Questa è una versione ampliata di un articolo, dal titolo A Desperate Effort to Save the Rainforest of Borneo (Un tentativo disperato di salvare la foresta pluviale del Borneo), che è apparso il mese scorso su Yale e360..
La foresta pluviale nel Sabah. Tutte le foto sono di Rhett A. Butler |
Per la maggior parte delle persone la parola “Borneo” evoca l’immagine di una terra lontana e selvaggia con foreste pluviali, animali esotici e tribù nomadi. Ma quel luogo esiste sempre di più solo nell’immaginario della gente, perché le foreste della terza isola più grande al mondo sono state, negli ultimi decenni, rapidamente e continuamente disboscate, bruciate e rase al suolo lasciando intatto solo un frammento di quello che una volta erano le sue magnifiche foreste.
Il danno è evidente se si sorvola il Sabah, uno stato malese che copre il 10 per cento del Borneo, dove le piantagioni di palma da olio sono come delle metastasi nel panorama della vegetazione. E dove la foresta rimane di solito è degradata con i suoi fiumi che scorrono marroni per il fango.
Tuttavia, addentrandosi nel Sabah, alcune parti della preziosa foresta del Borneo si conservano ancora. Al di là delle piantagioni di palme da olio e oltre le zone disboscate rimangono macchie di pianura stupenda e di foresta montuosa.Buceri colorati si arrampicano sulle sue chiome a forma di broccoli, nidi di orangotanghi si posano sulle alte cime degli alberi e flussi d’acqua cristallina sgorgano sulle cascate. Che queste aree si mantengano sembra quasi un miracolo dato lo stato delle zone circonstanti e le ingenti somme di danaro che se n’è ricavato dal loro saccheggio.
Le foreste del Borneo, come quelle nelle Filippine, Sumatra e di altre parti dell’Asia, sono in gran parte vittime di un ciclo che inizia con il disboscamento selettivo e si conclude con la conversione in piantagioni industriali, agricoltura o boscaglia. Questo ciclo è strettamente legato alla politica economica della regione, perché i politici, storicamente, hanno contato sulle attività forestali per finanziare le loro campagne elettorali usandole come calamite per premiare i propri sostenitori. Il ciclo continua ancora oggi. Nel mese di aprile, secondo quanto sarebbe stato rivelato da dei presunti documenti trapelati dalla Commissione Anti-Corruzione della Malesia,ci sarebbe stato il trasferimento di milioni di dollari nei conti bancari legati al primo ministro del Sabah, Aman Musa. Nel frattempo il primo ministro del Sarawak e la sua famiglia sono sotto inchiesta per l’acquisizione di beni all’estero per un valore di miliardi di dollari legati alle attività del legname.
Foresta nel Sabah eccessivamente disboscata
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In Borneo, intensive logging began after the end of the Second World War. Sabah and Sarawak, where tall and straight rainforest trees produced some of the Nel Borneo, la deforestazione intensiva è cominciata dopo la fine della seconda guerra mondiale. Sabah e Sarawak, dove gli alberi più alti e dritti delle foresta pluviale hanno prodotto alcuni delle provviste di legno duro più pregiato al mondo, sono state le prime ad essere state prese di mira. Nei primi tempi, solo gli alberi con più valore e facilmente accessibili sono stati tagliati. Ma con la pressione di generare contanti questo approccio sarebbe poi cambiato.
La gestione delle foreste del Sabah era sorretta da buone intenzioni. Nel 1966, il governo assegnò un’area vasta e remota di foresta pluviale a Yayasan Sabah, una fondazione diretta dallo stato, affinché la gestisse a tempo indeterminato per il bene del popolo di Sabah. Il legname della foresta doveva essere tagliato con un ciclo di 80 anni per garantire la sostenibilità finanziaria e anche ecologica. La concessione avrebbe coperto poi eventualmente circa un milione di ettari di foresta.
Mappa che mostra Yayasan Sabah Management Area Foundation nel 2010. Da un articolo pubblicato su Philosophical Transactions della Royal Society B by Reynolds el al (2011). |
Nei primi anni lo schema è andato bene. I regolamenti forestali sono stati generalmente rispettati e una generazione di Sabahans ha beneficiato di milioni di dollari in borse di studio e programmi per la riduzione della povertà. Anche le aziende sono andate bene: la città costiera di Sandakan, nel Sabah, dove aveniva la lavorazione del legno e si trovava l’aereoporto commerciale, nei primi anni ‘80 vantava di avere la più alta concentrazione di milionari del pianeta, per lo più impiegati nel’industria del legno dello Stato.
Ma l’economia politica intervenne. In Malesia, le imposte generate dalla silvicoltura vanno allo Stato, anziché al governo federale.In periodi magri, ad esempio quando il governo dello stato è controllato da un partito in opposizione al partito al potere del governo federale, la silvicoltura diventa una fonte primaria di reddito. Le foreste non solo diventano il fondo principale dello stato nei periodi di crisi, ma per i politici si trasformano anche in una fonte di denaro a cui attingere. Il più grande potenziale beneficiario è il primo ministro, che controlla Sabah Yayasan e nomina il direttore del dipartimento forestale, obbligando il funzionario forestale più senior a rispettare i suoi ordini, a prescindere dalle motivazioni che ci stanno dietro. La situazione è simile in Indonesia. Uno studio pubblicato l’anno scorso da dei ricercatori della London School of Economics, il Massachusetts Institute of Technology e il South Dakota State University ha concluso che i politici dei distretti più ricchi di foreste ripagano i loro debiti elettorali attarverso concessioni forestali.
“Yayasan Sabah è stato un registratore di cassa per i politici”, ha detto un funzionario forestale senior. “Nonostante l’enorme zona di foresta che possiede, Yayasan Sabah è quasi in passivo perché tutti i soldi del legname sono stati presi dai politici.”
La spinta a generare più denaro ha cominciato ad avere effetti negativi. Nel 1970, il disboscamento è aumentato nelle foreste nel Borneo, tra cui il Sabah, a causa della crescita del consumo globale di prodotti di legno. Poco del disboscamento del Sabah era illegale, le regole sono state applicate meno saldamente e le concessioni sono state date deliberatamente. Nel 1990 la maggior parte dell’area del Yayasan Sabah era stata selettivamente disboscata. Circa il 15 per cento delle concessioni riguardava la foresta vergine.
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La situazione per le foreste al di fuori della zona designata come patrimonio forestale permanente da parte del governo era peggiore a causa della comparsa di un nuovo raccolto altamente redditizio: l’olio di palma. La conversione della foresta per la coltivazione dell’olio di palma è stata rapida (le piantagioni di palma da olio nel Sabah sono cresciute da un numero trascurabile nella metà degli anni ‘80 a più di 1,4 milioni di ettari, quasi un quinto della sua superficie, nel 2010). La maggioranza del territorio forestale convertito in zona per la coltivazione dell’olio di palma si trova in aree legalmente suddivise per la conversione agricola, che erano generalmente delle aree pianeggianti adatte all’agricoltura industriale. Le concessioni sono state date agli imprenditori di olio di palma, in locazione per 99 anni.
Nell’area di concessione del Yayasan Sabah, che già nel 1990 rappresentava circa un terzo del suo patrimonio forestale commerciale, la quantità del legno ha cominciato a diminuire negli anni ‘90 dopo il ri-disboscamento di aree in cui le rotazioni praticate erano molto più brevi rispetto al ciclo di 60 anni originariamente prescritto. Con la diminuizione della produzione, i disboscatori hanno adottato misure più disperate utilizzando elicotteri per la mietitura di pendii ripidi, tagliando alberi sempre bassi e puntando verso delle specie di alberi al di là delle costose Dipterocarpacee. Tra il 1994 e il 2003, una serie di ministri, ruotando ogni due anni, ha esacerbato la domanda di finanziamento a breve termine per le campagne politiche.
Le entrate della produzione del legno precipitarono in Yayasan Sabah. La situazione raggiunse un crescendo nel 1998, quando l’allora primo ministro firmò un progetto troppo costoso: un’enorme fabbrica di pasta per carta, da gestire da una joint venture malese-cinese. La fabbrica avrebbe richiesto che 300.000 ettari di concessione del Yayasan Sabah dovessero far posto alla coltivazione di acacia a crescita rapida. Il progetto non era sostenuto da alcun piano di gestione, a parte quello di eliminare qualunque traccia di gestione sostenibile delle foreste e aumentare la produzione su scala industriale con una raccolta annuale quattro volte superiore. Quando Sam Mannan, l’allora direttore del settore forestale, si è opposto al progetto, è stato rimosso dal suo incarico da primo ministro del Sabah.
Piantagione di legname |
Alcune parti delle zone destinate al progetto furono disposte per essere distrutte. Ma è stato tutto per niente poiché il progetto della pasta per carta non si realizzò mai. Tuttavia, anche con l’abbandono ufficiale della fabbrica, nel 2001, il disboscamento è proseguito, fungendo alla fine da catalizzatore per l’inizio del ri-disboscamento di circa 750.000 ettari di Yayasan Sabah. Il disboscamento ha generato una breve ripresa delle entrate per Yayasan Sabah, ma non essendo sostenibile, a lungo termine, le prospettive economiche erano desolanti.
Alla fine, ripreso il suo posto come direttore del settore forestale, Sam Mannan è andato avanti con un piano radicale per affrontare il deficit di bilancio del Yayasan Sabah: creare piantagioni di palma da olio in 100.000 ettari di terra autorizzata per le inesistenti piantagioni di pasta per la carta.
“Yayasan Sabah è la maggiore fonte di reddito per lo sviluppo socio-economico”, ha detto Mannan. “Non ho intenzione di punirli per le trasgressioni avvenute nel passato, incluse per quelle che potrebbero essere state per colpa nostra, per non essere stati abbastanza assertivi in passato.”
“Se Yayasan Sabah fallisse non sarà in grado di adempiere ai suoi obblighi economici e noi tutti mangieremo erba.”
Il piano, pur controverso, ha vinto una deroga speciale. Mannan si aspetta che generi più entrate per Yayasan Sabah che il disboscamento abbia mai fatto.
Ma mentre il dipartimento forestale ha deciso che l’olio di palma durerà solo per un ciclo, da 20 a 25 anni, qualcuno teme che possa diventare una tendenza, con piantagioni di palma da olio che si prendano a poco a poco il patrimonio forestale del Sabah. “Il problema è che ogniqualvolta ci sono richieste di denaro, altre aree potrebbero essere tagliate”, ha detto Glen Reynolds, un ecologista che l’anno scorso ha pubblicato un documento importante sulla condizione delle foreste del Sabah. “Il rischio più grande per il Yayasan Sabah è la conversione di ciò che resta della foresta di pianura del Sabah.
Per molti taxa in Sabah è difficile riconoscere la differenza tra le foreste disboscate e le foreste primarie, ma le perdite catastrofiche si verificano quando vi è la conversione in piantagioni.”
Ma Mannan dice che non fare nulla è una minaccia ancora più grande. Se le concessioni del Yayasan Sabah non soddisfano i suoi obblighi economici, teme che i rendimenti bassi potrebbero toglierlo dal dipartimento di controllo forestale, consegnandolo per sempre agli imprenditori di palma da olio.
“La silvicoltura non è più quella fonte di reddito così affidabile da mantenere il governo”, ha detto. “È l’olio di palma che sta salvando sia noi che le foreste.”
“Ho ceduto 100.000 ettari di terreni fortemente degradati [per l’olio di palma] per salvare 900 mila ettari di foresta. Con il miliardo di ringgit che ci aspettiamo dal rendimento dell’olio di palma eviteremo il disboscamento di 200 mila ettari di foreste all’anno.”
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Mannan ritiene che le palme da olio siano in grado di offrire un ponte per i 20 anni di scarsità di entrate che si prevedono per l’industria forestale del Sabah.
“Qualunque cosa facciamo oggi, abbiamo ancora di fronte 20 anni di carestia. Dobbiamo pianificare per quel periodo. La foresta del Sabah ha dato così tanto a così tante persone, che questo è il momento di restituirle qualcosa per tutto il danno che le è stato fatto. Abbiamo bisogno di investire nella foresta del Sabah e di ripristinarla”
Sam Mannan |
Alcune delle foreste del Sabah sono talmente danneggiate, che la loro struttura originale, formata da latifoglie ad
alto fusto a calotta chiusa, potrebbe non essere ripristinata. Così il dipartimento forestale sta spingendo verso una gestione attiva delle aree forestali, tagliando le fitte piante rampicanti e promuovendo “coltivazioni di arricchimento” con alberi autoctoni. Il piano a lungo termine è quello che le foreste ritornino in buone condizioni cosicché possano essere disboscate di nuovo, sebbene seguendo linee guida più severe secondo la Forest Stewardship Council (FSC), un ente di eco-certificazione. Il Sabah Forestry Department sta mirando al 2014 per avere la certificazione completa delle concessioni forestali del Sabah. Allo stesso tempo si stanno portando avanti dei progetti sperimentali in alcune parti delle zone di concessione del Yayasan Sabah, tra cui il primo progetto al mondo di Reducing Emissions from Reforestation an Degradation (Riduzione delle Emissioni da Deforestazione e Degrado),REDD +, costituito nel 1992, e il Malua Biobank, che genera crediti di biodiversità mentre la fauna selvatica e la naturale attività della foresta ritornano in quelle aree che sono state pesantemente colpite dal disboscamento.
“Una delle strategie prese all’interno del dipartimento forestale è la collaborazione con l’ FSC poiché impone ai disboscatori l’osservanza delle regole”, ha detto il funzionario forestale. “Quindi, se un primo ministro o un politico vuole procedere al disboscamento, la situazione diventa controversa perché abbiamo aree che sono certificate FSC, perciò diventa più difficile per i politici usare le foreste come bancomat personale”.
Strada in una foresta disboscata.
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Grazie anche agli sforzi della stessa Yayasan Sabah, le ultime foreste di pianura primaria rimanenti come Imbak Canyon, Danum Valley e il bacino del Maliau, sono già state indicate come riserve forestali di Classe I per una conservazione più rigorosa. Inoltre il dipartimento delle Foreste del Sabah ha recentemente adottato ulteriori misure per garantire la loro protezione. Nel mese di aprile, l’agenzia ha ri-designato circa 155.000 ettari di foresta come zona per il disboscamento commerciale di Classe II, 150.000 ettari si trovano nella concessione del Yayasan Sabah, come riserva di Classe I, comprese le nuove zone cuscinetto intorno alle foreste primarie del Danum Valley e del bacino del Maliau.
“Sabah è ancora più avanti di Sarawak e Kalimantan: qui le aree delle foreste primarie che sono sopravissute sono state conservate, la riforestazione e il restauro forestale stanno avvenendo e chi è abusivo si sta spostando fuori dalle riserve forestali”, ha dichiarato John Payne, uno scienziato del Borneo Rhino Alliance esperto in conservazione. “La paura è che il prossimo governo o direttore della silvicoltura convertirà le concessioni forestali in aree per la coltivazione di palma da olio. Così Sam Mannan sembra stia facendo tutto il possibile per pubblicizzare e finanziare quelle riserve. Il suo più grande successo sarebbe quello di salvaguardare le riserve forestali di pianura.”
Le foreste di pianura del Sabah sono state quasi spazzate via, ma in totale la copertura forestale è scesa di un più modesto 15 per cento tra il 1990 e il 2010. Rispetto alle foreste del Sarawak e del Kalimantan in Indonesia (escluso il sultanato del Brunei, piccolo e ricco di petrolio), la situazione del Sabah non sembra così male.
Le foreste del Sarawak hanno visto un Armageddon ambientale nel corso degli ultimi 30 anni. Le sue foreste sono passate attraverso più cicli di disboscamento intensivo e ora si stanno rapidamente convertendo in piantagioni. I conflitti tra gli imprenditori e le popolazioni indigene sulle terre native in uso affliggono lo Stato, che ora si è imbarcato in una serie di progetti che riguardano le dighe che promettono di infiammare ulteriormente le tensioni. Nel frattempo, le quattro province che compongono Kalimantan continuano a subire alti tassi di deforestazione, 3,1 milioni di ettari tra il 2000 e il 2010, secondo uno studio condotto dai ricercatori della National University di Singapore. Il disboscamento non regolamentato dilaga in Kalimantan, il 56 per cento della foresta di pianura protetta è stata distrutta tra il 1985 e il 2001. Nel Kalimantan centrale da solo, le autorità che combattono la corruzione stimano che l’estrazione illegale e le operazioni di piantagione costano alla provincia 158.500 miliardi di rupie ($ 17,6 miliardi).
La transizione del Sabah ad un diverso tipo di gestione forestale è ad ogni modo garantita. L’attrazione alla coltivazione della palma da olio rimane forte ed i politici hanno ancora gli stessi bisogni e tentazioni. Ma l’esaurimento delle risorse è diventato un fattore a sé stante, secondo un alto funzionario del Sabah: “Se va meglio è perché c’è meno foresta, ma questo significa che la miniera d’oro è più piccola.».
Quello che succede nel Sabah può preannunciare ciò che accade in scala più ampia in tutto il Borneo. Il Sabah ha impegnato opportunamente gran parte delle sue riserve forestali all’ iniziativa dell’Hearth of Borneo, uno schema appoggiato dal WWF per la protezione e il collegamento delle restanti aree forestali di qualità in tutta l’isola (significativamente, l’impegno di Sarawak è praticamente pari a zero) e c’è anche Forever Sabah, che di base appoggia la transazione del Sabah verso un’economia verde a basso carbonio che i sostenitori sperano introdurrà una gestione più intelligente delle sue risorse. Tuttavia, la domanda che ci si pone è se ci sarà ancora abbastanza da salvare nel Borneo.
“Non possiamo fare business come sempre”, ha detto Mannan. “Noi non abbiamo grandi aree di foresta vergine a disposizione per il disboscamento”.
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