- Un nuovo studio rileva che è possibile ristabilire la salute degli oceani del mondo a un livello sostanziale in tre decenni, a condizione che vengano prese le misure appropriate per: proteggere le specie e gli habitat marini vulnerabili, ricostruire gli ecosistemi danneggiati e alleviare le pressioni del cambiamento climatico.
- Per dimostrare che la riparazione degli oceani è un obiettivo realistico, sono stati usati diversi modelli di successo, compresi gli impatti positivi delle normative sul commercio e sulla caccia delle specie selvatiche al fine di proteggere le specie a rischio e gli habitat critici.
- La più grande sfida nel ripristinare la salute globale degli oceani consiste nel mitigare gli effetti del cambiamento climatico, affermano gli autori.
Il futuro degli oceani del mondo sembra spesso cupo. La pesca è destinata a collassare entro il 2048, secondo uno studio, e 8 milioni di tonnellate di plastica inquinano l’oceano ogni anno, causando danni considerevoli ai delicati ecosistemi marini. Tuttavia, un nuovo studio su Nature offre una visione alternativa e più ottimistica sul futuro dell’oceano: esso afferma che l’intero ambiente marino potrebbe essere sostanzialmente ricostruito entro il 2050, se l’umanità fosse in grado di affrontare questa sfida..
La chiave del successo, affermano gli autori, sta nel ridurre l’impatto e le pressioni umane sull’oceano, ripristinando nel mentre gli ecosistemi danneggiati e cercando di ridurre le emissioni di carbonio che portano al cambiamento climatico.
Questo studio esamina nel dettaglio nove elementi dell’oceano: le saline, le mangrovie, le alghe, le barriere coralline, le foreste di laminaria, le scogliere di ostriche, le zone di pesca, la mega-fauna e l’oceano profondo e suggerisce delle misure fondamentali e realistiche che si possono attuare per ripristinare e proteggere queste aree.

Per invertire il declino della vita marina, gli autori fanno riferimento a diversi modelli di successo. Ad esempio, il trattato globale CITES sul commercio di animali selvatici e una moratoria del 1982 sulla caccia alle balene ai fini commerciali hanno ridotto la caccia delle specie a rischio e hanno aiutato a proteggere gli habitat critici da cui queste specie dipendono. Anche le popolazioni ittiche in diminuzione si sono riprese in risposta ad adeguate tecniche di gestione.
Mentre lo studio promuove una visione ottimistica della salute futura degli oceani, esso ammette che alcune parti dell’oceano saranno più difficili da ripristinare di altre. Ad esempio, i sistemi delle barriere coralline vedono la pressione aggiuntiva dei fenomeni di sbiancamento dovuti al cambiamento climatico e il processo di cura delle barriere danneggiate è lento e costoso. Tuttavia, lo studio rileva che ci si sta sforzando per scoprire coralli resistenti ai cambiamenti di temperatura e al fenomeno dello sbiancamento.
Ristabilire la salute degli oceani non sarebbe cosa da poco e richiederebbe politiche governative stabili, un grande investimento finanziario e la continua evoluzione dei progressi e delle tecnologie scientifiche, affermano gli autori. Quest’azione inoltre dovrebbe essere intrapresa entro un lasso di tempo molto breve.

Ma il più grande ostacolo al ripristino degli oceani consiste nel riuscire a mitigare gli effetti del cambiamento climatico, secondo Callum Roberts, coautore dello studio e professore all’Università di York nel Regno Unito.
“Il cambiamento climatico è il grande problema che incombe su tutto, perché rende più difficile la guarigione della natura e questo, come i cambiamenti climatici, diventerà più difficile”, ha detto Roberts a Mongabay. “È per questo che dobbiamo agire molto rapidamente ora per iniziare a rimettere in salute la natura, perché ciò aiuterà le società umane ad adattarsi nel tempo, oltre a consentire alla natura stessa una migliore possibilità di sopravvivere e di prosperare attraverso un clima che cambia”.
Nonostante le sfide, Roberts afferma di credere che gli oceani siano incredibilmente resistenti. Ciò è evidente nelle aree marine protette (AMP), dove la pesca e le altre attività umane sono vietate, afferma Roberts.

“In aree localizzate ho visto di persona come può avvenire il recupero e come può essere piuttosto rapido e spettacolare”, ha affermato. “Quando proteggi delle aree, puoi prevedere molto facilmente il modo in cui risponderanno. Si inizia con gli organismi che diventano più numerosi, vivono più a lungo, producono più prole. Poi si assiste alla ricostruzione delle strutture degli habitat sui fondali marini o delle foreste di laminarie, poi al ritorno di alcune delle specie più rare.”
Quest’anno avrebbe dovuto essere l’ ‘Ocean Super Year’: dovevano aver luogo diversi incontri e negoziati relativi agli oceani, tra cui i negoziati del 4° Trattato sull’Alto Mare, la Conferenza delle Nazioni Unite sull’Oceano, la Monaco Blue Initiative e l’Organizzazione Marittima Internazionale, che comprendeva una sessione con il Comitato per la Protezione dell’Ambiente Marino. Tuttavia, la maggior parte di questi eventi è stata cancellata o rinviata a causa del COVID-19.

La pandemia stessa ha anche concesso un po’ di tregua agli oceani dalla pressione umana, anche se Roberts ha affermato che è troppo presto per individuarne gli effetti a lungo termine.
“Molte barche da pesca in questo momento sono ormeggiate nei porti e questo darà sicuramente un beneficio a breve termine alla vita marina”, ha detto. “Nel più lungo termine, non lo so. Ma penso che dopo questa crisi si rifletterà molto su come dobbiamo far meglio le cose”.
CITAZIONI:
Duarte, C. M., Agusti, S., Barbier, E., Britten, G. L., Castilla, J. C., Gattuso, J.-P., … Worm, B. (2020). Rebuilding Marine Life. Nature, 580(7801), 39-51. doi:10.1038/s41586-020-2146-7
Didascalia dell’immagine banner: una visuale subacquea di alghe nelle Maldive. Foto di Matt Porteous @Ocean Culture Life, fornita da Blue Marine Foundation.
Articolo originale: https://news-mongabay-com.mongabay.com/2020/04/ocean-optimism-study-says-we-can-restore-marine-health/