- Storicamente, le donne nel settore della conservazione forestale sono svantaggiate. In questo, le tradizioni patriarcali rivestono un ruolo chiave.
- La ricerca ha iniziato solo recentemente a delineare un'immagine dettagliata del loro ruolo all'interno delle foreste.
- Di conseguenza, i vantaggi - e i potenziali rischi – di un rafforzamento del ruolo delle donne nella conservazione forestale sono ancora poco conosciuti.
Lentamente ma inesorabilmente, pensare e parlare della parità di genere al giorno d’oggi è diventato normale, dall’appello dell’attore Benedict Cumberbatch per la parità retributiva a favore delle proprie colleghe alle conferenze con comitati tutti al maschile, che fanno storcere il naso.
Nel mondo della conservazione forestale la situazione è simile. Dagli anni Novanta i ricercatori hanno studiato le tematiche di genere, provando a definire cosa significhi il rafforzamento del ruolo della donna nella protezione delle foreste.
Nonostante questo, il quadro a livello globale è ancora piuttosto nebuloso. Sebbene le donne, in tutto il mondo, usino le foreste per cibo, combustibile e molto altro, il loro ruolo in termini di protezione e conservazione di queste stesse foreste resta spesso poco conosciuto.
Sappiamo che l’83 per cento degli 850 milioni di persone che, globalmente, sono impegnate nella raccolta di legna da ardere o nella produzione di carbone, sono donne. Secondo un recente rapporto dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, dal titolo “Lo Stato delle Foreste nel Mondo”, non vi sono molti dati disponibili, a livello globale, che illustrino se queste donne abbiano un qualche potere decisionale sul futuro delle foreste che utilizzano. Ci sono ancora meno informazioni che spiegano se questo influenzi o meno la conservazione forestale e, se sì, in che modo.
I dati esistenti suggeriscono che, in generale, le donne sono assenti da queste stanze (verdi) del potere.
Ad esempio, il più recente studio del Poverty Environmental Network pubblicato dal Center for International Forestry Research (CIFOR), ha trovato che, in più della metà degli 8 000 nuclei familiari inclusi nel sondaggio, le donne non prendevano parte alle decisioni sui temi forestali.
Le ragioni per cui questo accade sono molte e variano globalmente in base alle società, ma spesso le tradizioni patriarcali su cui si fondano molti Paesi risultano essere al centro del problema.
Secondo Markus Ihalainen, ricercatore sulle tematiche di genere presso il CIFOR, questo è un problema che si sta iniziando a discutere maggiormente.
“I vari modi in cui le persone sfruttano le foreste sono spesso dovuti a ruoli e responsabilità culturalmente basati sul genere, a differenti necessità e priorità nell’utilizzo delle foreste e anche a differenti barriere all’accesso e alla gestione della foresta e dei suoi prodotti. Fino ad ora questi aspetti non sono stati presi in considerazione in modo efficace nelle politiche e nelle programmazioni forestali” ha detto Ihalainen.
Un fattore decisivo potrebbe essere la scarsità di informazioni su quello che davvero può significare, sia per le foreste che per le donne, quando queste ultime partecipano nella gestione della foresta o quando dei progetti le incoraggiano attivamente a farlo.
“Non è stato fatto molto lavoro su questo specifico argomento,” ha aggiunto Ihalainen. Ad esempio, una revisione sistematica di 11 000 articoli scientifici basati sulla proporzione tra uomini e donne di enti e altri organismi forestali, ha individuato solo una manciata di studi qualitativamente validi.
“È davvero difficile riuscire ad attribuire una variazione nella copertura forestale o nelle condizioni di una foresta a variazioni nella proporzione tra uomini e donne nei gruppi di gestione forestale”, ha spiegato. “In molti casi, vediamo che le donne acquisiscono il controllo delle foreste quando quest’ultime sono già state degradate. Non abbiamo una linea di riferimento vera e propria.”
Ihalainen ha portato ad esempio il lavoro fatto da altri ricercatori, tra cui l’eminente femminista ed economista dello sviluppo Bina Agarwal. Grazie alle sue ricerche pluridecennali sulle comunità forestali in Nepal e India, ha riscontrato che l’aumento della partecipazione femminile fa la differenza, in modo particolare quando le donne rappresentano un terzo dei membri del gruppo di gestione forestale.
Le donne tendono a regolare lo sfruttamento forestale in maniera più stretta, fornendo così più protezione alla foresta stessa. Inoltre, i gruppi con un maggior numero di donne tendono a fare meglio degli altri gruppi nel miglioramento delle condizioni forestali, nonostante – come suggerito da Ihalainen- siano responsabili della gestione di foreste più povere di risorse.
Recentemente, un numero sempre maggiore di progetti sta prendendo spunto dal lavoro di Agarwal.
Ad esempio, un progetto gestito dal CIFOR in Uganda per sei anni e conclusosi nel 2016 ha avuto tra i suoi obiettivi chiave il coinvolgimento di donne nei gruppi decisionali su questioni di gestione forestale. Ciò è risultato in un aumento della rappresentanza femminile dal 14 al 50 per cento. Questo aumentato coinvolgimento ha inoltre significato che i taboo culturali esistenti sono stati affrontati.
Un altro caso è il popolo Baganda dell’Uganda centrale, dove le donne non hanno il permesso di piantare un certo tipo di albero, il Ficus natalensis, da cui viene ricavato cibo, legna da ardere, legname e la cui corteccia viene lavorata fino a creare un tessuto chiamato “barkcloth”. L’albero è simbolo del comando e del potere decisionale; storicamente veniva piantato quando il re eleggeva un capo e, a livello locale, rappresenta ancora il capofamiglia. Per questo motivo, le donne non potevano piantarlo.
Nonostante questo, alla chiusura del progetto, un terzo delle donne aveva iniziato a piantare questi alberi, portando così ad un aumento della diversità e della copertura forestale.
Un vero cambiamento
Il fatto che la legittimazione femminile porti ad un miglioramento delle condizioni materiali, sia per le foreste che per le donne che dipendono da esse, non è una sorpresa per Tsonya Essivi Sinmégnon, conosciuta anche come Essivi Sinmégnon Acakpo-Addra, ambientalista di spicco in Togo.
“Le donne sono i principali utenti delle risorse naturali e forestali e, allo stesso tempo, gli utenti più vulnerabili agli effetti della degradazione delle foreste. È quindi importante coinvolgerle, in quanto figure fondamentali, nella conservazione di queste risorse,” ha detto.
Nel 2016 Tsonya ha fondato Le Consortium Femmes REDD+ (CF-REDD+ Togo), riunendo gruppi di donne per affrontare il problema della deforestazione nel Paese. Oggi le organizzazioni coinvolte sono settanta e utilizzano WhatsApp per comunicare, inclusa una sessione settimanale informativa e di formazione dove confrontarsi con Tsonya e il suo staff su questioni di ogni tipo, dalle cause del cambiamento climatico all’utilizzo dei fornelli da cucina più adatti.
Tsonya sostiene che l’alto numero di persone coinvolte e una migliorata comprensione hanno fatto un’enorme differenza, sia per quanto riguarda la capacità di coinvolgimento delle donne nella gestione delle foreste sia quella di integrare attività relative alla deforestazione nei programmi delle loro organizzazioni.
“L’iniziativa ha davvero avuto un impatto sul contributo delle donne alla lotta contro la deforestazione in Togo,” ha detto. Tsonya stessa ne è un esempio: oggi fa parte del comitato nazionale REDD+ in Togo.
Partecipazione attiva
Secondo Nathalie Simoneau, specialista senior su tematiche di genere e inclusione sociale presso il WWF, riuscire a coinvolgere le donne in commissioni come questa è di importanza critica. Ha indicato un progetto, nella Repubblica Democratica del Congo (RDC), dove l’istituzione di quote rosa all’interno di un più ampio progetto di conservazione, ha avuto un grandissimo impatto.
Il progetto Central Africa Forest Ecosystem Conservation, finanziato da USAID, che include diverse ONG globali e locali insieme a rappresentanti dal governo della regione, esige che il 30 per cento dei dirigenti dei comitati di sviluppo delle comunità locali sia composto da donne. Ciò, in un primo tempo, ha richiesto uno sviluppo delle capacità delle donne coinvolte ma in seguito si è visto un vero cambiamento, ha detto Simoneau.
“Le donne hanno potuto mantenere dei veri e propri ruoli decisionali, il che ha fatto una grande differenza, poichè venivano viste come dei leader,“ ha spiegato. Le donne si sono anche unite per far sentire ancora di più la propria voce.
Ad esempio, nel Parco Nazionale Salonga, nel villaggio di Oshwe, cinque organizzazioni femminili hanno lavorato insieme per un anno per ottenere il mandato su cinque ettari di terra ad utilizzo agroforestale per assicurare così il proprio sostentamento. Con il supporto del WWF, hanno ottenuto il mandato ufficiale a tempo indeterminato.
“Adesso, in questo piccolo villaggio, ci sono oltre 200 donne coinvolte in queste associazioni con la sicurezza di possedere il proprio pezzo di terra,” ha detto Simoneau.
Ovviamente, ancora con delle riserve. La maggior parte dei successi ottenuti in questo ambito sono avvenuti in aree dove già esiste un qualche tipo di gestione collettiva e non nelle foreste private, dove le donne sono ancora svantaggiate. E resta la mancanza di dati consistenti, a livello globale, sui vantaggi del coinvolgimento delle donne.
Ihalainen ha inoltre messo in guardia su un utilizzo eccessivo dell’argomentazione secondo cui il coinvolgimento delle donne nella conservazione forestale porti automaticamente risultati positivi per le foreste stesse, per la diversità e per il cambiamento climatico.
“Rischiamo di dare in carico la salvaguardia dell’ambiente a donne che sono già svantaggiate,” ha dichiarato.
Immagine di copertina: Un’operaia presso un impianto di lavorazione del legno, in Myanmar. Immagine di Ann Wang per Mongabay
Jennifer Rigby è una giornalista con base nel Regno Unito e un’estesa esperienza come corrispondente dal Myanmar. Puoi trovarla sul suo account Twitter @jriggers
Articolo originale: https://news-mongabay-com.mongabay.com/2019/06/can-redd-bring-more-women-into-forest-conservation/