- La Primavera Araba fu in gran parte di natura politica e alimentò l’esodo di migranti lungo il corridoio dei paesi colpiti verso l’Europa. Oggi, uno studio pubblicato su Global Environmental Change, mostra le prove che un ulteriore fattore responsabile fu il cambiamento climatico.
- I ricercatori hanno ipotizzato che eventi climatici eccezionali ed estremi peggiorarono i conflitti, i quali a loro volta portarono a fenomeni migratori.
- Sostengono che i loro risultati aggiungono prove alla storia oggetto di ampio dibattito che lega, almeno in parte, la siccità ai disordini politici della Primavera Araba e alla successiva guerra civile siriana.
Il 17 dicembre dell’anno 2010, un venditore di frutta tunisino di 26 anni di nome Tarek el-Tayeb Mohamed Bouazizi, si diede fuoco per protestare contro la confisca dei suoi prodotti. Questo evento diede il via a una serie di proteste in Tunisia che travolsero il mondo arabo, destituirono i leader politici e diedero origine a conflitti che persistono ancora oggi. Tale insurrezione, nota come Primavera Araba, fu in gran parte di natura politica e fomentò l’esodo di migranti lungo i corridoi dei paesi colpiti verso l’Europa. Oggi, uno studio pubblicato su Global Environmental Change, mostra le prove che un ulteriore fattore responsabile fu il cambiamento climatico.
I ricercatori hanno ipotizzato che eventi climatici anomali ed estremi peggiorarono i conflitti, i quali a loro volta portarono a fenomeni migratori. Attraverso l’utilizzo di modelli statistici volti a verificare la loro ipotesi, i ricercatori hanno analizzato tre serie di dati: l’indice di siccità per quanto riguarda il clima, le vittime degli scontri per i conflitti e, le richieste di asilo in 157 paesi per quanto concerne la migrazione.
Il modello ha prodotto un risultato molto chiaro: la siccità fu parzialmente responsabile dei conflitti e delle richieste di asilo in Africa settentrionale e Asia occidentale – la regione colpita dalla Primavera Araba – tra il 2010 e il 2012.
“Siamo stati in grado di identificare le relazioni esistenti tra clima, conflitti e migrazione forzata, le quali furono di particolare importanza durante il periodo della Primavera Araba,” ha affermato Raya Muttarak, geografo presso l’Università inglese di East Anglia e co-autore dello studio.
Di particolare importanza è che lo studio ha mostrato come la siccità non contribuì a nessun altro conflitto o evento migratorio internazionale nel mondo durante il periodo preso in esame, dal 2006 al 2015.
“I nostri risultati statistici confermano l’esistenza di un legame tra clima e conflitti, ma solamente durante un preciso periodo di tempo e solo in alcuni paesi,” ha scritto Muttarak in una e-mail per Mongabay.
Il fisico del clima Carl-Friedrich Schleussner della Climate Analytics con base a Berlino, che non era parte dello studio in questione, ha definito questa nuova ricerca come “un grande passo avanti.”
“L’articolo precisa che se esiste un legame tra disastri indotti dal clima e migrazioni, ciò si verifica obbligatoriamente attraverso una serie di conflitti e non per un semplice passaggio diretto,” ha affermato Schleussner.
Ha elogiato i ricercatori per aver separato i conflitti dalla migrazione. Studi precedenti hanno utilizzato i dati riguardanti i rifugiati come indicatore sia per i conflitti che per le migrazioni, occultando completamente il modo in cui il clima influenza entrambi.
I ricercatori affermano che i loro risultati aggiungono prove alla storia oggetto di ampio dibattito che lega, almeno in parte, la siccità ai disordini politici della Primavera Araba e alla successiva guerra civile siriana.
L’autoimmolazione di Mohamed Bouazizi nel dicembre 2010 innescò un’ondata di cambiamenti politici in tutta la regione araba. Entro la fine del febbraio 2012 i manifestanti avevano destituito i governatori in Tunisia, Egitto, Libia e Yemen, le rivolte civili avevano scosso il Bahrain e la Siria e, grandi proteste erano scoppiate in dozzine di altri paesi. In Siria il conflitto è da allora degenerato in una sanguinosa guerra civile responsabile della morte di più di 400.000 persone, del dislocamento interno di 6,6 milioni di persone e, di 5,6 milioni di rifugiati internazionali.
I ricercatori scrivono che le cause dietro questi disordini politici sono complesse e coinvolgono componenti sociali, economiche e ambientali.
I risultati del loro modello, dicono, identificano nella siccità uno dei fattori alla base della Primavera Araba. La Siria in particolar modo soffrì una terribile siccità che potrebbe aver posto le basi per un conflitto. Dal 2007 al 2010 scarse precipitazioni, unite a deboli politiche idriche, portarono ad ampie e ripetute perdite del raccolto. Il malcontento urbano e rurale sfociò in violente insurrezioni contro i governi dispotici incitando la migrazione. Secondo uno studio del 2015, il cambiamento climatico indotto dall’uomo rese questa siccità da due a tre volte più probabile di quanto avrebbe dovuto essere altrimenti.
Dalla metà del 1800 la media delle temperature globali è aumentata di 1 grado Celsius (1,8 gradi Fahrenheit) a causa delle emissioni di anidride carbonica derivanti dalla combustione di combustibili fossili, così come dalla deforestazione e altre devastazioni ecologiche.
Il Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico delle Nazioni Unite prevede un futuro aumento delle temperature entro un intervallo compreso tra 1,5 e 4,9 gradi Celsius (2,7 e 8,8 gradi Fahrenheit), sulla base delle azioni che verranno adottate per ridurre le emissioni di carbonio. Il Gruppo avverte che un riscaldamento superiore a 1,5 gradi Celsius causerebbe lo scioglimento dei ghiacci artici estivi, intensificherebbe eventi climatici estremi, accentuerebbe la carenza idrica, ridurrebbe le rese agricole e, porterebbe le barriere coralline all’estinzione.
Il nuovo studio mostra che, fino a poco tempo fa, i fenomeni migratori internazionali causati dal clima sono stati rari e non una conseguenza diretta. Schleussner ha concordato con questa conclusione, affermando che combacia perfettamente con il consenso scientifico generale. Ma, ha aggiunto, il passato non necessariamente rispecchia il futuro.
“Stiamo solo assistendo alle premesse degli impatti del cambiamento climatico del 21esimo secolo,” continua Schleussner. “ Non dovremmo concludere che gli effetti che il cambiamento climatico ha avuto nel passato sulle nostre società sarà un modello per ciò a cui assisteremo nel futuro.”
Ha identificato nell’aumento del livello del mare un meccanismo che probabilmente guiderà le migrazioni internazionali nel futuro. Ha anche notato come, mentre lo studio si focalizza sui fenomeni migratori in corrispondenza dei confini tra paesi, gli effetti della migrazione all’interno delle singole nazioni influenza ancor più le persone, in particolar modo quelle che dispongono di risorse limitate.
“Dal 2008 più di 200 milioni di persone sono state dislocate all’interno del proprio paese a causa di disastri climatici,” spiega Schleussner, citando il Global Report on Internal Displacement del 2018 (Report Mondiale sugli Spostamenti Interni). “Ovviamente non si tratta solo di persone che fuggono a livello internazionale.”
I ricercatori sperano che il loro studio possa essere una fonte di informazione per i responsabili politici, dato che affrontano obiettivi di sviluppo sostenibile che vanno dalla pace all’azione sul clima all’eradicazione della povertà.
Muttarak afferma che “quando pensiamo a questi obiettivi a livello globale è necessario tenere in considerazione un’interazione tra gli stessi.”
I ricercatori hanno inoltre suggerito ai leader mondiali di considerare il cambiamento climatico nel quadro di sicurezza nazionale. L’assestamento del clima è un investimento intelligente dicono, che ci tornerà con gli interessi grazie alla riduzione del conflitto armato e della migrazione forzata.
A febbraio la Worldwide Threat Assessment 2019 dell’intelligence community statunitense ha ripetuto le conclusioni dello studio. Il direttore nazionale dell’intelligence statunitense, Dan Coates, ha scritto che il cambiamento climatico e la degradazione ecologica “fomenteranno con ogni probabilità la competizione per le risorse, le difficoltà economiche e il malcontento sociale nel 2019 e oltre.” La valutazione ha posto l’accento sui percorsi di migrazione indotti dal clima in nord Africa e Asia occidentale. Ha messo in guardia sul fatto che siccità, ondate di caldo e alluvioni hanno contribuito alla scarsità di acqua e cibo “aumentando il rischio di disordini sociali, migrazione e tensione tra stati” nella regione.
Adrien Detges, ricercatore per il gruppo di esperti ambientali europei adelphi, ha affermato che la migrazione è stata una dimostrazione di come le persone si adattano al cambiamento climatico e, in quanto tale, dovrebbero essere sostenute invece che tagliate fuori.
“La migrazione è una strategia di adattamento a condizioni ambientali difficili,” spiega Detges, aggiungendo che i paesi che accolgono i migranti non dovrebbero condannarli e dovrebbero occuparsi di ridurre le tensioni sociali.
Ha inoltre aggiunto che “è fondamentale aiutare le comunità vulnerabili ad affrontare e ad adattarsi a un clima che cambia.”
Fonti:
Abel, G., Brottrager, M., Crespo Cuaresma, J., & Muttarak, R. (2019). Climate, conflict and forced migration. Global Environmental Change, 54(2019), 239-249. https://doi.org/10.1016/j.gloenvcha.2018.12.003
Immagine di apertura: Il Campo rifugiati di Zaatari in Giordania nel novembre 2012. Immagine di UNHCR da Flickr (CC BY-NC 2.0).
Articolo originale: https://news-mongabay-com.mongabay.com/2019/03/dust-and-blood-climate-induced-conflict-fuels-migration-study-finds/