- Secondo un nuovo rapporto della ONG londinese Global Witness, nel 2017 sono stati assassinati 207 attivisti ambientali, la cifra più alta da quando il gruppo ha iniziato a registrare i casi di violenza in tutto il mondo ai danni dei “difensori della terra e dell'ambiente”. I rapporti precedenti avevano riferito di 185 omicidi nel 2015 e 200 nel 2016.
- L'America Latina, con il 60% degli omicidi avvenuti nel 2017, continua ad essere il posto più pericoloso al mondo dove opporsi alla distruzione ambientale e alla violazione dei diritti fondiari. In particolare, l'anno scorso in Messico si è registrato un aumento da 3 a 15 assassinii, mentre il Brasile è stato, da solo, teatro di ben 57 omicidi – il numero più alto mai registrato da Global Witness nell'arco di un anno per un singolo Paese.
- L'America Latina non è sola: in ogni regione del mondo, nel 2017, si è assistito ad un aumento del numero di attacchi contro attivisti.
Continua ad aumentare ogni anno il numero di leader indigeni, attivisti e ambientalisti uccisi mentre erano impegnati a proteggere le loro terre e le loro comunità dalle aziende agroalimentari, minerarie e di altri settori.
Secondo un nuovo rapporto della ONG londinese Global Witness, nel 2017 sono stati assassinati 207 attivisti ambientali, la cifra più alta da quando il gruppo ha iniziato a registrare i casi di violenza in tutto il mondo ai danni dei “difensori della terra e dell’ambiente”. I rapporti precedenti avevano riferito di 185 omicidi nel 2015 e 200 nel 2016.
L’America Latina, con il 60% degli omicidi avvenuti nel 2017, continua ad essere il posto più pericoloso al mondo dove opporsi alla distruzione ambientale e alla violazione dei diritti fondiari. In particolare, l’anno scorso in Messico si è registrato un aumento da 3 a 15 assassinii, mentre il Brasile da solo è stato teatro di ben 57 omicidi – il numero più alto mai registrato da Global Witness nell’arco di un anno per un singolo Paese.
Il gruppo riferisce che l’anno scorso si sono verificati 7 “massacri”, cioè casi di quattro o più omicidi avvenuti nella stessa occasione. “Durante uno degli attacchi su larga scala del 2017 in Brasile, il popolo indigeno dei Gamela venne assalito,” riferisce il rapporto. “Furono impugnati fucili e machete nel tentativo di ottenere forzatamente il controllo delle loro terre, lasciando 22 persone gravemente ferite, alcune delle quali con le mani amputate. A distanza di mesi, nessun responsabile era stato processato per questo increscioso avvenimento, a indicazione di una cultura di impunità e di inerzia nel supporto degli attivisti, da parte del governo brasiliano.”
Se nessuno è stato ucciso durante quel particolare episodio, gli attivisti indigeni rappresentano comunque un numero sproporzionato tra quelli uccisi quell’anno. Ad esempio, 13 delle 15 persone assassinate in Messico erano indigeni impegnati nella difesa delle loro terre ancestrali. Sebbene il numero degli attivisti indigeni uccisi nel 2017 era solo il 25 per cento del totale, rispetto al 40 per cento del 2016, le popolazioni indigene corrispondono al 5 per cento della popolazione globale, il che significa che sono tuttora ampiamente sovrarappresentate tra gli attivisti uccisi,” ha constatato Global Witness.
L’America Latina non è sola: in ogni regione del mondo, nel 2017, si è assistito ad un aumento del numero di attacchi contro gli attivisti ambientali.
In base al rapporto, 48 “difensori” sono stati assassinati l’anno scorso nelle Filippine, il numero più alto mai registrato in un Paese asiatico. Durante un incidente particolarmente tragico, 8 membri della comunità filippina Taboli-manubo, che si opponevano ad una piantagione di caffè sulle loro terre, furono uccisi durante un singolo attacco.
In base al rapporto, 48 “difensori” sono stati assassinati l’anno scorso nelle Filippine, il numero più alto mai registrato in un Paese asiatico. Durante un incidente particolarmente tragico, 8 membri della comunità filippina Taboli-manubo, che si opponevano ad una piantagione di caffè sulle loro terre, furono uccisi durante un singolo attacco.
In Africa sono state uccise 19 persone, 17 delle quali hanno perso la vita “mentre difendevano aree protette dai bracconieri e dai minatori illegali,” segnala il rapporto. 12 di queste uccisioni si sono verificate nella Repubblica Democratica del Congo.
In passato, il settore minerario era collegato alla maggior parte degli attacchi, ma questo non è più il caso. “Il settore agroalimentare è il più pericoloso,” ha rivelato il rapporto, “superando per la prima volta in assoluto il settore minerario, con 46 attivisti uccisi per aver protestato contro il modo in cui vengono prodotti i beni che consumiamo.” 40 uccisioni sono state collegate al settore minerario e petrolifero, 23 al bracconaggio e 23 all’industria del legname.
Sebbene sia spesso difficile identificare i responsabili di queste violenze, dato che questi, in molti casi, non vengono perseguiti, il gruppo Global Witness sostiene di essere stato in grado di far risalire a forze governative di sicurezza 53 omicidi (30 alle forze militari e 23 alla polizia). Il gruppo ha poi potuto collegare 90 omicidi a gruppi criminali, guardie di sicurezza, proprietari terrieri, bracconieri e altri attori non governativi.
Per quanto allarmanti possano essere le cifre riportate da Global Witness, il gruppo fa notare che queste costituiscono solo “la punta dell’iceberg”, dato che disporre di informazioni limitate sulle uccisioni presuppone che molte altre non vengano denunciate.
“I nostri dati sugli omicidi sono probabilmente una sottostima, perché molti non vengono denunciati, in particolar modo nelle aree rurali. Secondo la nostra metodologia, ciascun caso deve poter essere verificato in base a dei criteri severi, che spesso non possono essere rispettati dalla semplice revisione di informazioni accessibili pubblicamente, come notizie giornalistiche o documenti legali, né da contatti locali. Il fatto di avere una metodologia così severa comporta l’impossibilità di rappresentare l’entità del problema e stiamo lavorando per migliorare questo aspetto.”
Ben Leather, un attivista senior presso Global Witness, spiega che, nonostante i governi e le industrie siano spesso complici nelle violenze contro gli attivisti, devono anche essere parte della soluzione.
“Gli attivisti locali vengono uccisi perché i governi e le industrie danno più valore ai profitti rapidi che alle vite umane,” ha affermato Leather in una dichiarazione. “Molta della merce presente sulle mensole dei nostri supermercati è il prodotto di questi spargimenti di sangue. I governi, le industrie e gli investitori hanno l’obbligo e il potere di supportare e difendere gli attivisti a rischio e di garantire responsabilità nei casi in cui si verificasse un attacco. Ancora più importante, possono impedire che questi si verifichino, ascoltando le comunità locali, rispettando i loro diritti e assicurando che i loro affari vengano condotti responsabilmente.”