- I ricercatori sostengono che in Australia, Brasile e Canada è possibile osservare una maggiore ricchezza di anfibi, uccelli, mammiferi e rettili nei territori gestiti o co-gestiti da comunità indigene - maggiore rispetto anche alle aree protette come parchi e riserve naturali, il cui livello di biodiversità compare al secondo posto.
- Sia le terre gestite dagli indigeni che le aree protette ospitavano una maggiore biodiversità rispetto alle aree non protette incluse nello studio, selezionate casualmente dai ricercatori. I ricercatori hanno inoltre determinato che l’ampiezza dell’area e la sua posizione geografica non influivano sul livello della biodiversità, suggerendo, quindi, che sono le pratiche di gestione del territorio attuate dalle comunità indigene che consentono la conservazione della biodiversità.
- I ricercatori sostengono che i risultati conseguiti dimostrano quanto sia importante ampliare i confini delle tradizionali strategie di conservazione che, spesso, si fondano sulla creazione di aree protette, al fine di conservare l’habitat indispensabile alla sopravvivenza della biodiversità.
Una nuova ricerca rafforza l’ipotesi della questione relativa alla gestione del territorio da parte degli indigeni come soluzione determinante per la conservazione.
Lo studio, pubblicato nella rivista “Environmental Science & Policy” nel mese di luglio, si è focalizzato sui dati relativi ai territori e alle specie provenienti da più di 15.000 differenti aree geografiche dell’Australia, del Brasile e del Canada. Dopo aver analizzato i dati, i ricercatori che hanno partecipato alla ricerca, hanno riscontrato una maggiore ricchezza di anfibi, uccelli, mammiferi e rettili nei territori gestiti o co-gestiti da comunità indigene – maggiore rispetto anche alle aree protette, come parchi e riserve naturali, il cui livello di biodiversità è al secondo posto.
Sia le terre gestite dagli indigeni che le aree protette ospitavano una maggiore biodiversità rispetto alle aree non protette incluse nello studio, selezionate casualmente dai ricercatori. I ricercatori hanno inoltre determinato che l’ampiezza dell’area e la sua posizione geografica non influivano sul livello della biodiversità.
“Ciò suggerisce, quindi, che sono le pratiche di gestione del territorio attuate da molte comunità indigene, che consentono la conservazione della biodiversità,” secondo quanto sostiene in una dichiarazione Richard Schuster, che ha condotto la ricerca presso l’Università della British Columbia (UBC) e che ora è un assegnista di ricerca presso la Carleton University in Canada. Aggiunge inoltre che uno dei punti chiave dello studio sta nel fatto che “d’ora in poi, probabilmente, sarà indispensabile collaborare con gli amministratori delle terre indigene per garantire la sopravvivenza e la prosperità delle specie.”
Schuster, insieme ai suoi collaboratori, afferma che questo studio è il primo ad esaminare le pratiche di gestione del territorio e il loro impatto sulla biodiversità, su una scala geografica così vasta. “Abbiamo esaminato tre paesi caratterizzati da un clima e da specie molto diversi tra loro, per verificare se il modello restava fedele in tutte e tre le differenti aree geografiche – e così è stato,” secondo quanto ha affermato in una dichiarazione il co-autore dello studio Ryan Germain, un assegnista di ricerca presso la Cornell University negli USA. “A partire dalle rane e dagli uccelli, fino ad arrivare ai grandi mammiferi, come l’orso grizzly, il giaguaro e il canguro, nei territori gestiti dagli indigeni la biodiversità era maggiore.”
Peter Arcese, docente di selvicoltura alla UBC, che è stato il primo autore dello studio, ha affermato che i risultati conseguiti dimostrano quanto sia importante ampliare i confini delle tradizionali strategie di conservazione, che spesso si fondano sulla creazione di aree protette, al fine di conservare l’habitat indispensabile alla sopravvivenza della biodiversità.
Uno studio del 2018 ha riscontrato che le zone a cui è stato concesso una sorta di status protetto sono quasi raddoppiate a livello globale, dopo il Summit della Terra tenutosi a Rio de Janeiro, in Brasile, nel 1992. Secondo questo studio, allo stato attuale, più di 202.000 aree protette ricoprono quasi il 15% dell’area terrestre del pianeta, ma un terzo di queste aree protette è sottoposta ad “un’intensa pressione da parte dell’uomo.” Alla luce di tali risultati, gli ambientalisti sostengono che la gestione indigena è vitale per raggiungere dei buoni risultati anche nelle aree protette del pianeta.
Eppure, agli indigeni è stato impedito di servirsi di molte di quelle aree protette istituite in passato, su cui, tra l’altro, questi avevano fatto affidamento per generazioni. Arcese e il suo team hanno potuto constatare che ciò non ha causato danni soltanto alle comunità indigene locali, ma il più delle volte, è stata anche la ragione del mancato raggiungimento degli obiettivi di conservazione in quelle aree protette.
“Le aree protette sono indispensabili per la conservazione della biodiversità a livello mondiale, ma gli attuali livelli di protezione risulteranno essere insufficienti per arrestare il problema dell’estinzione che sta affliggendo il nostro pianeta,” come ha dichiarato Arcese. “È necessario gestire più zone del pianeta in modo tale da consentire la conservazione delle specie e il conseguimento di soluzioni a favore di quelle popolazioni e di quelle specie che hanno fatto affidamento su quelle aree per millenni.”
Un altro studio pubblicato lo scorso anno, ha stabilito che le popolazioni indigene possiedono diritti di proprietà e di utilizzo o di gestione di oltre un quarto della superficie terrestre del pianeta (pari a quasi 38 milioni di chilometri quadrati o circa 14,6 milioni di miglia quadrate) in 87 paesi. Lo studio, che ha mappato tutte le aree gestite o possedute dalle popolazioni indigene in tutto il mondo, ha inoltre riscontrato che circa il 40% di tutte le zone protette del pianeta, coincidono con le aree controllate dagli indigeni – e che circa i due terzi delle terre indigene appaiono ancora oggi al loro stato naturale, più del doppio della percentuale relativa all’integrità riscontrata per altre zone.
“I territori a gestione indigena rappresentano un prezioso deposito di biodiversità, in tre dei più grandi paesi del pianeta e, attualmente, le popolazioni indigene gestiscono o possiedono circa un quarto della superficie terrestre del pianeta,” secondo quanto sostiene in una dichiarazione Nick Reo, un professore associato presso il Dartmouth College, negli USA, e co-autore del presente studio.
Alla luce di ciò, ne risulta che la collaborazione con i governi, le comunità e le organizzazioni indigene può contribuire a preservare la biodiversità e che, sostenere i diritti degli indigeni alla terra, significa concorrere all’uso sostenibile delle risorse e al benessere.”
CITAZIONI
• Garnett, S. T. et al. (2018). A spatial overview of the global importance of Indigenous lands for conservation. Nature Sustainability. doi:10.1038/s41893-018-0100-6
• Jones, K. R., Venter, O., Fuller, R. A., Allan, J. R., Maxwell, S. L., Negret, P. J., & Watson, J. E. (2018). One-third of global protected land is under intense human pressure. Science, 360(6390), 788-791. doi:10.1126/science.aap9565
• Schuster, R., Germain, R. R., Bennett, J. R., Reo, N. J., & Arcese, P. (2019). Vertebrate biodiversity on indigenous-managed lands in Australia, Brazil, and Canada equals that in protected areas. Environmental Science & Policy, 101, 1-6. doi:10.1016/j.envsci.2019.07.002
Articolo originale: https://news-mongabay-com.mongabay.com/2019/08/indigenous-managed-lands-found-to-harbor-more-biodiversity-than-protected-areas/