- La ricerca scientifica condotta con mezzi innovativi ha cominciato a delineare il contesto ambientale, biologico e genetico del virus Zika, per determinarne l’attuale portata e sviluppare nuovi strumenti diagnostici e vaccini.
- Gli scienziati hanno trovato la scimmia selvaggia brasiliana contaminata dallo Zika, in tal modo gli animali (spesso presi come animali domestici) potrebbero agire da ricettacoli per il diffondersi della malattia. Un altro vettore del virus Zika, è la zanzara della specie Aedes aegypti (debellata negli anni 1950), che è tornata in gran numero, più resistente e più adattabile di prima.
- La ricerca su Zika è ostacolata dalle condizioni difficili che stanno all’origine dell’epidemia in Brasile – condizioni che vanno dalla burocrazia inerte, all’incriminazione presidenziale, all’enorme scandalo della corruzione nazionale, fino all’economia gravemente vacillante.
- C’è la preoccupazione che se Zika, che ha colto il mondo di sorpresa nel 2015, non venga rapidamente debellato, potrebbe essere diffuso, a livello mondiale, dagli atleti e dagli spettatori che hanno assitito alle Olimpiadi estive di Rio lo scorso mese di agosto.
“L’evoluzione della scienza avviene grazie alle domande che le vengono poste – e non alle risposte che vi vengono date.” Così disse Pedro Vasconcelos in un’intervista con Mongabay. Direttore dell’Evandro Chagas Institute (IEC) – uno dei 15 centri di ricerca del mondo che stanno urgentemente cercando un vaccino contro il virus Zika.
“La sua ricerca per questioni giuste inspira speranza, ma rivela anche che la strada per capire e controllare questo agente infettivo – che si è diffuso in tutta l’America Latina e ai Caraibi e minaccia il resto del mondo – è ancora abbastanza lunga.
Qui riportiamo ciò che abbiamo scoperto finora: la comparsa del virus, trasmesso dalla zanzara femmina della specie Aedes aegypti – che è anche il vettore della chikunguny, della febbre dengue e della febbre gialla – fu denunciata in 66 paesi tra il gennaio del 2007 e la fine di aprile 2016, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Di questi 66 paesi, 45 assistettero all’insorgere dell’epidemia dal 2015 in poi – che si diffuse molto rapidamente.
Non ci sono precedenti storici relativi ad un’espansione così rapida del contagio da parte degli artropodi – il gruppo a cui gli insetti appartengono. La febbre dengue, per esempio, ha impiegato decenni per raggiungere una simile diffusione.
In Brasile il patogeno è stato identificato a maggio dello scorso anno, ma nei pazienti i sintomi della malattia (una febbre leggera e discontinua e macchie rosse sul corpo) si erano manifestati già due mesi prima. Questi sintomi lievi erano stati inizialmente interpretati, in modo erroneo, come una forma leggera della dengue.
Gli effetti distruttivi dello Zika vennero riconosciuti solo nel novembre del 2015, quando cominciarono a comparire in numero sempre crescente neonati affetti da microcefalia – una condizione caratterizzata da una malformazione della testa che risulta essere più piccola rispetto alla media e può essere dovuta a cause genetiche o ambientali. I bambini affetti da microcefalia spesso hanno problemi di sviluppo e al momento non esistono cure per questa condizione, secondo la Clinica Mayo.
I ricercatori del Brasile e di tutto il mondo si apprestano ora a sviluppare degli strumenti diagnostici più affidabili, a creare un vaccino efficace e a determinare i fattori ambientali, biologici e genetici che consentono ad un virus un tempo innocuo di trasformarsi in una seria minaccia per la salute mondiale.
Arriva la crisi
E’ stata una specialista in medicina fetale, la ginecologa Adriana de Melo, che ha presentato per prima l’evidenza della relazione tra Zika e il numero crescente dei casi di microcefalia. Nell’ottobre del 2015 esaminò due donne incinte che portavano bambini con atrofia cerebrale e calcificazioni alle ossa, nello stato di Paraíba, nella parte nordorientale.
“Non ho mai visto prima una tale disfacimento nella testa di un feto prima d’ora,” affermò.
Melo volle analizzare i liquidi amniotici che circondavano i feti, ma il Ministro della Salute dello Stato di Paraíba rifiutò la richiesta. Imperterrita fece di nuovo la richiesta, ma stavolta all’Istituto Osvaldo Cruz (IOC-Fiocruz), affiliato al Ministero della Salute. Melo inviò dei campioni a Rio de Janeiro, pagando di tasca sua il loro trasporto.
Trovandosi di fronte ad un improvviso incremento di neonati affetti da microcefalia, il Ministro decretò, l’11 novembre 2015, un’ emergenza per la salute pubblica in Brasile. Sei giorni dopo, l’Istituto Osvaldo Cruz annunciò che il virus Zika era capace di attraversare la barriera costituita dalla placenta e raggiungere il liquido amniotico della donna incinta.
Prima di questa ondata, i casi di microcefalia a livello nazionale si aggiravano intorno ai 150 annui. Nel 2015 il numero si impennò fino a raggiungere i 4.000 casi registrati, mentre il numero delle nascite in Brasile rimase praticamente immutato, 2,8 milioni l’anno.
L’ultimo rapporto del governo brasiliano prende atto non soltanto della gravità della malattia ma anche dell’incertezza che vi è connessa: tra l’ottobre del 2015 e il 18 maggio 2016, vennero individuati in Brasile 7.534 casi sospetti di microcefalia – di cui il 76,5% nella parte nordorientale del paese. Tuttavia, soltanto 1.384 casi vennero confermati, mentre altre 2.818 diagnosi vennero scartate, e 3.332 sono ancora sotto osservazione.
Poiché i casi di microcefalia erano talmente rari prima dell’impennata del virus Zika, il Ministro della Salute comincia ad ipotizzare che i bambini che ricevono la diagnosi definitiva di microcefalia sono stati infettati dalle loro madri con il virus Zika, sebbene ci siano anche altri fattori in grado di causare questa malformazione neurologica.
Il 1 febbraio 2016 con Zika presente già in più di 20 paesi americani, l’Organizzazione Mondiale della Sanità dichiarò l’emergenza per la salute pubblica internazionale, riconoscendo la connessione tra il virus e la microcefalia – nonostante questa connessione non sia stata ancora scientificamente provata.
Un giorno più tardi, il Cile e gli Stati Uniti confermarono il loro primo caso di Zika (per trasmissione sessuale) e, da allora, casi simili sono stati riportati in Argentina, Perù, Canada, Francia, Italia, Portogallo e Nuova Zelanda.
Il calcolo dei casi
Quando una vecchia malattia, che si manifestava raramente, all’improvviso assume proporzioni epidemiche, ne consegue un frenetico darsi da fare per determinarne il numero dei casi, l’attuale portata e diffusione.
Ma per determinare questo numero sono necessari strumenti diagnostici molto accurati – strumenti che potrebbero inizialmente non esistere e che, in un primo momento, potrebbero portare a valutazioni errate.
La comprensibile difficoltà nel quantificare il numero delle infezioni da virus Zika risulta evidente dal recente ritiro del Brasile dei primi dati statistici, e dal regolare riesame delle proporzioni dell’epidemia.
Fino a marzo 2016, il Ministero stimò che 400.000 di 1,3 milioni di donne brasiliane erano state infettate dallo Zika nel 2015, ma poi decise di rivalutare i dati ed eliminò le statistiche dai precedenti bollettini epidemiologici online (sebbene queste vecchie stime possono ancora essere trovate al link dell’Organizzazione Mondiale della Sanità).
Il 26 aprile di quest’anno, il Ministero della salute pubblicò la nuova stima riguardo il numero di casi di infezione da Zika: dal febbraio del 2015 al 2 aprile 2016 sono stati riportati 91.387 casi. Tra questi, 7.584 erano donne incinte e, di queste, 2.844 casi sono stati confermati.
Uno dei principali problemi nella registrazione dei casi è che circa l’80% di coloro che contraggono il virus non presentano sintomi, di conseguenza non vengono valutati. E quando i sintomi cominciano a comparire appaiono molto simili a quelli della febbre dengue – un’epidemia che in Brasile, nel 2015, ha registrato livelli record con 1,6 milioni di probabili casi. Quest’anno si contano già più di 800.000 casi di febbre dengue nel paese, così è probabile che resti la confusione tra questa e le infezioni da virus Zika.
La sfida della diagnosi
I test per la diagnosi dello Zika furono sviluppati frettolosamente per non doversi trovare di fronte ad una nuova ondata epidemica, ma hanno ancora dei limiti. Il test per il materiale genetico PCR, per esempio, riesce a identificare il virus soltanto nei primi 5 – 7 giorni dell’infezione, e gli esami del sangue frequentemente presentano una reazione crociata con altre infezioni, come la febbre dengue.
Tuttavia ci sono alcune buone notizie: siamo sulla buona strada per nuovi test diagnostici.
A marzo di quest’anno, Marie-Paule Kieny, assistente direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per il servizio sanitario e l’innovazione, ha informato il mondo che i test per il rilevamento sono in fase più avanzata rispetto allo sviluppo del vaccino contro lo Zika.
Nello stesso mese, l’Istituto di Scienze Biomediche dell’Università di san Paolo (ICB-USP) ha annunciato la creazione di un esame del sangue che identifica gli anticorpi al virus perfino dopo che questo è stato espulso dal corpo. Il test ha rilevato che di otto madri di bambini affetti da microcefalia, la maggior parte è risultata positiva allo Zika. Altri esami del sangue non avevano identificato la presenza del virus in queste donne, che vivono in una città brasiliana con un alto tasso di microcefalia.
“Il test degli anticorpi potrà verificare se le donne incinte hanno contratto il virus prima della gravidanza,” dichiara fiducioso Paolo Zanotto. E’ il coordinatore dello Zika Network, una unità operativa che comprende 40 gruppi di ricercatori nello stato di San Paolo.
La scoperta di questo strumento diagnostico sta portando velocemente alla sua produzione di massa. L’ICB-USP collabora con il Butantan Institute (responsabile del 90% dei sieri e dei vaccini prodotti e consumati in Brasile) per la produzione di un kit diagnostico su larga scala. Il loro obiettivo è, secondo i virologi, distribuirlo gratuitamente negli ospedali e nelle banche del sangue di tutto il Brasile. “Stiamo facendo delle modifiche,” dice Zanotto. “L’efficacia del test diagnostico è stata provata, ma ci sono ancora dei problemi riguardo la sua sensibilità nell’applicazione di massa.”
Alla ricerca di un vaccino
Mentre delle diagnosi accurate sono cruciali per rilevare e tenere sotto controllo un’epidemia, è ovvio sperare che il passo successivo sia un vaccino efficace per combatterla.
La ricerca per il vaccino contro lo Zika sta coinvolgendo numerose istituzioni e compagnie per la salute pubblica. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, i due vaccini che, attualmente risultano in una fase di sviluppo più avanzata, provengono dall’Istituto Nazionale per la Salute (NIH) negli Stati Uniti e dal Bharat Biotech Company in India.
L’Istituto Nazionale per la Salute, in collaborazione con Istituto Butantan del Brasile, ha prodotto un vaccino contro la febbre dengue che si trova nelle sue fasi finali di sviluppo. Le due organizzazioni ora vogliono trasformare quel vaccino da tetravalente – in grado di respingere i quattro sottotipi del virus dengue – a pentavalente, che agirà anche contro il virus Zika. Uno dei problemi di questo approccio è che è ancora troppo presto per sapere con certezza se il virus Zika abbia più di un sottotipo.
A marzo, un test clinico preliminare condotto dall’Istituto Nazionale per la Salute e dall’Università John Hopkins ha dimostrato che il nuovo vaccino per la dengue ha protetto il 100% delle persone immunizzate. La terza fase dell’esperimento clinico, che coinvolge 17.000 volontari in Brasile, potrebbe essere pronta nel 2018.
“Grazie agli studi che abbiamo sulla dengue, che risulta essere molto simile allo Zika, ci possiamo muovere più velocemente verso il vaccino,” ha preannunciato Marcelo De Franco, vicedirettore del Butantan Institute.
La ricerca brasiliana rallentata dalla burocrazia
Lo sviluppo della diagnosi e del vaccino sono fondamentali per tenere sotto controllo lo Zika quanto il disporre di sufficienti risorse finanziare e capacità amministrative per mettere a disposizione quegli strumenti ad una vasta popolazione a rischio.
Lo Zika è comparso in un momento critico. La malattia ha raggiunto livelli epidemici nel momento in cui il governo brasiliano è inciampato in un complesso scandalo di corruzione nazionale, una messa in stato d’accusa presidenziale, ed un grave crollo dell’economia come non si registrava dagli anni 1930.
A tutto ciò si aggiunge la burocrazia del paese, nota per la sua inefficienza, alti livelli di povertà e la mancanza di servizi nelle zone rurali in cui è presente lo Zika, oltre alle Olimpiadi di Rio previste per questa estate – con turisti da ogni parte del mondo che potrebbero avere contratto la malattia e averla portata a casa – e ci troviamo di fronte a delle sfide logistiche senza precedenti storici con cui si stanno misurando ricercatori epidemici, professionisti medici e della salute pubblica.
Il governo federale del Brasile è stato lento nel rispondere alla crisi con un finanziamento. “Quattro mesi fa siamo giunti ad un accordo con il Ministero della Sanità, ma fino ad ora non è arrivato nulla,” dice Zanotto dell’ICB. “stiamo lavorando intensamente, con turni di 24 ore, e se non fosse stato per il supporto della FAPESP ( la Fondazione di Ricerca di San Paolo), che ha ridotto la burocrazia a quasi zero per il rilascio dei fondi – in realtà destinati ad altri progetti di ricerca – ci saremmo trovati in una situazione critica.”
Al Butantan, la ricerca sul virus (che comprende un progetto di sviluppo di un siero) è cominciata a gennaio. L’istituto ha firmato un contratto con il Ministero federale della Sanità a febbraio per 8,5 milioni di dollari, promessi entro trenta giorni. Tuttavia, sono passati più di due mesi e neanche la somma iniziale è ancora arrivata,” afferma De Franco. “Questo ritardo è inconcepibile – il governo trascura una situazione di emergenza come tutto il resto della burocrazia.”
Altri 28 milioni di dollari necessari a pagare la fase finale dello sviluppo del vaccino dengue/Zika sono bloccati nello stesso pantano burocratico. L’aiuto è finalmente arrivato l’11 aprile, quando una delegazione dell’ Autorità dello sviluppo e della ricerca biomedica avanzata (BARDA), una divisione del Dipartimento della Sanità e dei Servizi alla persona degli Stati Uniti, è arrivata a San Paolo e ha collaborato con l’istituto, che ha ora ricevuto 1,2 milioni di dollari per gli studi sullo Zika.
“Il vaccino è l’unico modo in grado di offrire una valida risposta alle donne in età fertile, che siano incinte o meno,” ha affermato Pedro Vasconcelos, dell’Istituto Evandro Chagas (IEC).
Con base nello stato di Pará, l’IEC sta lavorando in stretta collaborazione con la University of Texas Medical Branch (UTMB) sullo sviluppo di una sostanza immunizzante. Si stanno effettuando test preclinici sui topi a Galveston, nel Texas, e con le scimmie a Belém, nello stato di Pará, in Brasile, e dovrebbero essere completati nel febbraio del 2017.
“Successivamente, vogliamo accelerare il processo accorciando le fasi dell’esperimento sull’ uomo.
Tutto questo sarà difficile da gestire con l’Organizzazione Mondiale della Sanità e con l’Anvisa – l’ente governativo che regolamenta il settore della sanità in Brasile,” come ci ha spiegato il virologo. “Tuttavia, ci sono dei precedenti. Il vaccino per l’Ebola è stato creato in tempi record ed è risultato altamente efficace.”
A maggio, la University of Texas Medical Branch ha annunciato che una squadra di ricercatori ha sviluppato un clone del virus Zika. La copia geneticamente riprodotta è del tipo che si è diffuso in tutta l’America e che è stato associato ai casi di microcefalia. Il clone del cDNA rappresenta un passo in avanti verso la comprensione del legame che il virus ha con malattie tanto gravi, afferma l’autore alla guida dello studio Pei-Yong Shi, professore alla UTMB. “Il nuovo clone rappresenta una fase critica nello sviluppo di un vaccino e di una sostanza antivirale contro lo Zika. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Cell Host & Microbe.
Individuare le origini dello Zika
La University School of Medicine John Hopkins ha studiato a lungo le malattie collegate allo sviluppo neurologico attraverso la ricerca sulle cellule staminali. Questo marzo – solo un mese dopo l’inizio del lavoro con il virus Zika – John Hopkins ha determinato che il virus ha la capacità di infettare un determinato tipo di cellule staminali neurologiche, quelle che consentono la crescita della corteccia cerebrale di un bambino – l’area del cervello responsabile delle abilità intellettuali.
“Ancora più importante, esso causa l’assottigliamento degli strati corticali, caratteristica che somiglia molto alla microcefalia,” ha affermato Guo-Li Ming, uno dei coordinatori della ricerca. Per velocizzare i risultati della ricerca, lo studio negli Stati Uniti è stato diviso tra quattro laboratori universitari. “Se fosse stato condotto da un singolo laboratorio, ci sarebbero voluti dai sei mesi ad un anno per giungere a questo risultato,” ha affermato lo studioso di neurologia.
Il 31 marzo 2016, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha ufficialmente riconosciuto che lo Zika causa la microcefalia e altri difetti della nascita – sebbene diversi studiosi brasiliani avevano sostenuto questa posizione già dalla fine del 2015. Il 13 aprile, anche il Centro per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie (CDC) ha ufficialmente approvato questa conclusione, sostenendo che l’evidenza è sufficiente a stabilire una relazione causale.
Per capire il motivo per cui il virus è improvvisamente diventato così grave, causando la microcefalia, gli studiosi hanno bisogno di rappresentare la sequenza completa del genoma del virus Zika su più campioni possibili. La mappa genetica del virus di campioni multipli permette agli studiosi di individuare con precisione le possibili mutazioni nel genoma che potrebbero avere come risultato delle malformazioni congenite.
I dati forniti dalla GenBank dell’Istituto Nazionale per la Salute – una collezione di sequenze genetiche provenienti da tutto il mondo – ci mostra che la sequenza dello Zika è in aumento. Tra il 1998 ( l’anno della prima registrazione della sequenza dello Zika alla GenBank) e il 2012, erano state registrate soltanto 13 sequenze; nel 2014 e 2015, il numero delle sequenze è schizzato a 196 (di cui 11 registrate in Brasile). Nella registrazione del 15 aprile 2016 sono aumentate di 88 (di cui 41 in Brasile).
“Abbiamo bisogno di molti campioni con una cospicua carica virale per registrare più sequenze. Il problema è che lo Zika si riscontra in piccole quantità nel sangue,” dice Renato Aguiar, un membro della squadra dell’Università Federale di Rio de Janeiro (UFRJ) che, insieme a Fiocruz, registrò la prima sequenza completa del genoma dello Zika in Brasile.
L’impegno a sequenziare il gene fu la conseguenza della scoperta che il virus in Brasile era lo stesso che nel 2013 causò l’epidemia dello Zika nella Polinesia Francese – lo stesso, ma comunque differente: “Sappiamo che ha subito delle mutazioni nel momento in cui è giunto nell’America Latina, e che è divenuto maggiormente neurotossico rispetto all’originale virus africano. Un più elevato numero di sequenze genetiche ci aiuterà a capire quell’evoluzione,” afferma il biologo della UFRJ. Puntualizza inoltre che una grave mancanza di risorse per la ricerca sullo Zika in Brasile sta ostacolando i lavori: dobbiamo prelevare i fondi destinati ad altri progetti per non interrompere gli studi sullo Zika.”
Originariamente scoperto nella foresta Zika, in Uganda durante una spedizione di controllo per la febbre gialla, il virus venne per la prima volta identificato e isolato dal sangue di un macaco Rhesus nel 1947. Nei 60 anni seguenti, ci furono soltanto 14 registrazioni di persone infette in Africa e Asia, ma non gravi epidemie. Nel 2007, invece, si è manifestata la prima seria epidemia nell’Isola di Yap (Micronesia), con il 73% della popolazione al di sopra dei 3 anni, di poco superiore agli 11.000 abitanti, che risultò infetta.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità, il 20 maggio 2016 ha riportato che, in modo insolito, la nuova versione del virus Zika, quello che causa la microcefalia, ha ora preso piede in Africa- dove furono identificate nel 1947 le prime forme innocue del virus.
Nell’ignoto
Quasi 70 anni dopo la scoperta dello Zika in Africa, i ricercatori dell’Istituto di Scienze Biomediche trovarono il virus in Sud America. Così tra luglio e novembre del 2015, un gruppo di studiosi prelevarono campioni di sangue da quindici marmosette (Callithrix jacchus) e nove scimmie cappuccino (Sapajus libidinosus) catturati in diverse zone dello stato di Ceará, in cui si erano verificati episodi di Zika e di microcefalia.
“Il materiale era destinato alle ricerche sulla rabbia, ma abbiamo deciso di testare i campioni anche per lo Zika [utilizzando la diagnostica basata su PCR]. Fu una sorpresa quando emerse che il 29% dei primati risultò positivo al virus,” dichiarò Edison Durigon, professore del dipartimento di microbiologia dell’ICB. I risultati preliminari di questo studio sono stati pubblicati sul sito bioRxiv il 20 aprile.
La possibilità che le scimmie possano avere la funzione di ricettacolo per il virus, facilitando in tal modo il perpetuarsi della contaminazione delle persone, è preoccupante, ha affermato Durigon. “Questi animali non sono completamente selvatici; essi vanno spesso vicino le abitazioni in cerca di cibo e potrebbero essere state contaminati in questo modo.” Ad ogni scimmia è stato impiantato un microchip prima di essere stata rilasciata nel suo habitat naturale. La squadra di studiosi ha in mente di tornare questo mese nello stato di Ceará per ulteriori ricerche.
Il controllo del vettore si sta dimostrando particolarmente difficoltoso. Negli anni ’50, la zanzara Aedes aegypti era stata eradicata dal Brasile e da altri paesi dell’America Latina e dei Caraibi nella decade successiva. Gradualmente, tuttavia, la zanzara si è ripresentata.
“Abbiamo smesso di avere un atteggiamento così rigoroso contro l’ Aedes perché non sembrava essere più una minaccia. Poi si è ripresentata e con gravi complicazioni,” ha affermato Jorge Kalil, direttore dell’Istituto Butantan , in un recente dibattito televisivo. “Gli studi mostrano come l’attuale zanzara sia più veloce e si riproduca molto più rapidamente. Può deporre le sue uova in acque non troppo pulite, al contrario di quello che pensavamo, e riesce a sopravvivere a temperature più fredde, mentre in passato [supponiamo che potesse prosperare soltanto] in zone caratterizzate da clima caldo.”
Mentre sono già state fatte importanti scoperte sul virus Zika, ci sono ancora questioni fondamentali da risolvere e molto da capire.
Gli studiosi vogliono sapere: che cosa ha causato la mutazione del virus e perché è diventato così neurotossico? Come fa il sistema immunitario ad eliminarlo dall’organismo? Qual è il meccanismo in base al quale attraversa la doppia barriera della placenta nelle donne incinte? Come fa ad attraversare la barriera cerebrale e portare tanto scompiglio nel cervello del feto? Che relazione c’è tra quello che è ricomparso, più resistente, la zanzara Aedes aegypti e lo Zika? E quali sono i rischi che possono provenire da un virus che può nascondersi nelle specie di scimmie presenti nell’America Latina?
“Ciò che mi spaventa è che non conosciamo l’impatto futuro sulla nuova generazione [di bambini] infetta,” dice Zanotto dell’ICB. Le conseguenze che può comportare questo virus sono imprevedibili.
“Ciò che sappiamo,” conclude Zanotto, “è che la diffusione dello Zika, e la potenziale comparsa di altri virus, sono collegate alla crescita della popolazione e al degrado ambientale. L’essere umano invade la natura e – insieme alla povertà e all’urbanizzazione precaria – ci troviamo come risultato di fronte all’attuale scenario; che continuerà in futuro.”