- Secondo i biologi della conservazione, la narrazione orale indigena è uno strumento potente per la preservazione delle loro biodiversità.
- I conservazionisti dovrebbero superare la loro storica negligenza sul campo attraverso l’autentica collaborazione con le popolazioni indigene e l’ascolto dei loro racconti.
Mentre la luna sorge sull’Amazzonia boliviana, gli Tsimani si radunano attorno al fuoco per raccontarsi delle storie. Un biologo della conservazione seduto in mezzo a loro porge l’orecchio per catturare ogni loro parola, scoprendo così di avere tanto da imparare da quel ricco patrimonio culturale.
La narrazione orale indigena è uno strumento potente per la preservazione delle biodiversità secondo Álvaro Fernández-Llamazares, un ricercatore ambientale dell’Università di Helsinki, in Finlandia. Dopo avere ascoltato le storie indigene in Bolivia, in Costa Rica in Kenya e in Madagascar, Fernández-Llamazares ha proposto la teoria secondo cui la narrazione orale può trasformare il modo in cui i biologi della conservazione lavorano con gli indigeni. Questo è quanto sostiene in un suo articolo, apparso su un numero recente di Conservation Letters e scritto in collaborazione con la famosa biologa della conservazione, Mar Cabeza, anche lei dell’Università di Helsinki. Durante i suoi anni di lavoro sul campo, la Cabeza ha raccolto delle storie da condividere con sua figlia. In esse ha notato la potenzialità di coinvolgere gli indigeni nella protezione dei loro ambienti. Fernández-Llamazares ha infatti dichiarato in un’intervista: ‘Durante il nostro lavoro sul campo in Kenya dove ascoltavamo le storie raccontate dalle popolazioni indigene dei Daasanach e dei Maasai, mentre eravamo seduti attorno al fuoco abbiamo iniziato a pensare ai modi in cui la narrazione orale potesse venire introdotta negli ambiti di conservazione’.
Le storie conferiscono un certo carattere alla vita selvaggia locale, voci agli alberi e risonanza spirituale al sorgere del sole. Inoltre connettono le popolazioni indigene al loro ambiente e li guidano nell’interazione con lo stesso. Storicamente, i biologi della conservazione hanno sradicato le culture indigene in nome della conservazione dell’ambiente. Nella convinzione di sapere meglio di tutti, hanno infatti ignorato il patrimonio culturale degli indigeni scacciandoli dalla loro terra ancestrale per fare posto al progresso.
Fernández-Llamazares e Cabeza sostengono che i biologi della conservazione possono superare tale storica negligenza ascoltando le storie narrate dagli indigeni. Ha dichiarato infatti Fernández-Llamazares: “È da tempo che le popolazioni indigene esprimono il desiderio di riscontrare più umiltà nei biologi e nei professionisti della conservazione; ebbene, il segreto sta nel considerare come valido ogni patrimonio di conoscenze”.
Le storie connettono le persone al loro paesaggio, alla loro eredità e tra di loro. La narrazione orale alimenta il dialogo tra le generazioni e offre la situazione ideale per lo scambio delle idee. È in questo modo che le storie preservano la cultura e altrettanto potrebbero fare per l’ambiente, come ha scritto Fernández-Llamazares.
Nel suo articolo, Fernández-Llamazares descrive alcuni progetti che mettono in pratica questa idea. Tali progetti comprendono una serie di trasmissioni radio finanziata dall’IUCN sulla conservazione del lemure in Madagascar e una mostra sui tradizionali miti degli Tsimané in Bolivia. Il fattore chiave di tali sforzi consiste ”nell’accettare gli indigeni come legittimi collaboratori, da pari a pari”, come spiega Fernández-Llamazares.
Ad incarnare proprio questa filosofia è l’ACT, ovvero il team di conservazione dell’Amazzonia, che appunto collabora con le comunità indigene del sud America nella salvaguardia della foresta tropicale e della loro cultura tradizionale. Rudo Kemper, antropologo dell’ACT, ha affermato: “In Amazzonia le comunità indigene valorizzano molto la foresta e la considerano un aspetto essenziale del loro territorio, che è a sua volta integralmente legato alla loro identità personale”. Aggiunge inoltre che le loro tradizionali narrazioni orali sono tanto vitali quanto a rischio di estinzione.l’ACT ha recentemente avviato un progetto con i cimarroni Matawai per preservare i loro racconti orali insegnando ai giovani come registrare le interviste con gli anziani. I ricercatori sono riusciti finora a raccogliere storie provenienti da più di 50 terre ancestrali dei Matawi e stanno sviluppando una mappa digitale, disponibile sia online che offline, in cui caricare le storie connettendole allo spazio e al territorio”, secondo quanto ha affermato Kemper su Mongabay.
Fernández-Llamazares dice di augurarsi che progetti come questi diventino il trend maggiore nell’ambito della conservazione delle biodiversità invitando però anche ad essere cauti: “Dobbiamo essere molto attenti a garantire che questi progetti siano eseguiti secondo le tradizioni indigene attuali, altrimenti si rischia di erodere il patrimonio culturale che si vuole rivitalizzare”.
E infine aggiunge: “Raccomando anche un po’ di umiltà”.
CITAZIONE
- Fernández-Llamazares, A., & Cabeza, M. (2017). Rediscovering the Potential of Indigenous Storytelling for Conservation Practice. Conservation Letters. doi:10.1111/conl.12398
Nicoletta Lanese è una studentessa universitaria del Corso di Scienze della Comunicazione della UCSC, l’Università della California, in Santa Cruz. Altre storie di Mongabay scritte da studenti della UCSC si possono trovare sul seguente link: https://news-mongabay-com.mongabay.com/list/ucsc/.