno Unito, per esempio, le zone umide hanno consentito una riduzione di costi fino a 0,71 milioni di sterline per ettaro in termini di difesa costiera. Negli Stati Uniti, invece, il delta del fiume Mississippi ogni anno apporta alla popolazione benefici che vanno dai 12 ai 47 miliardi di dollari in termini di protezione da uragani e inondazioni, di migliore qualità dell’acqua e di attività ricreative.
Essendo tra le aree del pianeta dalla maggiore biodiversità, le zone umide forniscono un quarto della produttività biologica globale. Questa elevata produttività rende le zone umide anche il luogo ideale per insediare attività produttive: il 90% del totale del pesce che arriva a terra, per esempio, proviene da ecosistemi costieri.
Tuttavia, nonostante queste statistiche sorprendenti, le zone umide continuano a essere degradate o distrutte.
“Ignorare la situazione non è più una scelta,” ha dichiarato il Vice Segretario Generale della Convenzione di Ramsar Nick Davidson.
Le zone umide e il loro uso razionale nell’ambito della gestione idrica dovrebbero essere il fulcro della transizione verso una green economy, prosegue lo studio, perorando la causa della conservazione delle zone umide per il bene dell’umanità.
“Dato lo stato attuale e l’andamento delle perdite delle zone umide, questo è il minimo che i governi nazionali dovrebbero garantire… la sola gestione delle zone rimanenti potrebbe non essere sufficiente,” afferma il Dr.Ritesh Kumar, direttore del Programma di Conservazione al Wetlands International e co-autore dello studio.
La disponibilità di risorse o la volontà politica di salvaguardare la conservazione e il corretto uso delle zone umide dipendono dalla nascita della consapevolezza della loro importanza. E questa pubblicazione dell’Economics of Ecosystems and Biodiversity contribuisce al raggiungimento di questo obiettivo.