Concentrazione di biossido di carbonio nell’atmosfera in 650.000 anni, da una sintesi di indicatori indiretti forniti da carote di ghiaccio con integrazione di sistemi moderni di misurazione diretta. Grafico per gentile concessione della NASA.Cliccare per ingrandire.
Secondo dati recenti prodotti dall’Amministrazione Nazionale Oceanica ed Atmosferica (NOAA), la concentrazione di biossido di carbonio nell’atmosfera è di circa 395 parti per milione. A seguito di misurazioni effettuate a Mauna Loa, nelle Hawaii, il NOAA ha notato che l’anno scorso si è verificato un aumento di 2,67 parti per milione, inferiore solamente alla crescita record di 2,93 ppm registrata nel 1998. La notizia riduce ulteriormente la speranza che i Paesi rispettino l’obiettivo di contenere l’aumento delle temperature globali entro il limite di 2 gradi Celsius (3,6 gradi Fahrenheit) a partire dai livelli preindustriali.
Gli scienziati rivelano all’agenzia di stampo Associated Press che l’aumento smisurato di biossido atmosferico sia molto probabilmente dovuto al crescente utilizzo di combustibili fossili nei Paesi in via di sviluppo e specialmente in Cina. Aggiungono, inoltre, che l’anno scorso oceani e piante hanno assorbito una quantità di carbonio minore rispetto al solito.
Poiché il calore rimane intrappolato nell’atmosfera, i livelli di biossido di carbonio in crescita stanno rapidamente surriscaldamento il pianeta. Dal precedente decennio ad oggi, le temperature globali hanno subito un aumento di 0,8 gradi Celsius (1,4 gradi Farhenheit).
Il surriscaldamento globale è responsabile di molteplici e diversi impatti ambientali, tra i quali l’innalzamento del livello dei mari, lo scioglimento delle calotte polari artiche, la scomparsa dei ghiacciai, maggiore frequenza di eventi climatici estremi, aumento dell’intensità di alluvioni e fenomeni di siccità, slittamento delle stagioni e migrazioni di specie animali. A causa del continuo surriscaldamento della terra, gli scienziati prevedono migrazioni umane su larga scala dalle isole e aree costiere a livello del mare, crisi cicliche per l’agricoltura globale, estinzioni di massa e possibile aumento di conflitti tra popolazioni.
Il mese scorso, Christine Lagarde, direttore del Fondo Monetario Internazionale (FMI), ha definito il cambiamento climatico “la più grande sfida economica del 21esimo secolo”.
“I risultati scientifici ci fanno riflettere: nel 2012, la temperatura globale è stata tra le più calde registrate a partire dal primo rilevamento record effettuato nel 1880. Indubbiamente, se non ci decidiamo ad agire congiuntamente, il futuro del nostro pianeta è in pericolo,” afferma la Lagarde. “La crescita è necessaria ma è anche necessario che sia verde, nel rispetto dell’ecosostenibilità. Una buona politica ecologica è una buona politica economica, motivo per cui assumono estrema importanza la determinazione del giusto prezzo per il carbonio e la rimozione dei sussidi ai combustibili fossili”.
In risposta al cambiamento globale, i Paesi si sono impegnati a contenere l’aumento delle temperature al di sotto dell’obiettivo dei 2 gradi Celsius. Tuttavia, ad oggi, i risultati ottenuti non sono sufficienti ad assicurare che l’aumento della temperatura non sia estremamente maggiore. Molte nazioni in via di sviluppo, quali Cina e India, non hanno smesso di costruire centrali elettriche alimentate a carbone, le quali rappresentano la fonte più intensa di energia a carbone nel mondo. Contemporaneamente, le nazioni più industrializzate, quali Stati Uniti e Canada, non hanno considerato prioritaria la gestione del cambiamento climatico. Ad oggi, negli Stati Uniti non esiste una legislazione che si occupi delle emissioni di anidride carbonica e il Canada, loro vicino settentrionale, non ha mantenuto le promesse fatte, concentrandosi sull’espansione dell’industria delle sabbie bituminose per ricavare petrolio ad alto contenuto di carbonio.