- In occasione del Summit dei popoli su clima, diritti e sopravvivenza umana, tenutosi a New York a metà settembre, i partecipanti hanno incitato i leader: dateci soluzioni.
- L’incontro, promosso dal movimento per la giustizia climatica, ha riunito i leader per la tutela dei diritti umani e i leader per la tutela dell’ambiente nel più importante evento di questo tipo mai organizzato.
- Questi incontri sono arrivati nel bel mezzo del dibattito sulla brusca interruzione di tutte le misure di salvaguardia dell’ambiente da parte degli Stati Uniti, compreso il ritiro dall’Accordi di Parigi.
L’inviato speciale delle Nazioni Unite al Summit sul clima di quest’anno, l’Ambasciatore Luis Alfonso de Alba, ha aperto i lavori del Summit dei popoli su clima, diritti e sopravvivenza umana del 19 e 20 settembre con un’ammonizione:“Questo non sarà un summit come gli altri.” Non è più tempo di parlare dei legami tra il clima e i diritti umani, ha detto de Alba, e bisognerebbe concentrarsi su azioni collettive e individuali.
L’incontro, che ha unito i leader per la tutela dei diritti umani e i leader per la tutela dell’ambiente, è stata la più importante e chiara rimostranza del movimento per la giustizia climatica mai realizzata. Secondo Amnesty International, uno dei promotori, l’evento aveva l’obiettivo di incoraggiare la comunità per i diritti umani ad intensificare subito il proprio impegno in materia di giustizia climatica, dando vita al più eterogeneo dei movimenti mai radunato per contrastare la crisi del clima.
L’incontro ha preceduto il Summit di Azione per il Clima tenutosi presso la sede centrale delle Nazioni Unite a New York, durante il quale i leader di circa 60 nazioni si sono riuniti per elaborare un piano d’azione per fronteggiare l’emergenza climatica.
Il segretario generale delle Nazioni Unite vuole nuovi ambiziosi impegni adeguati per portata e velocità a ridurre le emissioni in modo significativo. Il gruppo della giustizia climatica ha reso chiaro che non accetterà più una retorica vaga.
“L’emergenza climatica ha bisogno di risposte su più fronti,” ha dichiarato Craig Mokhiber, direttore dell’Alto Commissariato per i Diritti Umani di New York. “[Ciò] implica strategie legali da far adottare alle varie comunità, strategie politiche e sociali come, ad esempio, considerare quegli aspetti delle decisioni economiche che ci hanno portato dove siamo, e la gamma completa di manovre che vanno da azioni legali ad azioni di disobbedienza civile nelle strade perché, in termini di crisi, è il punto in cui ci troviamo ora.”
Il rapido riscaldamento della terra, conseguenza delle attività umane, ha creato ciò che il relatore speciale sulla povertà estrema e i diritti umani dell’ONU e membro del Panel [Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici] Philip Alston ha descritto come “apartheid climatico,” ovvero uno scenario in cui le popolazioni di colore subiscono, in maniera sproporzionata, gli effetti della crisi climatica.
“Quando si avvisa che c’è una falla nella barca, ci si crederà solo quando l’acqua arriva alle ginocchia,” ha affermato Mokhiber riguardo l’importanza di mettere insieme le voci di coloro che già hanno subìto pesanti conseguenze e coloro che non vedranno l’applicazione di azioni significative nell’immediato.” È il punto in cui ci troviamo ora.”
Molto di quanto è stato fatto finora per contrastare la crisi climatica è stato definito “risistemare le sedie sdraio del Titanic.” Durante la riunione dei capi di stato a New York di settembre, Mokhiber ha incolpato specialmente gli Stati Uniti. “E peggio ancora,” ha detto, “gli Stati Uniti stanno rinforzando l’iceberg.”
Il presidente Donald Trump, che ha fatto un’apparizione a sorpresa di 14 minuti il giorno dell’apertura del Summit per poi recarsi a un incontro sulla libertà religiosa, da quando è entrato in carica ha tagliato in maniera decisa tutte le misure a tutela dell’ambiente e sta portando avanti il ritiro degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi. Secondo i leader per la tutela dei diritti umani, questa incuria potrebbe costituire una violazione dei diritti umani.
Jennifer Morgan è il direttore esecutivo di Greenpeace International. Nonostante tutti riconoscano il legame [tra clima e diritti umani], che diventa sempre più forte ogni singolo giorno, non credo che le aziende e i vari paesi abbiano realmente compreso che la mancanza di azioni a favore del clima da parte loro rappresenti una violazione dei loro obblighi per i diritti umani stessi.
Kumi Naidoo è l’attuale segretario generale di Amnesty International. “Ho solo un messaggio per i leader delle compagnie di combustibili fossili di tutto il mondo,” ha detto Naidoo. “Devono capire che abbiamo intenzione di utilizzare tutto il peso della legge sui diritti umani. Devono capire che se decideranno di investire, in qualsiasi modo, anche solo un altro centesimo in combustibili fossili, investiranno nella morte dei nostri e dei loro figli.”
Al Summit sul clima, ad alcuni paesi non è stato concesso di prendere la parola: tra questi, ci sono quelle nazioni che sostengono il carbonio come il Giappone e il Sudafrica. Secondo il Financial Times, saranno esclusi anche gli Stati Uniti, il Brasile e l’Arabia Saudita.
A NewYork l’energia era innegabilmente positiva, vista la crescente popolarità che, almeno tra la coscienza del pubblico, sta avendo la necessità di agire.
Ellen Dorsey è il direttore esecutivo del Wallace Global Fund, una fondazione privata incentrata su un cambiamento sociale progressista nei campi dell’ambiente, democrazia, diritti umani e responsabilità sociale d’impresa. “Il successo concreto di questo summit è rappresentato dall’aver scatenato il processo in cui si è costituita una tale forza e un’azione collaborativa così forte e chiara che le compagnie di combustibili fossili presenteranno piani coerenti con un pianeta da 1,5 gradi,” ha dichiarato Dorsey.
Cosa significa per le società e per i governi?
“Significa che dovranno ridursi gradualmente opure trasformarsi in modo radicale, e che devono cessare le spese in conto capitale: basta con i combustibili fossili,” continua Dorsey, la cui organizzazione sta cercando di porre i diritti umani al centro delle soluzioni a favore del clima. “Vogliamo assicurarci che l’economia delle nuove energie verso cui ci muoviamo rispetti i diritti umani, che le soluzioni rivelino di avere le persone al centro, e non il guadagno, e che le stesse compagnie di energie rinnovabili rendano conto dei diritti umani così come degli standard ambientali. Questa forza sta aumentando ed è ora di mostrarla in maniera molto chiara.
Al termine del primo giorno del Summit di azione sul clima, Nemonte Nenquimo, membro della nazione Waorani, in Ecuador, e tra i fondatori dell’organizzazione indigena Ceibo Alliance, ha tenuto un discorso di incoraggiamento in occasione di un evento della comunità indigena presso la Ford Foundation. “Dobbiamo rispettare il diritto di vivere bene, di preservare l’aria, l’acqua, il suolo,” ha detto. “Questa è la mia battaglia. Non solo per il mio paese, per gli indigeni, ma per il mondo intero. È una battaglia per tutti.”
Lavetanalagi Seru, arrivato dalle Fiji, è co-fondatore di Alliance for Future Generations, un’organizzazione a conduzione giovanile di volontari che lavora per l’istruzione e la giustizia climatica. “È rimasto davvero poco tempo per cambiare i sistemi,” ha affermato nei suoi commenti conclusivi al Summit dei popoli indigeni tenutosi la seconda metà di settembre.
“Facciamo sentire la voce della nostra coscienza ai governanti affinché intraprendano azioni audaci a favore del clima, chiedendo responsabilità sociale d’impresa, e facciamo anche la nostra parte nel consumismo attuale non più sostenibile e nei modelli di produzione e distribuzione. Solleviamoci per la prova che il nostro pianeta ci chiede di affrontare, altrimenti saremo tutti accusati per la nostra inerzia da di una giuria che deve ancora nascere.”
Questa storia fa parte di Covering Climate Now, una collaborazione a livello globale di più di 300 organi di stampa di tutto il mondo che ha lo scopo fornire notizie approfondite sul clima.
Articolo originale: https://news-mongabay-com.mongabay.com/2019/09/climate-justice-advocates-at-un-come-with-plans-not-speeches/