- A partire da campioni fecali gli studiosi di fauna selvatica sono in grado di ottenere informazioni sullo stato riproduttivo degli animali, sulla discendenza, le relazioni genetiche e la presenza di parassiti o virus, come per esempio Zika.
- Durante gli anni ’90 gli scienziati che si occupavano dello studio di primati selvatici in Sud America hanno sviluppato delle tecniche per capire come gli ormoni, gli steroidi e altre componenti fossero legate ai comportamenti riproduttivi degli animali.
- Più di recente gli scienziati hanno incominciato a testare se i campioni fecali possono aiutarci a identificare i parassiti portatori di malattie come per esempio il virus Zika, oppure a individuare i cambiamenti nel microbioma che potrebbero apportare miglioramenti nel mantenere un equilibrio energetico e una nutrizione adeguata che aiuti gli animali a sopravvivere durante periodi di stress nutrizionale.
- La raccolta di campioni fecali è un metodo non invasivo in grado di fornire tali informazioni, ma procurarsi e mantenere la strumentazione e i materiali necessari per esaminare i campioni è complesso.
Avete mai pensato alle informazioni che possiamo ottenere da un semplice campione fecale? Gli studiosi di fauna selvatica l’hanno fatto e ciò che ricavano da tali campioni può dire loro molto sullo stato riproduttivo degli animali, la discendenza, le relazioni genetiche e la presenza di parassiti o virus come Zika per esempio.
Per decine di anni i ricercatori hanno infilzato e analizzato le feci dei loro soggetti di studio per capire ciò di cui gli animali si nutrivano. Più di recente le analisi fecali hanno fornito agli studiosi un metodo non invasivo per raccogliere molte più informazioni. Ad esempio, i ricercatori che studiano i primati selvatici hanno analizzato campioni fecali per decenni grazie ai progressi nelle tecniche per isolare ormoni, DNA e microrganismi dalle feci.
Campioni fecali di primati: primi utilizzi
Karen Strier, professore presso l’Università del Wisconsin-Madison, è uno dei pionieri nell’utilizzo delle feci per monitorare le popolazioni di primati. Karen studia le scimmie murichi, un tempo conosciute come scimmie ragno lanose, grandi primati nativi del Brasile che vivono nella canopia della foresta.
Agli inizi della sua carriera negli anni ’90, Strier era interessata a studiare la biologia riproduttiva dei murichi per meglio comprendere quando le femmine all’interno del suo gruppo di studio stessero ovulando e quando fossero incinte. Tali informazioni sono potenzialmente utili per valutare lo stato della popolazione e gestire la sua conservazione.

Proprio a causa delle condizioni critiche dei murichi e dell’impegno della scienziata nel condurre la sua ricerca nel modo meno invasivo possibile, Strier iniziò a studiare metodi di campionamento che non andassero a influire negativamente sugli animali. Al tempo aveva da poco conosciuto Toni Ziegler, ora parte del Wisconsin National Primate Research Center (ubicato presso l’Università del Wisconsin-Madison), un collega e ricercatore all’inizio della sua carriera.
Si imbatterono in una ricerca che aveva messo in evidenza come gli ormoni steroidei potevano essere estratti dai campioni fecali e messi in relazione al ciclo mestruale e alla gravidanza in primati selvatici e in cattività. I due ricercatori incominciarono quindi ad elaborare dei modi per fare tutto ciò con le popolazioni selvatiche di murichi che Strier stava studiando.
Prelevare campioni fecali e di urina di fauna selvatica è una modalità non invasiva per monitorare le loro condizione fisiche. Per i ricercatori che conducono studi su specie minacciate cercare tecniche non invasive è ancora più importante, così come non stressare o disturbare le specie studiate. Nonostante Strier fu in grado di compiere osservazioni sugli esemplari femmina di murichi nel suo gruppo di studio, non poteva osservarli tutto il tempo e sapeva che poteva perdersi alcuni dei comportamenti chiave manifestati dagli stessi. “Non è sempre possibile associare il comportamento alla riproduzione. Se si vuole capire che cosa sta succedendo a livello fisiologico è necessario un qualche tipo di meccanismo fisiologico” ha raccontato Strier a Mongabay. È a questo livello che entrano in gioco gli ormoni. Strier e Ziegler sono stati in grado di lavorare sviluppando dei metodi propri per il campionamento delle feci e per l’estrazione degli ormoni. A parte l’attesa e la pazienza nell’attendere che le scimmie defechino, trovare, raccogliere e esaminare campioni fecali può essere complesso.
Agli inizi, Strier e Ziegler prelevavano i campioni fecali e li mettevano in provette con etanolo che poi spedivano ai laboratori negli Stati Uniti. A livello logistico spedire i campioni presentava delle difficoltà per via dei limiti imposti sulla quantità di etanolo consentito all’interno del pacco.
In seguito, gli scienziati apportarono modifiche nell’utilizzo delle cartucce normalmente impiegate per estrarre gli ormoni in laboratorio così da poter compiere le estrazioni sul campo. Questo significava che potevano spedire le cartucce con i soli ormoni piuttosto che il materiale fecale in etanolo. Strier e Ziegler pubblicarono le loro scoperte sul ciclo riproduttivo dei murichi nel 1997, fornendo informazioni circa la lunghezza del ciclo medio delle femmine e la durata di gestazione.

I ricercatori studiano il comportamento riproduttivo dei primati anche attraverso analisi del DNA. Anthony Di Fiore dell’Università del Texas ad Austin, uno dei collaboratori di Strier, voleva dedicarsi allo studio della biologia della riproduzione e del comportamento delle scimmie lanose, inclusi i sistemi di accoppiamento e la struttura della popolazione. Gli scienziati sono in grado di abituare i primati alla presenza dell’uomo, il che permette loro di seguire i gruppi e valutare il comportamento di ciascun individuo purché resti all’interno del gruppo.
“Uno degli aspetti che non ero in grado di individuare durante le osservazioni delle scimmie era il sesso che si stava disperdendo … e quanto lontano gli animali si stessero muovendo quando abbandonavano il loro gruppo sociale” ha riferito Di Fiore a Mongabay.
A partire dai campioni fecali raccolti in Ecuador, Di Fiore fu in grado di estrarre il DNA e utilizzarlo per determinare il sesso e il grado di parentela tra gli individui all’interno di un gruppo. Di Fiore e collaboratori utilizzarono l’informazione genetica per stabilire che sia gli adulti femmine che maschi di scimmia lanosa si stavano disperdendo e unendo ad altri gruppi, il che era perfettamente in linea con quanto osservato sul campo.
Il gruppo di Di Fiore si sta inoltre occupando di studiare il successo riproduttivo e la discendenza. Sulla base dei dati ormonali, i ricercatori sono in grado di dire quando le femmine stanno ovulando e il tipo di comportamento associato, come per esempio gli individui con cui si stanno frequentando e in quali momenti, così come il comportamento sessuale degli animali stessi ha riferito Di Fiore.
Attraverso l’utilizzo di campioni fecali e di urina, Di Fiore e il suo team stanno inoltre indagando sul comportamento cooperativo dei maschi di scimmia lanosa e di scimmia ragno, focalizzandosi su come gli ormoni e altri marcatori siano associati alle attività di pattugliamento e di difesa del territorio.
Studiare i microrganismi nei primati
I ricercatori si stanno inoltre ponendo domande sul microbioma dei primati. Katie Amato, assistente professore presso la Northwestern University in Illinois, si interessò dell’argomento quando notò che alcuni studi suggerivano come l’obesità fosse in parte causata dai microbi e nello specifico da microbi che potrebbero produrre energia che l’ospite è in grado di utilizzare in modo più efficiente. Al momento sta mettendo in pratica delle tecniche sui primati in Messico.
Amato ha riferito: “Ho pensato che potesse essere davvero interessante … cercare di capire se esistessero cambiamenti nel microbioma che potevano migliorare il contributo apportato ai bilanci energetici e nutrizionali dell’ospite e, se potevano effettivamente aiutarlo a sopravvivere durante periodi di stress nutrizionale”.
“La difficoltà quando si ha a che fare con campioni di microbioma è che questi vanno congelati o comunque preservati in qualche modo nell’immediato”, ha affermato Amato. “Non appena un animale defeca, l’ambiente in cui quei microbi si trovano cambia drasticamente”. Un cambiamento a livello ambientale significa che certe specie microbiche inizieranno a crescere più rapidamente di altre modificando in questo modo l’abbondanza delle specie presenti e fornendo ai ricercatori una visione alterata dell’ecosistema microbico.
Per evitare che questo si verifichi, Amato mette i campioni fecali in etanolo nel minor tempo possibile uccidendo in questo modo tutti i microbi, e successivamente utilizza la tecnica della reazione a catena della polimerasi (PCR) per determinare quali specie sono presenti sulla base della quantità relativa di DNA. Se in seguito i ricercatori volessero invece coltivare le specie microbiche su piastre Petri in laboratorio, i campioni fecali andrebbero congelati entro le 4-6 ore dal campionamento e rimanere congelati durante tutto il trasporto verso il laboratorio.
Altri ricercatori si stanno focalizzando sulle malattie infettive nei primati. Krista Milich, assistente professore presso la Washington University di St. Louis, sta studiando l’arrivo del virus Zika in popolazioni di primati in Sud America. Milich, insieme ai suoi collaboratori, ha isolato con successo il virus da una popolazione di primati allevati in cattività infettati dal virus e al momento la sua ricerca si sta focalizzando sull’identificare quale specie di primate del Sud America potrebbe star ospitando il virus Zika in natura.
Avere a che fare con i virus può essere ostico, specialmente con quelli presenti nelle feci dato che gli studiosi sono alla ricerca dell’RNA virale, una molecola a singolo filamento per natura meno stabile rispetto al DNA costituito invece da una doppia elica.
“Si tratta di molecole molto più delicate”, spiega Milich a Mongabay. Se i campioni non vengono maneggiati e conservati correttamente c’è un’alta probabilità di non individuare il virus per via della sua fragilità e per via del fatto che è stato distrutto prima ancora di avere la possibilità di localizzarlo.
Per quanto riguarda gli studi sul virus Zika, i campioni fecali devono essere congelati in campo per poter preservare il virus in caso questo sia presente. Ciò significa che i ricercatori, spesso in aree remote come la foresta Amazzonica, hanno bisogno di avere accesso o ad azoto liquido o a un congelatore e i costi sono elevati. Una volta in laboratorio, Milich e collaboratori devono prima estrarre l’RNA virale e poi utilizzare la tecnica della trascrittasi inversa PCR (o Reverse Transcriptase PCR, RT-PCR) per determinare se il virus Zika è presente.

Nuove alternative di ricerca
I ricercatori emergenti stanno traendo beneficio da primatologi pionieri come Strier, Ziegler e Di Fiore. Ad esempio, Ronnie Steinitz dell’Università della California di Santa Barbara (UCSB), sta utilizzando delle tecniche simili per studiare il cercopiteco nasobianco dell’Uganda. Queste piccole scimmie si nutrono di frutta e insetti e spesso condividono l’habitat con grandi primati come gli scimpanzè e il cercocebo moro.
Attraverso l’utilizzo di campioni fecali e di urina, Steinitz spera di scoprire dei pattern negli ormoni e nei biomarker come il peptide C, il cortisolo e la triiodotironina legati alla competizione di risorse con altre specie di primati in aree con diversi livelli di risorse e disturbo dell’habitat.

Il carico dei parassiti potrebbe raccontare un’altra storia. Hanna Frogge della UCSB spera che, dall’identificazione dei parassiti nelle feci in una popolazione di cercopiteco dal diadema in progressivo calo nel Kibale National Park in Uganda, possa determinare se la pressione esercitata dai parassiti stia mettendo a rischio la loro sopravvivenza.
“Ogni volta che esaminiamo i parassiti, stiamo anche capendo se siano sintomatici”, afferma Frogge. Inoltre, l’accostamento delle osservazioni comportamentali ai risultati prodotti in laboratorio è ciò che rende il campionamento delle feci un così potente approccio per studiare le popolazioni selvatiche di primati.
I vantaggi dell’analisi fecale
Dato che i ricercatori documentano il comportamento dei primati quasi di continuo, la maggiore forza derivata dall’impiego di approcci non invasivi, quali il campionamento di feci e urina, è stata quella di poter essere in grado di associare tali campioni con osservazioni comportamentali parallele e con tecniche di laboratorio sempre più avanzate.
Questi metodi non invasivi aiutano i ricercatori a porsi nuove domande minimizzando l’impatto sulle popolazioni selvatiche.
“Credo che stiamo incominciando ad indirizzare in maniera più efficace alcuni dei più grandi quesiti”, ha affermato Amato. E, dato che molti primatologi stanno già portando avanti degli studi a lungo termine, questi possono coordinare la raccolta dati e le analisi. Di Fiore è d’accordo ed esalta l’interdisciplinarità della biologia contemporanea degli organismi e fa notare come questa sia in grado di integrare le osservazioni comportamentali sul campo con una grande varietà di tecniche di laboratorio. Aggiunge inoltre: “È possibile imparare molto di più sull’attuale storia della biologia comportamentale e sull’adattamento di queste creature se si utilizza un tale approccio a carattere collaborativo e interdisciplinare”.
Citazioni
- Di Fiore, A., Link, A., Schmitt, C. A., & Spehar, S. N. (2009). Dispersal patterns in sympatric woolly and spider monkeys: integrating molecular and observational data. Behaviour, 437-470.
- Strier, K. B., & Ziegler, T. E. (1997). Behavioral and endocrine characteristics of the reproductive cycle in wild muriqui monkeys, Brachyteles arachnoides. American Journal of Primatology, 42(4), 299-310.
Articolo originale: https://news-mongabay-com.mongabay.com/2020/01/answers-in-excrement-fecal-analysis-yields-insight-about-wild-primates/