Una recinzione impedisce l’accesso della popolazione locale alle loro terre tradizionali in Liberia, dove Sime Darby ha impiantato una contestata piantagione di palme da olio. Foto cortesia di Rights and Resources Initiative (RRI).
Secondo l’ultimo rapporto pubblicato dall’organizzazione Right and Resources Initiative (RRI), investire in società che ignorano i diritti delle comunità locali nei Paesi in via di sviluppo è spesso causa di gravi perdite economiche. Il trend crescente all’accaparramento delle terre, dall’Africa al Sud America, da parte di società ma anche di governi stranieri genera un’instabilità sociale che può portare a proteste di massa, violenze e perfino omicidi, ritardando e talvolta anche impedendo la realizzazione dei progetti. Questa instabilità è fonte di rischi altissimi per qualsiasi investitore, per non parlare del sostegno fornito a organizzazioni accusate di ignorare i diritti umani.
“Osservando le società coinvolte in acquisizioni internazionali di terra, abbiamo scoperto che esse subiscono ingenti danni finanziari, che vanno da un aumento massiccio dei costi operativi – pari a 29 volte quelli di un normale scenario economico – alla totale cessazione delle attività, nei casi in cui i diritti delle comunali locali, preesistenti o consuetudinari, vengono ignorati” spiega Lou Munden, direttore del Munden Project che ha realizzato lo studio per conto di RRI.
La ricerca evidenza svariati esempi concreti di società che, ignorando i diritti sulle terre, hanno compromesso i loro stessi profitti: il gigante minerario Vedante in India, SN Power in Cile, la società di biocarburanti SEKAB in Tanzania e il produttore di olio di palma Sime Darby, tra le altre. In ognuno di questi casi si è omesso di consultare in modo appropriato le comunità locali, trascurandosi spesso anche l’impatto ambientale dei progetti, che venivano comunque autorizzati dalle autorità governative.
“E’ penoso vedere i governi nazionali aderire a modelli di sviluppo che non funzionano, soprattutto quando esistono prove schiaccianti in tal senso. In questa equazione, la stabilità politica, la democrazia e i risultati economici di lungo termine sono spesso sacrificati sull’altare di un guadagno immediato” afferma Andy White, coordinatore di RRI, aggiungendo che “è ancora più incredibile se si considera che gli stessi investitori non ne traggono alcun reddito”.
Un secondo rapporto di RRI avverte che la storia sta, con ogni probabilità, per ripetersi in Myanmar, recentemente apertosi alla comunità internazionale. I conflitti legati alla terra stanno dilagando nella regione di Kachin, dove i locali contrastano con forza l’insediamento sulle loro terre tradizionali di attività minerarie, di taglio dei boschi e di produzione di energia idroelettrica.
“Il conflitto nel nord del Myanmar, come in molte altre parti del mondo, ha le sue radici nei diritti sulla terra e sulle risorse, inclusi i diritti comunitari sulle foreste” spiega Maung Maung Than, capo progetto per RECOFTC – The Center for People and Forest. “I leader dei precedenti governi in Myanmar hanno iniziato una corsa alla svendita delle risorse naturali e le nostre vite, in questo processo, sono diventate un danno collaterale. Mentre il nostro Paese si apre al mondo esterno, il nostro principale obiettivo deve essere la riduzione della povertà, non il suo aumento”.
Investire in progetti di questo genere non solo finisce per generare perdite economiche ma significa anche dare sostegno a violazioni dei diritti umani e perfino ad assassinii. In alcuni Paesi gli attivisti che protestano contro il land-grabbing non incorrono solo in arresti e persecuzioni, ma rischiano anche la vita.
Appena un anno fa l’attivista cambogiano, Chut Wutty, è stato colpito a morte dalla polizia militare mentre accompagnava alcuni giornalisti a visitare siti di disboscamento. Sempre in Cambogia anche un giornalista, che si era occupato di disboscamento illegale, è stato trovato morto nel cofano della sua macchina. Solo lo scorso anno altri clamorosi omicidi di attivisti si sono verificati nelle Filippine, in Brasile, Messico e Laos.
Conflitti di questa natura sono presenti in tutto il mondo. In Camerun un’enorme piantagione di palme da olio, gestita dall’americana Herakles Farms, è stata recentemente oggetto di rivolte e proteste da parte della comunità, portando all’arresto dei leader dei manifestanti. La costruzione della mega-diga di Belo Monte in Brasile è stata bloccata svariate volte da occupazioni degli indigeni, che combattono contro questa diga da decenni.
“Quando i diritti comunitari sulla terra vengono violati, chiunque sia coinvolto è esposto a un livello di rischio molto alto, dai governi locali e nazionali alle imprese private, fino ai loro fornitori” afferma Jeffrey Hatcher, Direttore dei Programmi Globali di RRI. “Rispettare e garantire i diritti sulle terre delle comunità locali minimizza i rischi. Conviene sia ai governi sia alle imprese.”