- Una nuova piattaforma online mostra le aree da proteggere per salvaguardare la biodiversità e abbattere le emissioni di CO2.
- La Global Safety Net include sei livelli primari di dati: aree protette esistenti, habitat popolati da specie rare, aree ad alta biodiversità, territori abitati da grandi mammiferi, vaste aree incontaminate e paesaggi naturali in grado di assorbire e contenere più CO2.
- È stato scoperto che, in aggiunta al 15,1% delle aree attualmente protette al mondo, sarà necessario aggiungerne il 35,3% per superare i prossimi 10 anni. Questo significa che sarà necessario proteggere il 50% della superficie terrestre da ulteriori alterazioni per mantenere la terra al di sotto della soglia del 1,5 °C e scongiurare il collasso ecologico.
- I ricercatori affermano che ridurre la deforestazione in queste aree diminuirà il rischio di epidemie, che alcuni studi hanno collegato alla perdita dell'habitat.
Ormai alle porte del 2021 e con il COVID-19 che imperversa ancora, è facile dimenticarsi di altre crisi globali. Ma una nuova applicazione lanciata oggi cerca di aprire la strada a un futuro migliore mostrando come possiamo fermare il riscaldamento globale, frenare l’estinzione e prevenire le pandemie. Tutto in un sol colpo..
Ricerche dimostrano che un riscaldamento globale al di sopra di 1,5 °C potrebbe portare al collasso degli ecosistemi di tutto il mondo. I ricercatori affermano che questo non solo porterebbe a estinzioni di massa, ma avrebbe anche serie conseguenze per gli uomini in termini di sicurezza idrica e alimentare, resilienza delle comunità ai disastri ambientali, salute pubblica e altre esigenze sociali strettamente collegate a un ambiente sano.
Ma, stando alle cifre, il tempo per agire è quasi agli sgoccioli. La ricerca indica che per far sì che si rimanga al di sotto della soglia del 1,5 °C, è necessario tagliare la maggior parte delle emissioni globali di gas serra. La deforestazione è una delle maggiori cause di emissione di CO2 e la sua riduzione è uno dei punti fondamentali delle strategie internazionali volte a contenere il riscaldamento globale. Tuttavia, i ricercatori affermano che se la deforestazione e altre emissioni industriali manterranno i ritmi attuali, raggiungeremo la soglia del 1,5 °C entro il 2030.
In altre parole, abbiamo meno di 10 anni per cambiare le cose.
A tal proposito, un gruppo di ricercatori guidato da Eric Dinerstein – studioso di fauna selvatica e direttore dell’organizzazione per la conservazione RESOLVE – ha elaborato la prima stima comprensiva della superficie terrestre totale che dovrebbe essere protetta per risolvere sia la perdita della biodiversità che il cambiamento climatico. Chiamata “Global Safety Net”, l’iniziativa unisce dati sulle aree protette, sui territori intatti, sull’importanza della biodiversità e sull’assorbimento e contenimento di CO2 per mostrare in modo preciso a quali aree dare la priorità. L’iniziativa è disponibile su una piattaforma online open access.
“Preservare almeno la metà, e nei posti giusti”
La Global Safety Net include sei livelli primari di dati: aree protette esistenti, habitat popolati da specie rare, aree ad alta biodiversità, territori abitati da grandi mammiferi, vaste aree incontaminate e paesaggi naturali in grado di assorbire e contenere più CO2.
In uno studio che affianca il rilascio della piattaforma pubblicata su Science Advances, i ricercatori indicano cosa sia necessario fare per scongiurare gli effetti più disastrosi del riscaldamento globale e dell’estinzione. Si è scoperto che, in aggiunta al 15,1% delle aree attualmente protette al mondo, sarà necessario aggiungerne il 35,3% per superare i prossimi 10 anni. Questo significa che sarà necessario proteggere il 50% della superficie terrestre da ulteriori alterazioni per mantenere la terra al di sotto della soglia del 1,5 °C e scongiurare il collasso ecologico.
I ricercatori sono rimasti sorpresi dalla corrispondenza numerica con stime precedenti la percentuale di superficie terrestre che è necessario salvaguardare.
“Casualmente, la ricerca ha mostrato che è necessario proteggere il 50.4% della superficie terrestre” afferma Karl Burkart, coautore dello studio e amministratore delegato della ONG One Earth. “Naturalmente adesso la questione della salvaguardia è molto più variegata e le aree rigorosamente protette sono solo uno dei tipi di territorio che possono contribuire a questo obiettivo.”
Più da vicino, lo studio evidenzia che il 30% della superficie è “particolarmente importante per la biodiversità”. Un ulteriore 20% è necessario per preservare l’integrità dell’ecosistema e garantire un maggiore assorbimento e contenimento del CO2. Gli autori hanno anche osservato che il recupero di aree degradate potrebbe aiutare nel raggiungimento degli obiettivi per quanto riguarda il sequestro di carbonio e la salvaguardia della fauna selvatica.
Dinerstein e i suoi colleghi scrivono che la Global Safety Net può servire come piano d’azione per raggiungere gli obiettivi per il clima e la biodiversità.
Gli autori affermano che “rimanere al di sotto del limite di 1,5 °C significa che gran parte dell’habitat mondiale restante (e una buona parte di quello recuperato in bioma forestale) venga in qualche modo salvaguardato entro il 2030. I progressi sostenuti nelle due convenzioni responsabili della biodiversità e del clima (la Convenzione sulla Diversità Biologica e La Convenzione delle Nazioni Unite sul Cambiamento Climatico) devono essere accelerati se vogliamo proteggere la ricchezza e la diversità della vita sulla Terra e stabilizzare il clima.
Sta emergendo una soluzione olistica volta ad accelerare entrambe le iniziative: preservare almeno la metà, e nei posti giusti.”
I ricercatori hanno identificato 50 eco regioni, cioè aree caratterizzate da ecologie e geologie uniche, e 20 paesi che hanno un enorme potenziale di conservazione.
Tra questi vi è la savana ad acacia del Sahel, una vasta prateria che si estende per tutta l’Africa subsahariana dal Senegal al Sudan, le Foreste pluviali montane della cordigliera centrale condivise da Indonesia e Papua Nuova Guinea, Sulawesi, la foresta pluviale montana in Indonesia, le foreste pluviali del Madagascar e quelle del Mindanao occidentale e Visayas nelle Filippine. Queste aree costituiscono i cinque punti focali in termini di terra che potrebbe essere protetta in futuro, raggiungendo in totale 183.000 km2 di potenziale protezione e quasi il 2% della superficie terrestre del pianeta.
L’applicazione, inoltre, classifica i paesi sulla base dell’area di terre biologicamente rilevanti poste sotto protezione ufficiale, divise in tre liste per estensione del paese. Tra i “grandi” paesi, la Nigeria è in testa per il livello di protezione, il Brasile è al numero 15, gli USA al 34, l’Indonesia al 47 e la Somalia occupa l’ultimo posto al numero 70.
Si segnala che le classifiche non considerano la deforestazione all’interno delle aree protette. In caso contrario, paesi come Nigeria e Brasile, in cui le aree protette sono sempre più afflitte dal disboscamento illegale, non occuperebbero posizioni così in alto nell’elenco. Tuttavia, i ricercatori affermano che le aree protette forniscono un indice di affidabilità necessario e un parametro per misurare lo sforzo di conservazione.
Burkart scrive in un’e-mail a Mongabay “Le aree protette (o i target territoriali) non garantiscono certamente un risultato per la conservazione, come possiamo notare in Brasile, dove gli incendi divampano proprio in questo momento, ma senza queste aree saremmo nei guai.”
Burkart e Dinerstein considerano i target territoriali la “stella polare” della preservazione della biodiversità e della protezione climatica e ritengono che entrambe abbiano un ruolo importante nella creazione di uno schema d’azione che la società civile possa utilizzare per motivare e mobilizzare gli sforzi di conservazione.
“Dobbiamo far uscire la conservazione dalle torri d’avorio delle istituzioni accademiche (o dagli uffici ministeriali).” afferma Burkart. “Stiamo parlando del bene pubblico, quindi è necessario un bilancio trasparente della nostra situazione attuale e delle priorità assolute. I target territoriali sono solo l’inizio, sono la planimetria della cattedrale che dobbiamo costruire.”
Che cosa succederà in futuro?
Se triplicare la superficie terrestre protetta ufficialmente in meno di 10 anni vi sembra impossibile, non siete soli. Ma Dinerstein e i suoi colleghi affermano che è possibile farlo.
Una delle alternative da loro raccomandate è la salvaguardia dei territori indigeni. La Global Safety Net mostra che le aree di conservazione importanti spesso si sovrappongono a quelle occupate da comunità indigene o considerate terre ancestrali, che secondo delle stime precedenti contengono circa l’80% della restante biodiversità mondiale e contribuiscono significativamente al contenimento di CO2. La gestione dei territori da parte di comunità indigene e locali si è dimostrata efficace nella protezione di questi territori.
I ricercatori affermano che “Risolvere le rivendicazioni delle terre indigene, sostenere i diritti delle proprietà terriere esistenti e tutelare progetti sulle terre a gestione indigena potrebbe contribuire a raggiungere gli obiettivi per la biodiversità su circa un terzo dell’area richiesta dalla Global Safety Net. Allo stesso tempo, si porterebbe l’attenzione su problematiche di giustizia sociale e diritti umani.”
La protezione di aree così vaste richiederà molto denaro. Ma i ricercatori affermano che la pandemia di COVID-19 ha dimostrato come i paesi possano stanziare grosse somme di denaro se necessario. E dato che la ricerca dimostra che esiste un collegamento tra deforestazione e un maggiore rischio di malattie come Ebola e COVID-19, Dinerstein e i suoi colleghi affermano che questo è un ulteriore incentivo a finanziare la ricerca.
Nel loro studio, affermano che “La necessità di un’agenda ambiziosa per la conservazione globale è ancora più impellente nel 2020, dopo la rapida diffusione del COVID-19.”
I ricercatori sono rimasti sorpresi nello scoprire che solo il 2,3% dell’area terrestre mondiale necessiterebbe di ulteriore protezione per salvaguardare le specie più a rischio di estinzione. Questo, affermano, potrebbe essere ottenuto in cinque anni.
Complessivamente, l’investimento nella preservazione di queste importanti aree terrestri verrebbe ampiamente compensato dai bi/trilioni di dollari che risulterebbero da un ambiente sano.
Burkard afferma che “Stiamo spendendo letteralmente miliardi di dollari per inventare tecnologie che rimuovano CO2 dall’atmosfera, e con scarsi risultati. Nel frattempo, possiamo proteggere la spettacolare biodiversità del nostro pianeta mentre forniamo all’umanità tutti i servizi ecosistemici di cui necessita proteggendo e preservando il 50% delle aree identificate nella GSN. Sulla base di una nuova analisi economica, si stima che gestire la GSN costerebbe circa 200 miliardi di dollari all’anno. Si tratta di un investimento minimo con un ritorno enorme, poiché la natura ogni anno fornisce servizi ecosistemici per un valore di 33 bilioni di dollari.”
Da parte loro, Dinerstein, Burkart e i colleghi continuano a migliorare la GSN e contano di rilasciarne una versione aggiornata con più livelli di dati e una maggiore risoluzione entro l’anno prossimo. Stanno inoltre sviluppando tecnologie che aiutino nel controllo delle popolazioni di elefanti, nella speranza di ridurre il conflitto tra umani ed elefanti e prevenire il bracconaggio. A questo si aggiunge un sistema che rileva i camion per il trasporto della legna prima che comincino a tagliare gli alberi.
Dinerstein afferma che “La protezione delle foreste comincia con una rilevazione precoce e un’attuazione successiva. E noi pensiamo che la nostra intelligenza artificiale ForestGuard sia un tassello fondamentale.”
Ma il punto principale, dicono i ricercatori, è che devono essere i governi ad agire, e presto.
Scrivono che “Le società umane sono in forte ritardo per evitare l’imminente disastro ambientale, la perdita massiccia di biodiversità e, adesso, prevenire le pandemie. La Global Safety Net, se attuata in tempo, offre all’umanità un’occasione per recuperare e riprendersi.”
Immagine banner: un sifaka setoso (Propithecus candidus), uno dei mammiferi più rari al mondo. Immagine di Jeff Gibbs via Wikimedia Commons (CC BY-SA 3.0).
Articolo originale: https://news-mongabay-com.mongabay.com/2020/09/how-do-we-avert-global-warming-extinctions-and-pandemics-new-app-has-answers/