- Gli scienziati raccomandano di proteggere almeno il 30% dei mari entro il 2030 al fine di salvaguardare la biodiversità, evitare il collasso dell’industria ittica e contrastare i cambiamenti climatici.
- Nel 2018 e 2019 rappresentanti delle Nazioni Unite stavano negoziando un Trattato sulle zone di alto mare allo scopo di raggiungere questo obiettivo attraverso la creazione di una rete di aree marine protette (MPA) nell’oceano aperto, ma l’incontro previsto a marzo per finalizzare il trattato è stato rimandato a causa del COVID-19.
- Per mostrare come proteggere concretamente il 30% degli oceani sono stati presentati due studi: uno da parte di un gruppo di ricercatori provenienti dall’Università di Oxford, l’Università di York e Greenpeace, mentre l’altro arriva da diverse università tra cui quella della California, di Santa Barbara, insieme ad altre istituzioni.
- I due studi hanno utilizzato metodologie diverse e presentano risultati leggermente differenti, ma mostrano anche punti in comune significativi nel raccomandare la protezione di determinate aree di importanza ecologica e biologica.
Partendo da qualsiasi costa, se si naviga per 200 miglia nautiche, ossia 370 km, si entra in una zona definita di “alto mare”, non sottoposta al controllo di alcuno stato. A molte persone non capita di immergersi al di sotto della superficie dell’oceano aperto, ma esso ospita un mondo sottomarino ricco e complesso. Gli strati superiori generano infatti ricche fioriture di fitoplancton che attraggono una moltitudine di specie e creano un terreno di alimentazione ideale per balene, squali e tartarughe. Se ci si immerge ancora più profondamente, si trovano meduse luminescenti, anguille e spugne fatte di silice, la stessa sostanza usata per creare il vetro. Nelle profondità degli oceani ci sono anche intere catene montuose, così come camini vulcanici formatisi a seguito di milioni di anni di attività vulcanica.

Nonostante la ricca biodiversità presente nelle zone di alto mare, solo l’1% è attualmente protetto. La Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare effettivamente fornisce alcune indicazioni specifiche su quali attività possono e non possono essere svolte in oceano aperto, tuttavia gli esperti affermano che non è abbastanza per proteggere l’alto mare.
Nel 2018 e 2019, rappresentanti dalle Nazioni Unite si sono riuniti per discutere l’istituzione di un nuovo Trattato sulle zone di alto mare con il quale si punterebbe a proteggere la biodiversità marina attraverso la realizzazione di aree marine protette (MPA). Al momento, la maggior parte delle aree marine protette sono state realizzate vicino alle coste e quindi all’interno di zone economiche esclusive (entro una fascia di 200 miglia nautiche) di determinati Paesi, rientrando così sotto la loro giurisdizione. Creare aree protette nelle zone di alto mare rappresenterebbe una mossa senza precedenti, e richiederebbe la cooperazione di molte enti ed organizzazioni governative. Tuttavia, se realizzato, rappresenterebbe una pietra miliare e una svolta per la tutela degli oceani.
Le negoziazioni delle Nazioni Unite si sono concentrate sull’obiettivo di proteggere il 30% degli oceani entro il 2030, ossia quanto gli scienziati dicono sia necessario per tutelare la biodiversità, evitare il collasso dell’industria ittica e contrastare i cambiamenti climatici.

“Rappresentando i due terzi degli oceani del mondo, le zone di alto mare hanno molto a che fare con l’obiettivo globale di proteggere il 30% dei mari,” ha detto a Mongabay Elizabeth Karan, direttore responsabile del programma Protecting Ocean Life on the High Seas presso Pew Charitable Trusts. “Tuttavia, non esiste ancora un meccanismo legale per farlo, quindi dobbiamo davvero fare pressione sulla finalizzazione di nuovi trattati riguardanti le zone di alto mare….così da poter agire in quelle regioni, in aggiunta a ciò che i Paesi possono, e devono fare, a livello nazionale per proteggere le loro acque.”
Sono stati proposti due studi per dimostrare la praticabilità della protezione di almeno il 30% degli oceani attraverso una rete di aree marine protette. Il primo, “30×30 A Blueprint for Ocean Protection”, pubblicato ad aprile 2019, è il risultato del lavoro di un gruppo di ricercatori delle università di Oxford e di York in collaborazione con le organizzazioni non-profit Greenpeace UK e REV Ocean.
Il gruppo ha utilizzato un software chiamato Marxan per capire come proteggere in maniera efficiente il 30% degli oceani tenendo in considerazione allo stesso tempo determinati limiti e indicazioni delle parti interessate. Il team ha suddiviso il mare in un reticolo di circa 25.000 quadrati, ognuno con un’area di misura di 10.000 kilometri quadrati (3,860 miglia quadrate), e ha raccolto dati sulla distribuzione di specie come squali e balene, nonché caratteristiche ecologicamente importanti come montagne sottomarine, fosse oceaniche e sorgenti idrotermali. Il team ha inoltre tenuto conto delle pressioni provenienti dall’industria ittica commerciale e dall’estrazione mineraria in alto mare.

“Ad ogni unità è stato assegnato un valore relativo all’estensione complessiva di ciascuna caratteristica di conservazione ad essa sovrapposta e inserita in Marxan,” ha scritto Callum Roberts, uno degli autori dello studio, nel sommario del rapporto. “Abbiamo eseguito il programma centinaia di volte per sviluppare progetti di rete che per ogni dato set di input raggiungesse i target prefissati minimizzando allo stesso tempo i costi.”
Lo studio ha anche tenuto conto dei cambiamenti e incertezze ambientali valutando la variabilità della temperatura superficiale marina, informazione che aiuterebbe a identificare come diverse parti dell’oceano reagiranno al cambiamento climatico.
L’anno successivo, un secondo studio, “Data-driven approach for highlighting priority areas for protection in marine areas beyond national jurisdiction,” è nato da un gruppo di ricercatori di diverse università, tra cui quella della California e di Santa Barbara (UCSB) insieme ad altre istituzioni. Questo team ha utilizzato un algoritmo di ottimizzazione e ha incorporato dati su diversità biologica, specie a rischio, diversità degli habitat e attività antropogeniche come la pesca.

“L’obiettivo era identificare dati distribuiti a livello globale e standardizzati in tutte le zone di alto mare, che sono una vasta area degli oceani”, ha spiegato a Mongabay Morgan Visalli, scienziata presso il Marine Science Institute dell’università di Santa Barbara e principale autrice dello studio. “È importante identificare dati che non siano raccolti solo in una piccola parte delle zone di alto mare, questo è stato un importante fattore decisionale su quali dati incorporare nell’analisi.”
Lo studio ha evidenziato determinati luoghi che possiedono valori di conservazione meritevoli di protezione, tra cui l’isola Salas y Gómez e la placca di Nazca, il Costa Rica Dome, il Lord Howe Rise e il Mare di Tasman meridionale. Sebbene questo team non abbia tenuto conto della variabilità della temperatura del mare, ha utilizzato modelli previsionali per prevedere in che modo i cambiamenti climatici potrebbero influenzare la distribuzione di alcune specie, come balene, uccelli marini e tonno.
Oltre ad adottare approcci metodologici separati, i due studi evidenziano diverse regioni come luoghi importanti da proteggere. Ad esempio, lo studio del 2019 ha dato la priorità a vaste parti dell’Oceano Antartico e al Fronte Polare Antartico, mentre il rapporto del 2020 ha raccomandato la protezione dell’area di Agulhas, nell’Oceano Indiano.

Ma ci sono anche molte similitudini. Ad esempio, entrambi i team suggeriscono di proteggere parti della Corrente nord-atlantica, del Pacifico nord-orientale, del Mar Arabico, e regioni al largo del Sud America occidentale, tra cui Salas y Gómez.
“In effetti abbiamo osservato molte sovrapposizioni in alcune aree evidenziate, anche se abbiamo utilizzato un diverso algoritmo e diversi input di data”, ha spiegato Visalli. “Abbiamo osservato un buon allineamento anche per quanto riguarda le aree identificate come ecologicamente o biologicamente importanti secondo questi gruppi di esperti riunitisi in tutto il mondo come parte di questo processo… e ciò rafforza l’idea che questi luoghi siano importanti da proteggere.”
Visalli ha raccontato che i due gruppi erano in contatto per collaborare e condividere idee. “Dal nostro punto di vista, più scienziati, dati e prospettive ci sono… più i risultati saranno solidi e più noi potremo attuare un piano migliore per queste aree di alto mare veramente importanti” ha concluso.
Karan, che lavora a stretto contatto con Visalli e il suo team, ha spiegato che i due studi sono stati compiuti per mostrare come si possano concepire aree marine protette in alto mare, tuttavia non si tratta di vere proposte dato che “non c’è ancora un trattato.”
“Non si tratta di guide definitive, quindi i Paesi potranno sviluppare proposte per altre aree che identificano come importanti per loro, e noi sicuramente li sosterremmo a farlo” ha detto.
I rappresentati delle Nazioni Unite avrebbero dovuto riunirsi lo scorso marzo per finalizzare i negoziati sul trattato riguardante le zone di alto mare, ma l’incontro è stato rimandato a causa della pandemia da COVID-19. Durante la pandemia si sono svolti alcuni incontri informali online, ma le date delle riunioni ufficiali devono ancora essere stabilite, ha spiegato Karan. Tuttavia, lei stessa è ottimista sul fatto che le cose torneranno in pista.
“Se non nel 2020, il prima possibile nel 2021”, ha dichiarato. “Speriamo che l’impegno che stiamo osservando da parte dei Governi nel partecipare a questi dialoghi informali e ai webinar sia la dimostrazione che si tratta di una questione ancora importante per loro. Mostra il loro impegno, e noi speriamo che questo aiuti a preparare la strada per una sessione di negoziati di maggiore successo quando sarà il momento.”
AGGIORNAMENTO 11/06/2020: Dopo la pubblicazione di questo articolo, Mongabay ha appreso che un altro team di ricercatori ha pubblicato uno studio in cui si identificano 8,5 chilometri quadrati di oceano meritevoli di tutela, un’estensione che comprende il 26% dei mari. Entro la fine dell’anno si prevede la pubblicazione di un quarto studio condotto da un team guidato dalla National Geographic Society.
Citazioni:
O’Leary, B. C., Winther-Janson, M., Bainbridge, J. M., Aitken, J., Hawkins, J. P., & Roberts, C. M. (2016). Effective coverage targets for ocean protection. Conservation Letters, 9(6), 398-404. doi:10.1111/conl.12247
Visalli, M. E., Best, B. D., Cabral, R. B., Cheung, W. W., Clark, N. A., Garilao, C. … McCauley, D. J. (2020). Data-driven approach for highlighting priority areas for protection in marine areas beyond national jurisdiction. Marine Policy. doi:10.1016/j.marpol.2020.103927
Roberts, C. M., Page, R. W., O’Leary, B. C., Allen, H. L., Yates, K. L., Tudhope, A. W., … Hawkins, J. P. (2019). 30×30: A blueprint for ocean protection. University of Oxford, University of York, Greenpeace.
Immagine di copertina: Una balena franca e il suo balenottero fotografati nel 2005. Immagine di NOAA NMFS.
Articolo originale: https://news-mongabay-com.mongabay.com/2020/06/scientists-agree-on-the-need-to-protect-of-30-of-the-sea-but-which-30/