- Una recente ricerca ha dimostrato che, nonostante molti paesi abbiano vietato i policlorobifenili (PCB) più di quarant’anni fa, queste sostanze chimiche rimangono una grave minaccia per le orche di tutto il mondo e potrebbero decimare gran parte delle popolazioni in un periodo che va dai 30 ai 50 anni.
- Le popolazioni di orche che si trovano in acque meno contaminate dai PCB, come i mari che circondano i poli, la Norvegia e l’Islanda, contano ancora un vasto numero di individui e non sono a rischio.
- Invece, le popolazioni che vivono in acque che storicamente hanno fatto registrare elevate concentrazioni di PCB, come i mari attorno a Giappone, Brasile, stretto di Gibilterra, Regno Unito e il Pacifico nordorientale, secondo gli scenari ipotizzati dai modelli dello studio, sono destinate a collassare completamente nei prossimi decenni.
Qualche decennio fa molti paesi hanno vietato la produzione e l’uso di un gruppo di sostanze chimiche industriali altamente tossiche chiamate policlorobifenili, o PCB. Ciononostante, queste sostanze vietate restano ancora una fonte di pericolo. Una nuova ricerca ha dimostrato, infatti, che i PCB rappresentano ancora una grave minaccia per le orche di tutto il mondo e potrebbero decimare gran parte delle popolazioni in un periodo che va dai 30 ai 50 anni.
Dagli anni ’30 del 1900 fino al 1993 in tutto il mondo sono state prodotte 1,5 milioni di tonnellate di PCB. Queste sostanze chimiche venivano utilizzate in numerosi settori, come nella produzione di vernici, cavi e componenti elettrici, materie plastiche, sostanze ignifughe, sigillanti e adesivi. Nello stesso periodo furono raccolte prove sempre più evidenti dell’estrema tossicità di queste sostanze: degli studi dimostrarono, infatti, che potevano provocare il cancro, danneggiare il sistema immunitario e riproduttivo, interferire con le azioni ormonali e avere molti altri effetti sulla salute. I PBC sono stati considerati talmente pericolosi che diversi paesi, compresi gli Stati Uniti, tra gli anni ’70 e gli anni ’80, li hanno vietati e molti altri ne hanno seguito l’esempio dopo la Convenzione di Stoccolma del 2001. Purtroppo queste sostanze sono molto resistenti e sono ancora presenti nell’ambiente: sono stati trovati PCB nelle profondità della Fossa delle Marianne e persino nella neve dell’Artico.
Nei mari contaminati dai PCB, le orche (Orcinus orca) lottano per sopravvivere, scrivono gli autori del nuovo studio pubblicato su Science.
Il problema è che i PCB si degradano molto lentamente e, inoltre, tendono ad accumularsi nei tessuti adiposi animali. La loro concentrazione aumenta risalendo la catena alimentare: più in alto si trova l’animale, maggiore è la quantità di PCB nei suoi tessuti adiposi. Le orche sono superpredatori che occupano l’anello finale di una lunga catena alimentare e nei loro tessuti adiposi sono stati trovati più di 1.300 milligrammi di PCB per chilogrammo. Questa cifra è 25 volte superiore al livello che, secondo gli studi, produce effetti sulla fertilità e sul sistema immunitario. Inoltre, dato che i PCB sono liposolubili, le femmine di orca trasmettono queste sostanze alla prole attraverso il loro latte ricco di grassi.
Per comprendere gli effetti dei PCB sulle orche, i ricercatori dello studio hanno messo insieme i dati a loro disposizione sulle concentrazioni di PCB nel grasso di orche appartenenti a popolazioni sparse in tutto il mondo e, sulla base del tasso di sopravvivenza e di riproduzione e crescita delle popolazioni, hanno creato dei modelli degli effetti dei PCB.
“Sappiamo già che i PCB deformano gli organi riproduttivi degli orsi polari”, ha dichiarato Rune Dietz, professore di bioscienze all’Università di Aarhus, in Danimarca, e co-autore dello studio. Era logico, dunque, andare a esaminare gli effetti dei PCB sulle esigue popolazioni di orche sparse in tutto il mondo.
Dietz e i suoi colleghi hanno scoperto che su 19 popolazioni di orche prese in esame, 10 sono in rapido declino. Le popolazioni che si trovano in mari meno inquinati dai PCB, come i mari che circondano i poli, la Norvegia e l’Islanda, hanno ancora un ampio numero di individui e sono a basso rischio. Invece, le popolazioni che vivono in acque che storicamente sono state interessate da elevate concentrazioni di PCB, come i mari che circondano il Giappone, il Brasile, lo stretto di Gibilterra, il Regno Unito e l’oceano Pacifico nordorientale, secondo i modelli ipotizzati dalla ricerca, sono destinate al collasso completo nei prossimi decenni.
“Dato che gli effetti sono riconosciuti da più di cinquant’anni, è terribile osservare che i nostri modelli prevedono un altro rischio di collasso delle popolazioni di queste aree entro i prossimi 30-50 anni”, afferma l’autore principale dello studio Jean-Pierre Desforges, ricercatore post-dottorato all’università di Aarhus.
Ailsa Hallo, direttrice della Sea Mammals Research Unit allo Scottish Oceans Institute e co-autrice dello studio, aggiunge che in queste aree raramente è stato possibile osservare dei piccoli.

Anche l’alimentazione delle orche è determinante: gli esemplari che di solito si cibano di prede di grosse dimensioni come foche, tonni e squali, presentano alte concentrazioni di PCB nel corpo e hanno il più alto grado di rischio di collasso. Per gli esemplari che, al contrario, si nutrono di piccole prede come aringhe e sgombri, la concentrazione di PCB è minore, come minore è il rischio. Alcune popolazioni di orche, come quelle a largo della Scozia nordorientale e della Groenlandia, hanno modificato la propria dieta passando da prede poco contaminate dai PCB a prede molto contaminate (ad esempio, dal pesce alle foche): secondo i ricercatori ciò potrebbe alterare l’esposizione di queste orche ai PCB e avere effetti sulla loro salute.
I PCB non sono l’unica sostanza inquinante pericolosa per le orche ma l’esposizione ai soli PCB, secondo i ricercatori, potrebbe portare le popolazioni al collasso. Inoltre, nonostante l’impegno di vari paesi a vietare i PCB più di quarant’anni fa, più dell’80% delle rimanenze in tutto il mondo devono ancora essere smaltite, mentre le orche continuano ad accumularne alte concentrazioni nel corpo.
“Questo ci fa capire che gli sforzi fatti finora non sono stati abbastanza efficaci per evitare l’accumulo di PCB in specie di livello trofico elevato che vivono finché vivono le orche”, afferma il co-autore Paul D. Jepson, esperto di orche per la Zoological Society del London Institute of Zoology. “Per questo sono necessarie subito altre iniziative oltre a quelle già intraprese con la Convenzione di Stoccolma.”
Crispin Halsall, un chimico ambientalista della Lancaster University, nel Regno Unito, che non ha preso parte alla ricerca, sostiene che “l’eredità che i PCB ci hanno lasciato continuerà a perseguitarci ancora per un bel po.’”
In un articolo su The Conversation, Halsall ha scritto che “gli scienziati ritengono probabile che i PCB si depositeranno o “affonderanno” nei terreni fertili dell’emisfero boreale o nei sedimenti oceanici. Nel frattempo, però, i PCB continueranno a circolare nell’ambiente. Inoltre, sono ancora presenti nel latte materno: il trasferimento da femmine adulte ai loro piccoli rappresenta la rotta di esposizione chiave per la maggior parte dei mammiferi marini e questo stress chimico (causato anche da altre sostanze chimiche inquinanti), assieme allo stress dovuto ai cambiamenti climatici, è molto preoccupante.”

Citazione:
Desforges J., et al (2018). Predicting global killer whale population collapse from PCB pollution. Science, 2018 DOI: 10.1126/science.aat1953