- Un nuovo studio analizza criticamente il problema del rumore causato dall’uomo nell’oceano e come questo influenzi negativamente il comportamento, la fisiologia e la sopravvivenza degli animali marini.
- Sebbene questo tipo di ricerca incentrata sul rumore antropogenico non sia nuovo, questo problema è stato generalmente ignorato piuttosto che affrontato, dichiarano gli autori.
- Lo studio sostiene che, nonostante la gravità del problema, vi sarebbero molte soluzioni pratiche per mitigare il rumore antropogenico nell’oceano.
Jana Winderen trova difficile fuggire al rumore umano. In qualità di artista del suono, ha viaggiato in parti remote del mondo per catturare l’audio sottomarino: dal Mare di Barents al Polo Nord fino a un piccolo villaggio della Tailandia. Tuttavia, puntualmente, un po’ dappertutto le si rammenta della presenza umana.
“Appena si indossano gli idrofoni in acqua, la prima cosa che si nota è la presenza di un qualche motore o pompa o compressore, ossia di un qualcosa prodotto dall’uomo, che risulta molto forte rispetto alle altre piccole creature, totalmente soverchiante”, ha dichiarato Winderen in una intervista a Mongabay.”
Jana Winderen – composizione dal suono
L’ultimo lavoro di Winderen, che accompagna un nuovo studio scientifico pubblicato la scorsa settimana su Science, è un audio inquietante di sei minuti in cui le invocazioni delle foche e lo scricchiolio dei crostacei sott’acqua vengono mescolati al rumore antropogenico dei motori delle barche e del battipalo. Lo studio, che ha visto la collaborazione di 25 ricercatori internazionali, tra cui la stessa Winderen, ha preso in esame oltre 10.000 studi per analizzare criticamente il problema del rumore negli oceani e come esso possa influenzare negativamente gli animali marini in termini di comportamento, fisiologia e persino sopravvivenza.
L’autore principale, Carlos Duarte, sottolinea come a motivare lo studio sia stata la preoccupazione che l’inquinamento acustico non venga apertamente discusso come problema principale che ha un impatto sugli oceani né venga affrontato nelle politiche di conservazione, nonostante sull’argomento vi sia già un corpo di ricerca robusto, seppure di nicchia.
“Ritengo che abbiamo colto proprio il momento giusto per affrontare l’elefante nella stanza sonora dei problemi dell’oceano”, ha dichiarato a Mongabay Duarte, emerito professore presso il King Abdullah University of Science and Technology (KAUST) in Saudi Arabia. E ancora: “Questo problema è stato totalmente ignorato, eppure tale omissione indebolisce i nostri sforzi di guidare le politiche indirizzate alla salute degli oceani”.
Duarte sostiene che l’inquinamento acustico possa avere conseguenze ben più profonde dell’inquinamento causato dalla plastica, poiché si tratta di un problema silente per la maggior parte delle persone.
Spiega infatti: “Mentre qualunque normale cittadino che vada in spiaggia può notare con orrore la plastica respinta dalle onde o galleggiante sulla superficie marina, nel caso dell’inquinamento acustico, pochissimi ficcano il capo nell’acqua per un tempo sufficiente da percepire il suono e, quando anche lo facessero, la maggior parte di loro non è consapevole di quel che sente poiché le orecchie umane non sono fatte per sentire sott’acqua.
Mentre gli esseri umani non possono percepire bene i suoni sott’acqua, gli animali marini invece, attraverso una evoluzione di migliaia di anni, hanno acquisito la capacità di rilevare ed emettere suoni lungo una gamma di frequenze, capacità questa che permette loro di navigare, ricercare cibo, difendere il proprio territorio e persino trovare potenziali compagni per l’accoppiamento nell’oceano. Il suono viaggia anche più velocemente sott’acqua che sulla terraferma, così che il mondo marino è una specie di superstrada di informazione per i suoi abitanti.
I pesci quali il merluzzo atlantico (Gadus morhua) producono mormorii e grugniti mentre si radunano a deporre le uova. I pinnipedi, simili alle foche barbute (Erignathus barbatus) emettono sott’acqua trilli acuti per attirare i maschi. Le balenottere azzurre (Megaptera novaeangliae) cantano delle melodie per comunicare con le altre balene diverse miglia lontane. I gamberetti schioccanti utilizzano schiocchi e scricchiolii per stordire le prede. Infine, le larve e i giovani di vari animali marini sia vertebrati che invertebrati utilizzano il suono per navigare attraverso l’oceano e trovare il posto giusto in cui stabilirsi.
Tuttavia, l’introduzione del rumore umano porterebbe sofferenza alla vita marina, suggerisce lo studio. Gli animali marini potrebbero cambiare il proprio comportamento per evitare tale rumore finendo conseguentemente con il perdere le prime opportunità di approvvigionamento e accoppiamento. Il rumore può causare danno all’udito dei mammiferi e degli altri animali marini. In alcuni casi, il rumore antropogenico può addirittura aumentare la mortalità degli animali marini.
“In alcuni casi il rumore sottomarino può spingere gli animali a dei comportamenti inadeguati finché, intrappolati, trovano la morte sulle spiagge”, ha spiegato in una e-mail a Mongabay il co-autore Daniel Costa, emerito professore presso la Università della California, a Santa Cruz. “È quanto è accaduto, infatti, agli zifidi. Comunque sia, questa evenienza è meno comune degli effetti più indistinti quali la difficoltà a trovare cibo o un compagno per l’accoppiamento. Alcuni pesci utilizzano il suono per identificare l’habitat giusto per mettere radici. Il rumore può inoltre ridurre la capacità del pesce di sentire la presenza di un predatore. Perciò, gli effetti variano enormemente e sono spesso difficili da misurare o identificare. In un certo senso, ciò può essere equiparato alla ‘morte dai mille tagli’”.
Tra i rumori antropogenici più forti e più distruttivi nell’oceano vi sono l’esplosione delle bombe, le navi mercantili, la palificazione durante la costruzione dei parchi eolici, il dragaggio del fondo marino, e persino il traffico dei ponti o degli aeroplani a bassa quota. Tuttavia, anche le modeste attività ricreative quali le immersioni subacquee, il surfing, il nuoto, il pilotaggio droni o la guida dei motoscafi avrebbero anche essi, secondo lo studio, un certo grado di effetto sull’ambiente marino, sebbene in misura di gran lunga inferiore.
Secondo Duarte, il rumore atropogenico, essendo quasi costante nell’oceano, potrebbe avere un “impatto cronico” sugli animali marini.
“Stiamo assistendo al graduale impoverimento della condizione fisica di molti animali marini, che rinsecchiti soffrono la fame, come provato”, ha affermato Duarte, aggiungendo: “Riteniamo che gli effetti cronici del rumore facciano parte delle cause del generale indebolimento degli animali marini, dal momento che viene intaccata la loro capacità di resistere ad altri impatti e di riprendervisi”.
Il cambiamento climatico può ulteriormente peggiorare l’inquinamento acustico. Per esempio, lo scioglimento dei ghiacciai può trasformare un tranquillo paesaggio polare in un paesaggio acustico in fermento, poiché in quel caso gli esseri umani riescono ad avere accesso ad aree normalmente coperte dal ghiaccio, con conseguente aumento delle attività, quali quelle nautica e peschereccia.
Sebbene il rumore antropogenico sia un problema serio, lo studio suggerisce che vi sarebbero delle soluzioni praticabili. La chiave di svolta consiste semplicemente nel fare cessare il rumore.
“Appena lo blocchi, se ne va,” ha detto Costa, aggiungendo: “Infatti, esso non persiste nell’ambiente, a differenza di altri agenti inquinanti quali la plastica, la CO2 e gli organo-clorurati che vi si trattengono per anni”.
Vi sono poi molteplici soluzioni tecnologiche a disposizione che aiuterebbero a mitigare certi rumori umani, ha spiegato il co-autore Lucille Chapuis, un borsista post-dottorato della Università di Exeter.
“Uno dei rumori maggiori è quello della palificazione quando vengono costruiti i parchi eolici con la produzione di tante esplosioni di rumore brevi ma fortissime”, ha dichiarato Chapuis in una intervista a Mongabay. E ancora: “Dunque, adesso, è possibile installare una barriera di bolle attorno al sito di costruzione con la funzione di assorbire il rumore. E ciò è solo un esempio. Vi è anche un grosso problema con le navi poiché ce ne sono tantissime eppure cambiandone la forma o il motore le si possono rendere più silenziose”.
Dalla sua pubblicazione, l’articolo si è guadagnato un’ampia attenzione mediatica, il che a detta di Winderen è esattamente il risultato originariamente auspicato.
“Sebbene questa ricerca, tutt’altro che nuova, sia stata condotta per moltissimi anni così come è da tanto che si è a conoscenza del suono subacqueo”, ha affermato Winderen, “ritengo che questo studio possa davvero aiutare a spargere la parola sull’importanza di questo problema”.
In conclusione, il risultato auspicato dagli autori di questo studio è che la mitigazione del suono venga inclusa nelle linee politiche così che negli oceani ci siano unicamente i suoni provenienti da fonti geologiche e biologiche: lo scricchiolio dei crostacei, il richiamo delle foche, i canti delle balene, lo scrosciare delle onde, lo schiocco del ghiaccio che si scioglie.
“Un oceano sano ha i suoni di un oceano in fermento,” ha affermato Duarte, “ma quel fermento deriva dalla vita marina, non dagli esseri umani”.
Citazioni:
Duarte, C. M., Chapuis, L., Collin, S. P., Costa, D. P., Devassy, R. P., Eguiluz, V. M., … Juanes, F. (2021). The soundscape of the Anthropocene ocean. Science, 371(6529). doi:10.1126/science.aba4658
Immagine di apertura: Foto di NOAA.
Articolo originale: https://news-mongabay-com.mongabay.com/2021/02/for-marine-life-human-noise-pollution-brings-death-by-a-thousand-cuts/