La caccia non sostenibile di elefanti, gorilla, antilopi della foresta e altri dispersori di semi potrebbe avere impatti a lungo termine sulla salute e la resilienza delle foreste pluviali del bacino del Congo, come segnala uno studio pubblicato nel giorno di oggi in un’edizione speciale del periodico Philosophical Transactions of The Royal Society B.
Dopo aver portato avanti una revisione di più di 160 documenti e rapporti sulle tendenze riscontrate nella fauna selvatica, nella caccia e nell’uso del territorio nel bacino del Congo, un gruppo di ricercatori dell’Università di Oxford, l’Università di Queensland, l’Univeristà di Stirling e la Wildlife Conservation Society sono arrivati alla conclusione che, a meno che non si istituisca un piano di gestione efficace, la caccia nella regione probabilmente aumenterà, con effetti a catena sul piano ecologico.
Gli autori avvertono che “i profondi cambiamenti ecologici a cui la caccia ha dato inizio … potrebbero anche aggravare gli effetti del cambiamento climatico previsti per la regione.”
Da lungo tempo gli uomini hanno cacciato gli animali nelle foreste tropicali africane, ma negli ultimi decenni la proliferazione di strade usate per il disboscamento, che offrono accesso alle aree più remote delle foreste, e l’emergenza di grandi mercati urbani per la carne di animali selvatici sono culminati in un netto aumento nella regione della caccia a fini commerciali. La richiesta esplosiva di avorio sta peggiorando la situazione, dando luogo ad un impoverimento di una serie di specie che disperdono i semi e della fauna selvatica, che gioca un ruolo fondamentale nell’ecologia forestale. Per esempio, la perdita di elefanti nelle foreste dell’Africa occidentale ha innescato uno spostamento verso alberi più piccoli che crescono più velocemente ma che sono meno diversificati e immagazzinano meno carbonio.
“Le specie arboree i cui semi vengono dispersi dagli animali, in particolare quelle i cui semi sono dispersi dai grandi mammiferi, contribuiscono di conseguenza ad un’alta proporzione della capacità totale dell’immagazzinamento del carbonio delle foreste,” scrivono gli autori. “L’immagazzinamento del carbonio può perciò venire compromesso nel tempo, se la rigenerazione degli alberi viene ostacolata dai cambiamenti nelle associazioni della fauna, inclusi l’estinzione delle grosse specie che sono dispersori specializzati o l’aumento delle specie predatori di semi che si godono la libertà ecologica dai loro predatori”.
Queste foreste potrebbero essere meno resistenti agli effetti del cambiamento climatico, incluso l’aumento della frequenza di siccità e incendi.
“Anche il minimo inaridimento associato a temperature più alte, a cambiamenti nelle precipitazioni o all’aumento delle incursioni umane previste per questa regione potrebbero rendere le foreste più vulnerabili agli incendi in futuro,” scrivono gli autori. “La resilienza delle foreste è stata utilizzata per indicare la resistenza della vegetazione al cambiamento; tuttavia, la funzione ecologica anche in una foresta apparentemente ‘resiliente’ può essere significativamente influenzata dagli aumenti relativamente minimi di temperatura previsti.”
“Sotto la volta della foresta si stanno già verificando gravi cambiamenti ecologici dovuti alla caccia,” ha detto il co-autore Dr. Lauren Coad dell’Università di Queensland e l’Università di Oxford in una dichiarazione. “La rimozione della mega-fauna responsabile della disseminazione come elefanti e scimmie potrebbe diminuire l’abilità delle foreste a sequestrare il carbonio.”
Gli autori notano che, mentre la deforestazione è diminuita nella regione nell’ultimo decennio relativo agli anni 90, la degradazione, la costruzione di strade e la conversione delle foreste sono pronti ad aumentare con il crescente investimento in piantagioni di olio di palma, piantagioni di alberi da gomma, e campi di zucchero di canna, assieme all’eventuale espansione della deforestazione industriale e estrazione mineraria.
“Le infrastrutture per il disboscamento e le strade industriali scaturiscono un effetto domino di fattori che intensificano la caccia, come ad esempio la crescita demografica della forza lavoro immigrata, l’aumento dei ricavi e della richiesta di carne selvatica“, scrivono. “Sebbene il disboscamento per sé possa influenzare il numero di animali per chilometro quadrato modificando gli habitat a livello del paesaggio e locale, ci sono delle prove nella regione che dimostrano che gli impatti secondari del disboscamento hanno al momento un peso di gran lunga maggiore.”
Considerato il rischio che la caccia elevata, e gli impatti ecologici ad essa associati, potrebbero aumentare, i ricercatori concludono con un appello per una pianificazione migliore nella regione.
“Se le future comunità umane e delle fauna selvatica dell’Africa centrale devono fare affidamento sulla gamma di servizi dell’ecosistema attualmente forniti dalle foreste pluviali – e se il valore di questi beni globali è da essere mantenuto – un’immediata gestione della caccia e dell’inserimento nella pianificazione dell’uso del territorio su larga scala di pratiche di caccia corrette deve essere considerato un’urgente priorità per la preservazione delle foreste pluviali e di conseguenza una parte importante e integrale della pianificazione per la gestione e l’attenuazione del cambiamento climatico.”
CITATION: Abernethy KA, Coad L, Taylor G, Lee ME, Maisels F. 2013 Extent and ecological consequences of hunting in Central African rainforests in the twenty-first century. Phil Trans R Soc B 368: 20120303. http://dx.doi.org/10.1098/rstb.2012.0303