- Il presidente eletto Donald Trump durante i comizi della sua campagna elettorale ha promesso di ritirare gli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi sul clima: una mossa che, se portata a termine, secondo i delegati alla COP22 e le ONG, risulterebbe disastrosa per l’economia americana e per l’intero pianeta.
- L’Accordo sul Clima di Parigi è entrato in vigore a novembre e 195 nazioni, Stati Uniti compresi, sono ora obbligate a rispettare l’impegno volontario a ridurre le emissioni di anidride carbonica e ad attenersi all’accordo per tre anni prima di poterne uscire. Il ritiro di Trump e degli Stati Uniti richiederebbe ancora un altro anno, dunque il suo intero mandato presidenziale.
- “ Oltre che per la politica interna, la modernizzazione del sistema energetico e delle infrastrutture di base [promossa dall’Accordo di Parigi] rappresenta un bene per l’economia statunitense, per i posti di lavoro, per la crescita,” sostiene Christiana Figueres, ex Segretario Esecutivo delle recenti conferenze sul clima delle Nazioni Unite.
- “L’Accordo di Parigi è stato firmato e ratificato non da un presidente, ma dagli Stati Uniti stessi. Per una questione di diritto internazionale ma anche di sopravvivenza della specie umana, le nazioni del pianeta potranno e dovranno mantenere gli Stati Uniti vincolati all’impegno preso nei confronti del clima, e lo faranno,” ha dichiarato Carrol Muffet, presidente del Center for International Environmental Law.
La sensazionale elezione di Donald Trump a futuro Presidente degli Stati Uniti ha lasciato scioccati e turbati i delegati riunitisi a Marrakech, in Marocco, per la ventiduesima Conferenza sul Clima delle Nazioni Unite. I loro sentimenti vanno dalla disapprovazione a un consenso speranzoso.
Appellandosi alla naturale propensione agli affari dell’eletto presidente, Christiana Figueres, ex Segretario Esecutivo alle recenti conferenze sul clima delle Nazioni Unite, ha dichiarato: “Oltre che per la politica interna, la modernizzazione del sistema energetico e delle infrastrutture di base [promosse dall’Accordo di Parigi] rappresenta un bene per l’economia statunitense, per i posti di lavoro, per la crescita.”
Michael Brune, direttore esecutivo del Sierra Club, si è espresso senza mezzi termini: “Ora Donald Trump si distingue in maniera spiacevole per essere l’unico capo di stato del mondo interno a rifiutare il consenso scientifico che attribuisce i cambiamenti climatici all’uomo. Non importa cosa succederà, Trump non può modificare il fatto che l’energia eolica e l’energia solare stanno diventando rapidamente molto più accessibili e convenienti degli sporchi combustibili fossili.”
L’ansia e il turbamento dei delegati non sono da biasimare. Barack Obama è stato il primo presidente degli Stati Uniti a fare dei cambiamenti climatici una colonna portante del proprio mandato. Il suo Segretario di Stato, John Kerry, ha svolto un ruolo cruciale nell’approvazione dell’Accordo di Parigi lo scorso dicembre, mentre la candidata democratica alla presidenza Hillary Clinton ha promesso che si sarebbe basata sul mandato di Obama.
Ma a gennaio sarà Trump a occupare la Casa Bianca. E Brune fa notare che Trump ha liquidato le scienze del clima come “una bufala” e ha promesso di “cancellare” ogni tipo di impegno preso dai suoi predecessori nell’Accordo di Parigi.
Nessuna uscita immediata
Non sarà facile mantenere la promessa. I capi di più di 75 nazioni, che rappresentano più del 60 per cento delle emissioni di anidride carbonica, hanno ratificato l’Accordo di Parigi in appena 10 mesi (erano necessarie 55 nazioni e il 55 per cento delle emissioni), facendolo entrare in vigore a livello internazionale il 4 novembre.
Tutti i 195 paesi dell’accordo sono ora obbligati a rispettare l’impegno volontario a ridurre le emissioni di anidride carbonica e ad attenersi a tutte le disposizioni dell’accordo per tre anni prima di poterne uscire. Inoltre, l’uscita dall’accordo richiederebbe ancora un altro anno, precisano i funzionari delle Nazioni Unite, ovvero la durata di un intero mandato presidenziale.
“L’Accordo di Parigi è stato firmato e ratificato non da un presidente, ma dagli Stati Uniti stessi,” ha dichiarato Carrol Muffett, presidente del Center for International Environmental Law. “Per una questione di diritto internazionale ma anche di sopravvivenza della specie umana, le nazioni del pianeta potranno e dovranno mantenere vincolati gli Stati Uniti all’impegno preso nei confronti del clima, e lo faranno.”
Hilda Heine è il presidente della Repubblica delle Isole Marshall, un paese la cui esistenza stessa è minacciata dall’innalzamento del livello dell’oceano, e ha ricordato a Trump che presto avrà delle responsabilità a livello mondiale.
“Durante lo scorso anno Trump è stato autore di molte dichiarazioni spavalde sui cambiamenti climatici,” ha detto la Heine, “ma ora che…di fatto ha il comando, mi aspetto che si renda conto che tali mutamenti rappresentano una minaccia per il suo popolo e il suo paese, come pure per i paesi bagnati dallo stesso oceano degli Stati Uniti, compreso il mio.”
Tina Johnson, capo stratega della statunitense Climate Action Network, sembra appellarsi alla natura competitiva di Trump:
“Ha l’opportunità di catalizzare nuove azioni a favore del clima che suggeriscano chiaramente agli investitori di rimanere sulla strada della transizione verso un’economia basata sull’energia rinnovabile. Cina, India e altri concorrenti sono in corsa per diventare la superpotenza mondiale dell’energia pulita e gli Stati Uniti non vogliono rimanere indietro.”
Gli obiettivi di Marrakech
L’obiettivo dell’Accordo di Parigi è passare in fretta a un’economia a zero emissioni per rallentare il tasso di riscaldamento globale e impedire che, entro il 2100, le temperature del pianeta aumentino di altri 0,5 gradi Celsius. I delegati di Marrakech stanno lavorando alla stesura di un “manuale operativo” per raggiungere una serie di obiettivi ambiziosi. La partecipazione decisa degli Stati Uniti, il secondo paese al mondo, dopo la Cina, per emissioni di gas serra, è ritenuta di cruciale importanza.
La Terra ha vissuto gli anni più caldi mai registrati per più di dodici anni consecutivi. Le temperature medie mondiali dal 1900 si sono già innalzate di 1 grado Celsius provocando lo scioglimento delle calotte polari, l’innalzamento del livello degli oceani, lo sbiancamento delle barriere coralline, siccità persistente ed eventi atmosferici di intensità senza precedenti.
“Dalle infrastrutture agli aiuti esterni, ogni decisione del nuovo presidente dovrà essere presa dalla prospettiva di un intervento coraggioso per il clima,” ha dichiarato May Boeve, direttore esecutivo di 350.org, ONG di azione per il clima. “Non basta ammettere che i cambiamenti climatici esistono davvero. Abbiamo bisogno di un presidente che velocizzi in modo significativo il passaggio di tutti dai combustibili fossili all’energia rinnovabile al 100 per cento.”
Consapevoli che i loro appelli potrebbero rimanere inascoltati, alcuni delegati ONU si preparano a fare pressione sui sindaci delle più grandi metropoli del mondo come Pechino, Nuova Delhi, Tokyo, Bangkok e Los Angeles affinché aumentino i propri sforzi a ridurre la propria impronta di carbonio.
Eppure il ruolo del governo americano rimane fondamentale. E non è solo Trump a manifestare ostilità nei confronti dei cambiamenti del clima. I Repubblicani, che a gennaio controlleranno sia la Camera che il Senato, non hanno mostrato alcun interesse a sostenere le iniziative per il clima intraprese da Obama.
Una delegata, Annaka Peterson, responsabile di programma esperto per la ONG Oxfam America, ha fatto lo stesso appello.
“Il mondo non aspetterà gli Stati Uniti, e non lo farà nemmeno il clima,” ha dichiarato Peterson. “Quest’anno gli effetti dei cambiamenti climatici sono costati agli Stati Uniti centinaia di miliardi di dollari e, solo in Africa meridionale, hanno messo 40 milioni di persone a rischio di carestia. Il nuovo presidente deve lavorare con il Congresso per procedere in fretta verso il taglio delle emissioni e verso la protezione dei diritti di uomini e donne che subiscono in prima linea la crisi del clima.”