- Da quando furono formalmente ispezionate, quasi mezzo secolo fa (nel 1973), le foreste di kelp della Terra del Fuoco sono rimaste relativamente immutate.
- Come molti ecosistemi marini, le foreste di kelp sono sensibili alle fonti umane di stress quali la pesca eccessiva, I’inquinamento e lo sviluppo costiero, così come la sedimentazione e le correnti calde marine.
- Esaminando nuovamente le remote foreste di kelp della Terra del Fuoco, caratterizzate dalla mancanza di impatto umano diretto, si possono meglio comprendere i processi responsabili della loro resilienza.
- Un altro studio pubblicato di recente, attingendo a 35 anni di dati raccolti tramite satelliti Landsat, supporta anche esso l’idea che le alghe kelp siano molto più resilienti di quanto precedentemente creduto.
Durante la famosa traversata del Beagle nelle gelide acque della Terra del Fuoco, Charles Darwin aveva notato la varietà delle forme di vita affollate nel denso fogliame sottostante. Adesso, quasi mezzo secolo dopo la loro prima ispezione formale (nel 1973), le foreste di kelp, al di la’ dell’estrema punta meridionale del Sud America, rimangono relativamente immutate.
L’ispezione di 11 aree nella regione più ad ostro dell’arcipelago della Terra del Fuoco non ha rivelato nessuna differenza significativa nell’abbondanza di kelp giganti (Macrocystis pyrifera) né nelle dimensioni delle loro aptere (quelle parti che le ancorano al fondo roccioso) rispetto alla loro prima ispezione condotta oltre 45 anni fa. Secondo uno studio pubblicato sulla rivista PLOS ONE, anche il numero e la varietà dei ricci di mare sono rimasti relativamente immutati tra i due intervalli temporali.
“I mari impervi con forti onde, venti e correnti, insieme alla nebbia persistente hanno reso questa isola un cimitero per le navi che salpano presto”, ha dichiarato a Mongabay Alan Friedlander, scienziato a capo del progetto Pristine Seas Project della National Geographic Society e primo autore dello studio. Queste condizioni difficili hanno limitato il numero degli studi scientifici e dunque anche la nostra comprensione delle foreste di kelp in questo luogo remoto.
“Con le quattro stagioni in un solo giorno ci siamo trovati a scappare costantemente dalle condizioni atmosferiche, ma alla fine ne è valsa la pena dal momento che finalmente siamo riusciti ad entrare in acqua e a fare esperienza delle ultime foreste di kelp immacolate sulla faccia della terra”, ha commentato Friedlander.
Le kelp sono grandi alghe marine che possono crescere fino a 80 metri (260 piedi) in lunghezza e vivono in tutto il mondo vicino alla costa negli habitat marini d’acqua fredda. Le foreste di kelp sono tra gli ecosistemi più produttivi del mondo, basi per molti pesci e comunità marine nonché supporto alle coste che proteggono dall’erosione delle onde.
Come molti ecosistemi marini, le foreste di kelp sono sensibili alle fonti umane di stress quali la sovrapesca, l’inquinamento e lo sviliuppo costiero così come la sedimentazione e le correnti calde marine.
Il cambiamento climatico è anche un problema per queste specie d’acqua fondamentalmente fredda, difatti in tutto il mondo si è registrata la perdita di foreste di kelp. Nel 2019 il dipartimento di pesce e fauna selvatica della California ha denunciato un declino del 93% delle foreste di kelp a largo dello stato lungo un periodo di cinque anni dopo che la corrente calda marina del 2014 aveva a quanto pare accresciuto il numero di ricci di mare viola, specie questa che bruca le kelp.
“Esaminando nuovamente le remote foreste di kelp della Terra del Fuoco, caratterizzate da una netta assenza di presenza umana, si possono meglio comprendere i processi responsabili della loro resilienza e questa comprensione ci aiuterà a gestire gli ecosistemi di kelp in altre regioni”, ha dichiarato Friedlander.
“In questo caso, abbiamo identificato un ecosistema che è resiliente nonostante la crisi della biodiversità globale”, dice ancora Friedlander, “È sorprendente e incoraggiante vedere un luogo che è rimasto virtualmente immutato per 45 anni, da quando cioè lo si è studiato.
I dati osservazionali raccolti dalle spedizioni dei sub per questo studio sono stati completati dalle immagini satellitari Landsat. Il programma Landsat, sforzo congiunto della U.S. Geological Survey e della NASA, raccoglie i dati della superficie terrestre dal 1975. Ora questo strumento viene utilizzato dai ricercatori per il monitoraggio delle alghe kelp.
“La zona di lavoro era così remota da non avere avuto adeguata copertura satellitare fino al 1998”, ha affermato Friedlander aggiungendo: “nessuno se ne è interessato prima di allora!”.
Le immagini satellitari Landsat non hanno mostrato nessuna tendenza a lungo termine nella Terra del Fuoco ma hanno comunque rivelato che la copertura delle foreste di kelp in quella regione sembra seguire cicli di quattro anni che riflettono la temperatura della superficie marina e gli schemi di caduta delle piogge di El Niño.
Anche un altro studio pubblicato di recente, attingendo a 35 anni di dati Landsat, conferma l’ipotesi che le kelp sarebbero più resilienti di quanto creduto dagli scienziati.
Decenni di immagini Landsat sulla costa dell’Oregon mostrano che l’area ricoperta da una kelp annuale, la Nereocystis luetkeana, può cambiare leggermente di anno in anno e da scogliera a scogliera. Una scogliera, infatti, risulta avere avuto una popolazione di kelp maggiore nel 2018 che in altri periodi negli ultimi 35 anni.
I dati Landsat hanno anche rivelato che la massiccia perdita di kelp riscontrata in California negli ultimi cinque anni non è stata notata nel vicino Oregon. Inoltre, un’estate con acqua molto calda o un inverno con onde grandi non sono necessariamente brutte notizie per le kelp, come precedentemente creduto.
“Le nostre scoperte, mettendo in dubbio il quadro presentato dai notiziari, convergono sul bisogno di potenziare la ricerca al fine di capire meglio le kelp,” ha dichiarato in una intervista Sara Hamilton, biologa marina dottoranda presso l’Università di Stato dell’Oregon e autrice corrispondente dello studio. Lo studio di Hamilton ha evidenziato la necessità di avere dati a lungo termine per capire la popolazione delle kelp e come queste rispondono ai cambiamenti climatici.
“Vi sono ancora regioni che, al momento, resistono con resilienza alle minacce attuali”, ha detto Friedlander, “ma ciò è possibile fintanto che non si raggiunga il punto di non ritorno come purtroppo è già avvenuto in molti posti.
“Nel complesso, ciò dovrebbe essere un campanello di allarme per affrontare il cambiamento climatico, finché non sia troppo tardi”.
Friedlander, A. M., Ballesteros, E., Bell, T. W., Caselle, J. E., Campagna, C., Goodell, W., … Dayton, P. K. (2020). Kelp forests at the end of the earth: 45 years later. PLOS ONE, 15(3), e0229259. doi:10.1371/journal.pone.0229259
Hamilton, S., Bell, T., Watson, J., Grorud‐Colvert, K., & Menge, B. (2020). Remote sensing: Generation of long‐term kelp bed data sets for evaluation of impacts of climatic variation. Ecology, e03031. doi:10.1002/ecy.3031
Immagine del titolo di una foresta di kelp in Terra del Fuoco, cortesia di Enric Sala / National Geographic.
Liz Kimbrough è cronista di Mongabay. La potete trovare su Twitter: @lizkimbrough_
Articolo originale: https://news-mongabay-com.mongabay.com/2020/04/the-kelps-are-alright-studies-reveal-resilience-in-kelp-forests/