- Alejandro Estrada dell’Istituto di Biologia presso l’Università Autonoma del Messico e Paul A. Garber del Dipartimento di Antropologia dell’Università dell’Illinois-Urbana sostengono che le modalità di consumo da parte dell’uomo stanno portando i primati sull’orlo dell’estinzione.
- La produzione di materie prime, l’estrazione e il consumo stanno avendo un prezzo molto alto sugli habitat chiave dei primati a livello globale.
- Questo articolo espone il punto di vista espresso dagli autori dello studio e non necessariamente la posizione assunta da Mongabay.
La crescita incessante della popolazione umana e di un’economia mondiale in continua espansione basata su un surplus di domanda non sostenibile da parte di poche nazioni, hanno già causato degradazione dell’habitat, frammentazione di foreste e perdita di copertura forestale senza precedenti nella storia dell’uomo. Ovunque nei tropici l’agricoltura industriale ha convertito ampie porzioni di foresta in monocolture, oltre ad aver degradato le stesse a causa dell’estrazione di combustibili fossili, metalli, minerali e altre risorse naturali. Il risultato è stato un significativo calo della biodiversità.
Uno studio recente dell’Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services (IPBES) indica come un milione di specie animali e vegetali sono minacciate di estinzione a livello mondiale. I danni all’ecosistema e gli estremi del cambiamento climatico globale hanno i maggiori effetti nelle regioni tropicali. Il Global Forest Watch riporta che circa 180 milioni di ettari di foresta tropicale, un’area delle dimensioni di Spagna, Francia, Germania e Inghilterra messe insieme, sia andata perduta tra il 2001 e il 2017. Questo ha portato ad un declino significativo delle popolazioni di specie selvatiche, ad una riduzione della diversità genetica di animali e piante, all’isolamento delle sottopopolazioni, ad una diminuzione della capacità di sequestrare carbonio e ad estinzioni a livello locale.
In questo articolo discutiamo di come il commercio globale di materie prime provenienti da foreste a rischio stia mettendo in grave pericolo la salute degli ecosistemi tropicali, la sopravvivenza dei primati non umani (i nostri parenti biologici più stretti: proscimmie, tarsi, scimmie e primati superiori) e le persone che vivono all’interno di comunità nei tropici.
I primati rappresentano la terza diramazione di specie di mammiferi più ricca dopo pipistrelli e roditori. Esistono circa 512 specie di primati non umani distribuite in 91 paesi, principalmente nelle foreste tropicali e subtropicali dell’America Latina, nell’entroterra africano, in Madagascar, Asia meridionale e sud-est asiatico.
Questi primati forniscono importanti funzioni ecologiche e servizi (es. dispersione di semi, impollinazione, rapporti preda-predatore) da cui traggono inoltre beneficio le popolazioni umane locali. In breve, i primati costituiscono una componente essenziale della biodiversità tropicale e contribuiscono alla rigenerazione delle foreste e alla salute degli ecosistemi. I primati giocano inoltre un ruolo importante nel sostentamento, nelle culture e religioni di molte società e offrono una visione unica dell’evoluzione umana, della biologia, del comportamento e delle minacce che le malattie emergenti costituiscono.
La Lista Rossa IUCN ha riportato in maniera preoccupante che circa il 60% delle specie di primati (più di 300) sono a rischio di estinzione e all’incirca il 75% di queste hanno popolazioni in declino a causa delle attività antropiche quali l’aumento della deforestazione degli habitat dei primati per l’agricoltura industriale e l’estrazione di legname. Oltretutto, l’intrusione dell’uomo all’interno delle foreste attraverso sistemi stradali, ferroviari e la costruzione di infrastrutture, ha aumentato la caccia illegale di fauna selvatica, il commercio illegale di primati come animali domestici così come di parti del corpo, oltre che l’introduzione di malattie trasmesse dall’uomo e dagli animali domestici in questione quali disturbi respiratori e HIV/AIDS. Queste fonti di pressione agiscono in sinergia insieme ad altri responsabili della deforestazione e degrado ambientale che aggravano il declino delle popolazioni di primati.
La domanda globale dei consumatori
Il catalizzatore principale responsabile del declino delle popolazioni di primati su larga scala per opera dell’uomo è la perdita dell’habitat. Viviamo in un mondo sempre più interconnesso dove i beni vengono acquistati da una nicchia di nazioni altamente consumatrici e prodotti nei paesi più poveri da cui vengono esportati attraverso una rete di scambi internazionali. La produzione di beni che mettono a rischio le foreste, come per esempio la soia, l’olio di palma, la gomma naturale, la carne, così come l’estrazione di prodotti forestali quali i metalli, i minerali, i carboni fossili e le pietre preziose, hanno trasformato in modo permanente ampie porzioni di foreste naturali in paesaggi alterati e degradati.
Nei paesi in cui si trovano i primati, i cambiamenti nell’uso del suolo causati dall’agricoltura a partire dal 2000 sono stati responsabili del 70% della deforestazione tropicale, contribuendo approssimativamente ad un quarto delle emissioni di gas serra totali. Nel 2016, l’esportazione di beni provenienti da foreste a rischio in cui i primati risiedono, hanno raggiunto un totale di 1.1 miliardi di miliardi di dollari. Gli Stati Uniti, la Cina, l’India, il Giappone e i paesi dell’UE hanno rappresentato circa l’80% di tutte le importazioni. Da ciò si evince che un piccolo numero di nazioni ha conseguenze sproporzionate sul cambiamento climatico, sulle trasformazioni e inquinamento degli habitat naturali e sul declino delle popolazioni di primati.
Alcuni esempi dell’aumento dell’impronta ambientale causata dai beni provenienti da foreste a rischio
L’olio di palma è impiegato in grande quantità negli alimenti processati, nei cosmetici, detergenti e per usi industriali. Ma non solo, è anche utilizzato per i biocarburanti. Per far fronte alle previsioni attese della domanda di consumo, il mondo avrà bisogno di convertire altri 7 milioni di ettari di foresta tropicale in piantagioni di palme da olio nei prossimi anni. Ci si aspetta che la costruzione di nuove reti stradali e l’espansione della produzione di olio di palma in regioni forestali quali l’Indonesia, decimeranno le ultime popolazioni già criticamente minacciate di orango al mondo (l’orango del Borneo, l’orango di Sumatra e l’orango di Tapanuli).
In modo analogo, altri 8 milioni di ettari di piantagioni di gomma saranno necessari entro il 2024 per rispondere alla domanda mondiale. Al momento il 70% del consumo globale di gomma è attribuito agli pneumatici. L’espansione delle piantagioni di gomma nelle province cinesi di Yunnan e Hainan ha portato alla quasi estinzione del gibbone endemico di Hainan (meno di 30 individui sopravvivono in natura), del gibbone Skywalker (meno di 200 individui in natura) e molte altre specie di presbite. Entro l’anno 2050 la domanda mondiale di olio di palma e gomma naturale in Africa potrebbe portare ad un aumento cumulativo di perdita di habitat pari a 400 milioni di ettari, così come al conseguente drastico declino ed estinzioni locali di più di 40 specie di primati (scimpanzè e gorilla inclusi).
La richiesta globale di carne, in particolare in paesi quali il Brasile e l’Argentina, è stata responsabile di ingenti perdite di habitat occupati da primati e degli alti livelli di emissioni di gas serra. Il Resourcetrade.earth del Chatman House indica un simile andamento di crescita nell’estrazione di beni non agricoli quali prodotti forestali come combustibili fossili, metalli, minerali e pietre preziose. Ci si aspetta che la domanda mondiale di olio e gas naturale aumenterà dal 30% al 53% entro il 2035, con gravi conseguenze per quelle aree ricche di primati come l’Amazzonia, la Malesia e il Borneo. L’accesso a olio e gas nel bacino amazzonico brasiliano occidentale e in aree forestali della Colombia, Ecuador, Perù e Bolivia, occupa già un’area pari a un milione di chilometri quadrati.
In molti casi, queste potenziali fonti di energia vanno a colpire aree protette, la distribuzione dei primati sul territorio e i territori delle popolazioni indigene, minacciando il loro sostentamento ed esistenza. In modo analogo, la domanda globale di minerali estratti da zone di conflitto (es. tantalio) e pietre preziose (es. diamanti) si sta espandendo, causando perdita e degradazione dell’habitat dei primati e, in alcuni casi, conflitti civili. La risultante politica instabile ha spesso portato a fenomeni di corruzione e appropriazione di terre da parte di corporazioni nazionali e multinazionali e lo sfollamento delle popolazioni indigene.
La crescente domanda di beni provenienti da regioni in cui vivono i primati, e che mette a rischio le foreste, è soddisfatta in misura sempre maggiore da una catena di distribuzione globale controllata da poche corporazioni internazionali piuttosto che da produttori locali. La maggior parte di queste corporazioni hanno base al nord e controllano la produzione mondiale, l’estrazione, gli approvvigionamenti e gli scambi di beni agricoli e non dai tropici. Molte delle corporazioni in questione sono in stretta collaborazione con il mercato dei fertilizzanti e dei pesticidi e di conseguenza hanno un ovvio interesse nel promuovere questi prodotti e nell’espansione dell’agricoltura industriale. Molte sostanze agrochimiche inquinano il suolo così come le fonti superficiali e sotterranee di acqua, andando a nuocere in modo significativo la salute dell’uomo così come la biodiversità di insetti ai tropici, fondamentale per un’agricoltura sostenibile e la rigenerazione delle foreste.
A causa delle differenze dei redditi a livello nazionale, i paesi in cui vivono i primati continuano a rimanere parecchio indietro rispetto alle nazioni importatrici in termini di sicurezza alimentare e benessere economico. Il commercio globale e l’utilizzo del territorio guidato dai beni di prima necessità hanno fatto ben poco per generare ricchezza e benessere per i cittadini dei paesi in cui risiedono i primati, al contrario hanno messo la biodiversità e i primati a rischio di estinzione. Una diminuzione della domanda di cibo e di prodotti non alimentari pro capite dalle regioni occupate dai primati è fondamentale per ridurre la pressione esercitata sugli habitat. L’arduo compito è ora quello di capire come ridurre la dipendenza di un piccolo numero di nazioni, tra cui spiccano gli Stati Uniti, la Cina, l’India, il Giappone e l’UE, da beni provenienti dai tropici e convincere i consumatori e le corporazioni multinazionali a diminuire l’impatto altamente distruttivo e insostenibile che hanno sui paesi in cui vivono i primati.
I primati sono come i canarini nelle miniere di carbone. Se continuiamo a nuocere, inquinare, degradare e sovra sfruttare gli ambienti naturali a tal punto che proscimmie, tarsi, scimmie e primati superiori non sono più in grado si sopravvivere, allora, in un futuro non troppo lontano, nemmeno gli esseri umani riusciranno più a vivere in questi luoghi. È necessaria una risoluzione urgente a livello globale che inverta le richieste insostenibili di beni che mettono a rischio le foreste da parte di quelle poche nazioni di consumatori che causano la distruzione di ecosistemi tropicali, povertà, scarse condizioni di salute e sicurezza alimentare all’interno delle comunità locali.
Si tratta della crisi più grande che umani e primati abbiano mai dovuto affrontare.
Il tempo di agire è ora.
Ringraziamenti: Vorremmo ringraziare Carol Van Strum per i suoi commenti perspicaci durante la prima stesura del manoscritto. Ringraziamo inoltre i numerosi primatologi e biologi della conservazione che hanno dedicato la loro carriera alla protezione delle foreste tropicali. Paul A. Garber desidera ringraziare Chrissie, Sara, Jenni e Dax per il loro supporto.
CITAZIONI:
- Alejandro Estrada, Paul A. Garber, Abhishek Chaudhary. 2019. Expanding global commodities trade and consumption place the world’s primates at risk of extinction. PeerJ. DOI 10.7717/peerj.7068.
- Alejandro Estrada, Paul A. Garber , Russell A. Mittermeier, Serge Wich, Sidney Gouveia, Ricardo Dobrovilski, K. Anne-Isola Nekaris, Vincent Nijman, Anthony B. Rylands, Fiona Maisels, Elizabeth A. Williamson, Julio Cesar Bicca-Marques, Agustin Fuentes, Leandro Jerusalinsky, Steig Johnson, Fabiano Rodriguez de Melo, Leonardo Oliveira, Christoph Schwitzer, Christian Roos, Susan M. Cheyne, Maria Cecília Martins Kierulff, Brigitte Raharivololona, Maurício Talebi, Jonah Ratsimbazafy, Jatna Supriatna, Ramesh Boonratana, Made Wedana, Arif Setiawan. 2018. Primates in peril: the significance of Brazil, Madagascar, Indonesia and the Democratic Republic of the Congo for global primate conservation. PeerJ. DOI 10.7717/peerj.4869
- Estrada, A., Paul A. Garber, Anthony B. Rylands, Christian Roos, Eduardo Fernandez-Duque, Anthony Di Fiore, K. Anne-Isola Nekaris, Vincent Nijman, Eckhard W. Heymann, Joanna E. Lambert, Francesco Rovero, Claudia Barelli, Joanna M. Setchell, Thomas R. Gillespie, Russell A. Mittermeier, Luis Verde Arregoitia, Miguel de Guinea, Sidney Gouveia, Ricardo Dobrovolski, Sam Shanee, Noga Shanee, Sarah A. Boyle, Agustin Fuentes, Katherine C. MacKinnon, Katherine R. Amato, Andreas L. S. Meyer, Serge Wich, Robert W. Sussman, Ruliang Pan, Inza Kone, Baoguo Li. 2017. Impending extinction crisis of the world’s primates: why primates matter. Science Advances. 3: e1600946 3: e1600946.
Artiolo originale: https://news-mongabay-com.mongabay.com/2019/12/global-consumer-demands-fuel-the-extinction-crisis-facing-the-worlds-primates/