- Un nuovo studio ha calcolato che un sesto dell’impronta di carbonio della dieta tipica dell’UE può essere direttamente collegato alla deforestazione nei paesi tropicali.
- Nonostante molti paesi sviluppati abbiano realizzato una copertura forestale stabile, i ricercatori hanno scoperto che un terzo dei guadagni netti provenienti dalle foreste in questi paesi di “transizione post-foresta” è stato compensato dall’importazione di merci che causano la deforestazione altrove.
- Di fronte a crescenti critiche, l’UE si sta preparando a lanciare una nuova iniziativa per gestire i prodotti di importazione che sono direttamente collegati alla deforestazione.
Secondo un nuovo studio condotto da ricercatori della Chalmers University of Technology in Svezia, un sesto dell’impronta di carbonio della dieta tipica dell’Unione Europea può essere direttamente collegato alla deforestazione nei paesi tropicali.
Lo studio, la cui pubblicazione sulla rivista Global Environment Change è prevista nell’edizione di maggio 2019, traccia le emissioni di carbonio derivanti dalla deforestazione tropicale attraverso le catene di distribuzione globale verso i paesi consumatori.
“In effetti potremmo dire che l’UE importa enormi quantità di deforestazione ogni anno,” ha affermato Martin Persson, uno dei ricercatori dello studio, in un comunicato stampa sul sito dell’università. “Se l’UE vuole veramente raggiungere gli obiettivi sul clima che si è prefissata, è necessario che imponga dei requisiti ambientali molto più rigidi su coloro che esportano cibo verso l’UE.”
I ricercatori hanno stimato che tra il 2010 e il 2014 sono state emesse 2,6 miliardi di tonnellate di anidride carbonica ogni anno, a causa della deforestazione associata a un’espansione delle coltivazioni, dei pascoli e della silvicoltura ai tropici (incluso il prosciugamento delle torbiere per la produzione agricola). Più della metà di tali emissioni possono essere imputate all’allevamento di bestiame e alla coltivazione di piante oleose.
Lo studio ha inoltre individuato che dal 29 al 30% delle emissioni legate alla deforestazione erano guidate dagli scambi internazionali (sostanzialmente più elevate rispetto alla componente di combustibile fossile derivante dalle emissioni legate al commercio); che un sesto dell’impronta di carbonio della dieta tipica dell’UE è causata dalle emissioni dovute alla deforestazione; e che l’importo di emissioni legate alla deforestazione compete con le emissioni agricole interne in molti paesi dell’UE.
La relazione tra una domanda elevata da parte dei consumatori in Europa, uno dei principali importatori, e la deforestazione tropicale sta diventando sempre più oggetto di controllo. La Francia ha di recente espresso il suo impegno per cessare “l’importazione di deforestazione” entro il 2030, mentre, nel frattempo, gli investitori hanno avvertito i giganti della soia di ripercussioni sulle loro pratiche di deforestazione.
Ciò nonostante Persson non è convinto che si faccia abbastanza. Ha citato il recente Forest 500 della Global Canopy, il quale, secondo Persson, mostra che ci sono pochi segni che indicano che le più grandi compagnie saranno in grado di tener fede al proprio impegno di arrivare a deforestazione zero, questo perché l’adempimento è stato inferiore alle aspettative. “Penso che più o meno lo stesso possa essere detto a proposito delle azioni governative nei paesi importatori,” ha riferito Pearsson a Mongabay. “Non esistono ancora segni evidenti che vogliano agire con fermezza superando le azioni volontarie per andare invece verso azioni regolamentate, come è stato fatto in merito alle importazioni di legname.” Ha suggerito che si potrebbe inoltre fornire supporto ai piccoli contadini che praticano un’intensificazione sostenibile della produzione”.
Secondo Anne Delvaux della Direzione Generale per l’Ambiente della Commissione Europea, l’iniziativa dell’Unione Europea sul Rafforzamento dell’Azione dell’UE contro la Deforestazione e la Degradazione delle Foreste – riconosce che l’UE, “uno dei principali importatori di prodotti agricoli e forestali, è parte del problema, ma può anche essere parte della soluzione” – dovrebbe essere adottata e resa pubblica nel secondo trimestre del 2019.
Alla domanda se il piano prevederà eventuali requisiti legali da parte dei soggetti interessati, Delvaux ha risposto: “per ora non siamo in grado di rispondere.”
Collocare la deforestazione
Il nuovo studio si è basato su informazioni reperite da un articolo pubblicato a marzo, anch’esso frutto di uno studio portato avanti da ricercatori del Dipartimento di Spazio, Terra e Ambiente della Chalmers University of Technology, in collaborazione con i colleghi dell’Istituto di Ambiente di Stoccolma e il Centro di Ricerca sul Clima e la Biodiversità di Senckenberg in Germania.
Il primo studio si basa su dati esistenti volti a quantificare la deforestazione causata dalla produzione agricola e forestale ai tropici e nelle zone sub tropicali, per poi utilizzare i modelli di scambio internazionale per mappare i punti in cui questi beni esportati vengono apparentemente consumati.
Si è scoperto che le coltivazioni, incluse quelle di olio di palma, di semi di soia e di frutta a guscio, rappresentavano il 40% della deforestazione attribuita all’esportazione (la carne bovina rappresentava solo l’11%). Molte di queste colture provengono dall’Indonesia, dal Brasile e dall’Argentina e, insieme, sono responsabili di circa la metà (44%) della deforestazione rappresentata dalla produzione di colture, della quale dal 49 al 76% viene esportata.
“Possiamo constatare che più della metà della deforestazione è dovuta alla produzione di cibo e di nutrimento per gli animali, quali per esempio il manzo, alla coltivazione di soia e olio di palma,” ha affermato nel comunicato stampa Florence Pendrill, un altro ricercatore dello studio.
Scaricare le responsabilità
Lo studio divide i paesi in transizione forestale pre-, inizio-, tarda-, e post-, facendo riferimento al percorso verso l’espansione della copertura forestale. E’ stato scoperto che tra il 2005 e il 2013 l’87% della deforestazione che poteva essere attribuita alla domanda interna veniva invece esportata verso paesi che “mostravano una riduzione nei tassi di deforestazione o un aumento della copertura forestale,” in particolare in Europa e Asia (specialmente Cina, India e Russia).
Lo studio ha infatti scoperto che un terzo dei guadagni forestali netti nei paesi in post-transizione forestale venivano controbilanciati da un importo di materie prime che causavano la deforestazione altrove. Nel Regno Unito, per esempio, si è registrato un aumento della copertura forestale annua pari a 170 chilometri quadrati (66 miglia quadrate) tra il 2010 e il 2013 – ma il paese importava contemporaneamente 310 chilometri quadrati (120 miglia quadrate) di deforestazione ogni anno.
Mentre il consumo interno è innegabilmente un fattore chiave per la deforestazione – lo studio ha notato come il Brasile e l’Indonesia rappresentavano il 44% della deforestazione attribuita all’espansione dei terreni coltivati, dei pascoli e delle piantagioni di alberi – esaminare il problema da una prospettiva globale è di fondamentale importanza.
Nel riassunto dell’articolo gli autori osservano che con l’aumento degli scambi internazionali di materie prime forestali a rischio, “sta diventando sempre più importante prendere in considerazione i collegamenti commerciali tra i paesi per valutare i motori – e le possibili connessioni – responsabili della perdita e del recupero forestale tra i paesi.”
Una delle sfide che i ricercatori si sono trovati ad affrontare durante la loro ricerca è stata l’insufficienza di dati provenienti dalle regioni tropicali in cui le colture stanno sostituendo le foreste. “E’ stato necessario utilizzare un approccio indiretto in cui abbiamo associato alla perdita di foreste l’aumento delle terre coltivate, dei pascoli e delle piantagioni forestali grazie a statistiche nazionali,” ha spiegato Persson a Mongabay. Comprendere quali materie prime si stavano espandendo non è stato sempre semplice dato che qualche volta un bene si sviluppava su di un altro spingendolo a insinuarsi nella foresta. Ai fini di minimizzare il problema, i ricercatori hanno portato avanti le analisi a un livello regionale in Brasile e Indonesia – i due paesi che rappresentano la maggior parte della perdita forestale tropicale.
Ciononostante negli ultimi anni ci sono stati rapidi progressi per ciò che riguarda la mappatura della perdita forestale e dei suoi responsabili, grazie all’utilizzo di dati telerilevati. Perciò, guardando avanti, i ricercatori sperano di esaminare nuovamente con maggior dettaglio le catene di approvvigionamento che legano il consumatore alla distruzione delle foreste tropicali – e anche di estendere l’analisi per poter esaminare una serie più vasta di impatti, come la perdita della biodiversità. “Speriamo che questo lavoro possa informare i diversi attori responsabili – sia pubblici che privati – e aiutarli nei loro sforzi per ridurre l’impatto che hanno sulla deforestazione,” ha dichiarato Persson.
Immagine di apertura: Foresta pluviale in Borneo. Foto di Rhett A. Butler
A proposito del reporter: Carinya Sharples è una docente, editrice e giornalista freelance con base a Georgetown, Guyana. Potete trovarla su Twitter @carinyasharples.
FEEDBACK: Utilizzate questo modulo per inviare un messaggio all’editore dell’articolo. Se volete pubblicare un commento visibile a tutti potete farlo in fondo alla pagina.
Articolo originale: https://news-mongabay-com.mongabay.com/2019/04/eu-consumption-drives-import-of-tropical-deforestation/