- Una nuova ricerca mostra come molte specie di primati, il 65% delle quali si trova in quattro Paesi – Brasile, Indonesia, Madagascar e Repubblica Democratica del Congo - siano a rischio di estinzione.
- I ricercatori coinvolti nello studio hanno utilizzato mappe sulla distribuzione dei primati e informazioni sulle minacce a cui questi animali sono esposti, per prevedere cosa potrebbe accadere loro entro la fine del ventunesimo secolo.
- Hanno scoperto che l'aumento della conversione delle foreste in pascoli e terreni agricoli potrebbe causare una sostanziale diminuzione dell'habitat dei primati in questi Paesi.
- Ciononostante, i ricercatori hanno anche scoperto che gli sforzi per la conservazione potrebbero ridurre drammaticamente la perdita di habitat di queste specie entro il 2100 e potrebbero, potenzialmente, evitarne l'estinzione di massa.
I nostri cugini primati sono riusciti a colonizzare una vasta porzione del pianeta, arrivando a stabilirsi in 90 Paesi. Tuttavia, la maggior parte delle specie di scimmie, scimmie antropomorfe, lemuri, tarsi e lorisidi vive in Brasile, Indonesia, Madagascar e Repubblica Democratica del Congo (RDC) e una nuova ricerca ha evidenziato che il 62 % di queste specie si trova a rischio di estinzione a causa della caccia, della diminuzione o della totale perdita del loro habitat.
Il fatto che questi quattro Paesi, baluardi di biodiversità, siano stati terreno fertile per la nascita di queste specie uniche non ha sorpreso Paul Garber, primatologo presso l’Università dell’Illinois. La mera quantità di specie di primati presenti in questi Paesi costituisce un fattore indicativo, ha detto Garber.
“Rendersi conto che questi quattro Paesi ospitano il 65% di tutte le specie di primati ha reso questa pubblicazione una priorità“, ha spiegato a Mongabay in una e-mail. Lui e i suoi colleghi hanno pubblicato i loro risultati nella rivista Peer J il 15 giugno.

Nel 2017 Garber e altri 30 primatologi provenienti da tutto il mondo avevano concluso che il 60% di tutte le specie di primati esistenti potrebbe presto estinguersi per mano dell’uomo.
“È stato solo durante la stesura di quella pubblicazione che mi sono reso conto di quanto Brasile, Indonesia, Madagascar e RDC siano importanti per evitare l’estinzione di massa dei primati,” ha spiegato.
In totale, questi Paesi ospitano 286 delle 439 specie di primati esistenti al mondo. Tuttavia, ognuno di questi Paesi presenta una miriade di pericoli causati dall’uomo per la sopravvivenza di questi animali, le cui popolazioni stanno diminuendo. Per capire meglio queste problematiche, che tipo di impatto possano avere sulle popolazioni di primati e quello che governi, ambientalisti e ricercatori potrebbero fare, il team ha setacciato studi e ricerche sui primati provenienti da tutto il mondo, così come relazioni sull’andamento, ad esempio, dell’espansione agricola. In seguito, hanno sviluppato una serie di modelli di distribuzione per prevedere come queste minacce possano incidere, nel corso del ventunesimo secolo, sull’attuale distribuzione dei primati.

Tra i Paesi inclusi nello studio, più del 60% delle specie di primati sono classificate nelle liste IUCN (Unione Internazionale per la Conservazione delle Natura) come vulnerabili, a rischio di estinzione o a rischio critico di estinzione. Più del 90% delle specie presenti in Indonesia e Madagascar rientrano in queste categorie
Gli autori hanno scoperto che, in Indonesia, Madagascar e Brasile, la scomparsa delle foreste in seguito alla loro conversione in terreno agricolo resta una minaccia importante per l’habitat dei primati. Nella RDC, dove, come evidenziato da un recente studio, l’agricoltura tradizionale è stata responsabile del 90% della perdita di foreste durante la prima decade di questo secolo, la caccia di frodo costituisce la minaccia maggiore per le 36 specie di primati presenti nel Paese.
I ricercatori hanno anche analizzato quello che potrebbe accadere in tre differenti scenari: un modello dove le condizioni attuali restano invariate, uno ottimista ed uno pessimista.
“L’utilità di questo esercizio sta nel suggerire che le strategie di utilizzo del suolo orientate alla conservazione sono in grado di evitare lo scenario più pessimista,” ha dichiarato in un’email a Mongabay Alejandro Estrada, primatologo presso l’Università Nazionale Autonoma del Messico e autore principale sia dell’attuale pubblicazione che di quella del 2017.

Questa ipotesi pessimista, dove si suppone che l’espansione agricola continuerà ad aumentare ad una velocità maggiore rispetto al presente, ha portato i ricercatori a concludere che l’attuale distribuzione dei primati diminuirà in maniera sostanziale entro il 2100, di circa il 32% nella RDC e fino a più del 75% in Brasile. Di contro, se governi, ricercatori e associazioni no-profit collaborassero per la salvaguardia dei primati, la perdita di habitat potrebbe essere ridotta al 12% per il Brasile e al 24% per la RDC.
Per ridurre le perdite di habitat, gli autori richiedono un aumento delle dimensioni dei parchi e delle riserve naturali in cui vivono i primati. Attualmente, solo il 17% dell’habitat dei primati presenti in Indonesia e il 14% di quello nella RDC si trovano in aree protette, mentre in Brasile e Madagascar meno del 40% della distribuzione dei primati è protetto.
Tuttavia, proteggere piccole aree di foresta per i primati non sarà sufficiente per assicurarne la sopravvivenza, sostiene Estrada.
“L’espansione del sistema delle aree protette è una misura critica, ma queste aree non devono essere lontane, ma piuttosto, vicine l’una all’altra, collegate da corridoi di foresta e accessibili ai sopralluoghi,” ha detto.
Inoltre, affrontare la miriade di minacce (dall’aumento della quantità di terreno convertito all’agricoltura, alle attività minerarie, alla caccia e alla progettazione di infrastrutture, tra cui dighe) richiederà un approccio molteplice,” ha detto Estrada.
Queste strategie devono inoltre affrontare la povertà, la corruzione e l’influenza esterna di società internazionali che spesso finiscono per esacerbare queste minacce, ha detto Garber.

“A mio avviso, non esiste una soluzione efficace per la conservazione delle specie di primati non umani che non tenga in considerazione anche il miglioramento delle condizioni di vita delle comunità locali di primati umani,” ha dichiarato.
Altri rischi avranno senza dubbio un impatto sia sui primati non umani che su quelli umani, sostengono i ricercatori. Il cambiamento climatico potrebbe diminuire la quantità di habitat disponibile adatto ai primati e quindi mettere in pericolo la sopravvivenza della nostra specie. E questo vale anche per le malattie che, in combinazione con la persistente caccia di carne selvatica, potrebbero creare quello che Estrada definisce “un circolo vizioso epidemiologico”.
“I nostri parenti primati sono dei campanelli d’allarme”, ha spiegato Garber. “Se continueremo ad inquinare, deteriorare, alterare e distruggere sia le aree naturali che quelle create dall’uomo, i primati non umani scompariranno, ma nemmeno l’uomo sarà in grado di sopravvivere in quelle condizioni.”
Estrada ha condiviso queste preoccupazioni, aggiungendo che esiste un altro motivo intrinseco per salvare queste specie: “I primati sono, da un punto di vista biologico, i nostri parenti più stretti,” ha detto. “Fanno parte del nostro mondo e questo è un motivo sufficiente per proteggerli ed evitarne l’estinzione locale e totale.”
Immagine di copertina di un sifaka diadema (Propithecus diadema), specie a rischio critico di estinzione, fotografato in Madagascar da Rhett A. Butler/Mongabay.
Citazioni
Estrada, A., Garber, P. A., Mittermeier, R. A., Wich, S., Gouveia, S., Dobrovolski, R., … Setiawan, A. (2018). Primates in peril: the significance of Brazil, Madagascar, Indonesia and the Democratic Republic of the Congo for global primate conservation. PeerJ, 6, e4869.
Estrada, A., Garber, P. A., Rylands, A. B., Roos, C., Fernandez-Duque, E., Di Fiore, A., … & Rovero, F. (2017). Impending extinction crisis of the world’s primates: Why primates matter. Science Advances, 3(1), e1600946.