- La più grande compagnia di social media, Facebook, mette regolarmente in contatto i trafficanti di fauna selvatica di tutto il mondo. I portavoce dei diritti animali stanno spingendo affinché il problema venga affrontato negli USA, paese d’origine dell’impresa.
- La proposta di legge degli Stati Uniti fa riferimento a una legge vecchia di decenni che protegge il contenuto delle compagnie online in quanto frutto della libertà di espressione. I difensori dei diritti animali sottolineano che traffico di fauna selvatica e libertà di parola non hanno nulla in comune, e che le società online come Facebook non possiedono alcuna regolamentazione che altre aziende del “mondo non virtuale” devono invece adottare.
- Secondo i ricercatori, il traffico è aumentato da quando Facebook ha scelto di autoregolamentarsi nel 2019. L'impresa potrebbe collaborare con le forze dell'ordine o gli studiosi della conservazione, ma raramente ha scelto di farlo.
- Nel frattempo, i ricercatori stanno raccogliendo sempre più prove che il traffico di fauna selvatica costituisce una delle più grandi minacce alla biodiversità globale.
Bastano pochi secondi per trovare prove del traffico di fauna selvatica su Facebook, affermano i ricercatori ed esperti dell’U.S. Fish and Wildlife Service (USFWS). Anche usando semplici termini di ricerca si trovano migliaia di post che mettono in vendita animali selvatici così come parti del corpo. Avorio di elefante dalla Thailandia, scaglie di pangolino dal Vietnam e orsi del sole dalla Malesia. Tigri, trichechi, tartarughe, rinoceronti, tartarughe marine e pinne di squalo sono stati tutti trovati disponibili per la vendita sulla più grande piattaforma di social media del mondo, anche se questa dice di aver vietato il commercio sul suo sito.
Patricia Tricorache, ricercatrice indipendente di fauna selvatica, monitora ogni giorno i cuccioli di ghepardo che appaiono sui social media. Dalla sua casa in Messico, osserva come i ghepardi passino di proprietario in proprietario, strappati dalla loro casa nel Corno d’Africa per finire nelle case di collezionisti in Arabia Saudita (attraverso annunci pubblicati su Facebook e Instagram).
A questi animali attende con ogni probabilità una triste sorte. Di solito, nello scambio tra trafficanti e acquirenti, i cuccioli durano pochi mesi prima di morire.
Ma Facebook, con sede negli Stati Uniti, spiega Tricorache, è protetto da leggi statunitensi progettate per proteggere la libertà di espressione. Di conseguenza, l’azienda, che vanta 2,7 miliardi di utenti, ha a lungo negato ogni sua responsabilità nel traffico di fauna selvatica, un commercio che secondo i ricercatori non ha fatto altro che aumentare da quando la società si è impegnata a fermarlo nel 2019.
«Facebook si comporta esattamente come il poliziotto che sta fuori dalla casa mentre viene derubata», dice Tricorache. «È come se restasse a guardare e dicesse: “beh non era il mio distretto o non ero in servizio”, come se non avesse alcuna colpa».
Gli Stati Uniti non hanno restrizioni legali per impedire a Facebook e ad altre compagnie online di ospitare attività illegali su scala globale, tra cui un solido traffico di animali selvatici. Allo stesso modo, i paesi che lottano per tenere a freno il traffico non hanno alcun potere nel dettare legge su Facebook, e spesso riescono ad agire sugli animali trafficati solo una volta che sono stati strappati dal loro habitat e trasportati lontano.
Facebook non ha risposto alle domande inviate via e-mail per commentare questo articolo.
Un problema globale, un problema negli USA e un problema di Facebook
Gli scienziati possiedono sempre più prove a testimonianza che il traffico di animali selvatici è un’enorme minaccia alla biodiversità globale. Migliaia di specie e loro parti vengono vendute sul mercato internazionale come animali domestici, medicine e accessori di moda per un valore complessivo che ammonta a miliardi di dollari. Sebbene gli studi sull’impatto del commercio sulla diversità mondiale siano pochi, uno studio recente ha stimato che il traffico ha contribuito a un declino del 60% nell’abbondanza delle specie.
Internet, in gran parte non regolamentato, ha ulteriormente aggravato il problema, con un incremento del traffico online di fauna selvatica durante la pandemia di COVID-19 che ha visto i commercianti passare da scambi faccia a faccia alle vendite online.
Ecco perché un gruppo crescente di sostenitori statunitensi sta incoraggiando il governo degli Stati Uniti affinché agisca e chieda a Facebook e ad altri social media di prendere le giuste misure per ridurre il traffico di fauna selvatica che corre sul web.
«Abbiamo un problema enorme e la pandemia non ha fatto altro che peggiorarlo. Il traffico è una piaga su scala globale che sta degenerando, e Facebook ha solo accelerato il tutto», ha spiegato Jared Huffman a Mongabay, rappresentante della Camera degli Stati Uniti e democratico californiano.
A maggio, i membri della Camera hanno introdotto un disegno di legge che aggirerebbe una protezione chiave attuale concessa alle aziende online che impedisce azioni legali per affrontare il traffico di fauna selvatica e altre forme criminali su internet. Come altre proposte di legge fatte per ritenere le gigantesche e politicamente potenti aziende di social media responsabili di ospitare contenuti illegali, il disegno di legge potrebbe dover combattere un’ardua battaglia. Noto come Online Consumer Protection Act (OCPA), è stato precedentemente introdotto alla Camera in varie forme, e i suoi sostenitori si sono spesso scontrati con i lobbisti delle compagnie online e i sostenitori della libertà di espressione. Tuttavia, la pandemia di COVID-19 ha portato nuova consapevolezza sul traffico di fauna selvatica e sul suo ruolo nel declino della biodiversità.
Libertà di parola online vs traffico illegale non regolamentato
L’OCPA, se approvato, stabilirebbe un principio di «obbligo di assistenza», dice Gretchen Peters, direttore esecutivo del Center on Illicit Networks and Transnational Organized Crime.
Questo principio richiederebbe che le aziende online, come altri tipi di aziende, tra cui gli hotel, creino il proprio set di linee guida, che verrebbero poi approvate dalla Federal Trade Commission (FTC). Secondo il disegno di legge, non ci si aspetta che le aziende di social media facciano piazza pulita di tutte le attività criminali, come il traffico di fauna selvatica, dalle loro piattaforme, anche se si tratta di uno degli obiettivi finali. Le aziende devono però assicurare di star facendo tutto ciò che è in loro potere per ripulire le loro piattaforme da attività illecite.
Finora, nessuna legge degli Stati Uniti è ancora passata richiedendo alle aziende di social media di stabilire politiche di assistenza, lasciandole così sotto il controllo delle proprie regolamentazioni.
Secondo l’OCPA, se le piattaforme online non dovessero sostenere le politiche approvate dalla FTC, perderebbero il loro “scudo di responsabilità” attualmente concesso. Questo scudo è fornito dalla sezione 230 del Communications Decency Act del 1996, che protegge le aziende online dalla responsabilità per i contenuti pubblicati sulle loro piattaforme. La sezione 230 è stata principalmente interpretata come una protezione della libertà di parola, assicurando che le piattaforme non siano prese di mira per aver permesso discorsi controversi. Peters, tuttavia, spiega che la sezione 230 è stata anche ampiamente utilizzata per offrire protezioni generali per tutto ciò che accade sulle piattaforme, comprese le attività criminali.
«Quando vendi scimpanzé online, non si tratta di libertà di espressione solo perché lo fai su Facebook. È un crimine bello e buono. È commercio. Si tratta di un tipo di condotta e non di libertà di espressione», sostiene Peters.
La chiave dell’argomentazione di Peters riguardo alle responsabilità legali delle aziende di social media è che Facebook e altre aziende simili non solo stanno facilitando il commercio illegale di fauna selvatica, ma lo stanno anche incoraggiando. Un operatore telefonico, al contrario, non dovrebbe essere perseguito dalla legge per aver permesso un commercio illegale di corni di rinoceronte, in quanto non gioca alcun ruolo nella conversazione di vendita. Al contrario, Facebook, ha un ruolo attivo in tutto questo.
«Gli algoritmi di Facebook non fanno altro che amplificare e diffondere i contenuti. Mettono le persone in contatto e sono quindi molto più simili ad un agente pubblicitario che a qualcuno che sta fornendo un servizio e-mail o telefonico», spiega Peters. L’Alliance for Countering Crime Online (ACCO), una ONG fondata da Peters, ha determinato attraverso uno studio del 2020 che quasi un terzo delle pagine di fauna selvatica scoperte dai ricercatori sono state suggerite loro attraverso la funzione “suggerimenti pagine simili” di Facebook.
L’obiettivo di ACCO non è la rimozione della Sezione 230 (qualcosa su cui Donald Trump ha spinto molto durante la sua presidenza per fare pressione sulle aziende di social media che promuovono quelle da lui definite “fake news”), ma piuttosto spinge per un emendamento che chiarisca come crimine e libertà di parola siano del tutto diverse. Senza la protezione generale fornita dalla sezione 230, le aziende tecnologiche potrebbero essere citate in giudizio dalle vittime per aver permesso un comportamento criminale.
«Ciò per cui stiamo lottando è un principio abbastanza semplice, se qualcosa è illegale nella vita reale, dovrebbe altrettanto esserlo online», afferma Peters. Tale principio, aggiunge, racchiuderebbe tutti i tipi di comportamento illegale online, compresi il traffico di esseri umani e il commercio illegale di droga, e affronterebbe tutti questi problemi insieme in maniera più efficiente che non affrontandoli singolarmente.
Mentre continuano a fare pressione affinché l’OCPA diventi legge, gli attivisti chiedono anche che i regolamenti esistenti vengano utilizzati per frenare il commercio di animali selvatici online, che include le norme esistenti che proteggono gli azionisti dai crimini commessi dalle società pubbliche. Nel 2019, Peters ha collaborato insieme ad alcune talpe di Facebook per presentare una denuncia alla Securities and Exchange Commission (SEC), sostenendo che Facebook non aveva avvertito gli investitori che li stava esponendo ad attività illegali, tra cui il commercio di fauna selvatica. Lo stato di quel dossier, se mai preso in mano dalla SEC, è sconosciuto.
Facebook e le azioni del web fino ad oggi
Nel 2019, Facebook ha introdotto politiche per vietare il commercio di fauna selvatica illegale sulla sua piattaforma, eppure i ricercatori sostengono che il commercio continua come se nulla fosse cambiato. L’azienda vieta esplicitamente il commercio di fauna selvatica illegale elencata dalla Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione (CITES), un accordo internazionale del 1975 per arginare il traffico illegale.
Inoltre, nel 2018 l’azienda si è unita ad altre società di social media nella Coalizione per porre fine al traffico di fauna selvatica online, che mira a rimuovere l’80% del traffico di fauna selvatica dalle piattaforme partecipanti entro il 2020. Mentre altre aziende hanno fatto progressi, l’azione principale di Facebook è stata quella di creare uno strumento per gli utenti affinché possano segnalare tali attività. L’ACCO sottolinea come il commercio illegale di fauna selvatica su Facebook sia effettivamente aumentato dal 2018.
«Molte aziende, Facebook incluso, hanno istituito politiche per cercare di limitare il ruolo delle loro piattaforme [in tutto questo], ma è stato chiaramente inadeguato finora», afferma Taylor Tench, analista politico per l’Environmental Investigation Agency U.S.
L’Interpol ha tenuto dei workshop contro il traffico per acquisire una maggiore comprensione della CITES. Tricorache ha partecipato a uno di questi incontri dove è potuta entrare in contatto con i rappresentanti di Facebook. Raramente segnala account online per attività illegali, ma a seguito di quell’incontro ha scoperto un potenziale trafficante di ghepardi in Messico. Ha subito segnalato la pagina e ha inviato un’e-mail al suo nuovo contatto di Facebook. Non ha mai ottenuto risposta.
«Il caso del Messico mi fa davvero arrabbiare, era così chiaro e l’ho segnalato al rappresentante di Facebook che avevo incontrato di persona», spiega Tricorache.
Questo non vuol dire che Facebook non abbia agito. Nel corso degli anni ha rimosso molti account legati al traffico di fauna selvatica, «ma questo ci dice molto sulla quantità di annunci che girano là fuori», continua Tricorache. I ricercatori ci spiegano che la maggior parte delle pagine che vengono rimosse sono in inglese, tuttavia gran parte del commercio avviene in altre lingue, dove il controllo dei profili è sporadico.
Facebook ha la possibilità di collaborare con le forze dell’ordine per agire contro il traffico di fauna selvatica, ma raramente opta per questa opzione. Stephen Guertin, vicedirettore per la politica dell’USFWS, parlando ad un’udienza del Congresso di aprile, ha comunicato che la maggior parte delle indagini criminali intraprese dal servizio coinvolgono qualche caso in cui il commercio è facilitato dai social media.
Tuttavia, l’USFWS ha difficoltà a indagare pienamente su tali crimini, o anche a misurare quanto diffuso o redditizio possa essere il commercio, in quanto Facebook non collabora volontariamente, ma piuttosto aspetta che si svolga un lungo processo legale. Questo perché l’agenzia federale non ha il potere di citare in giudizio Facebook per informazioni relative a possibili attività criminali.
«Certamente se avessimo quell’autorità di ordinanza amministrativa, risparmieremmo diverse ore o giorni a esaminare alcuni di questi casi emergenti, mentre cerchiamo di costruire prove contro alcune delle organizzazioni criminali. Una simile autorità ci conferirebbe molto più potere per agire più rapidamente in questo traffico di fauna selvatica che si muove molto velocemente», ha spiegato Guertin durante l’udienza. Non si sa quanto profitto Facebook tragga dagli annunci sul commercio di fauna selvatica.
Altre compagnie online sono state più disponibili a collaborare con le forze dell’ordine. eBay, per esempio, ha un rapporto di lunga data con i dipartimenti investigativi dell’USFWS. Come risultato, dice Guertin, eBay ha visto una drastica riduzione dei post sulla fauna selvatica.
Le aziende possono anche giocare un ruolo significativo nel moderare la propria piattaforma offrendo strumenti educativi agli utenti. A tal proposito, l’anno scorso Facebook ha iniziato a diffondere un avviso di protezione della fauna selvatica che compare nel momento in cui gli utenti cercano termini concernenti il traffico di animali.
Un problema globale che richiede una cooperazione internazionale
Facebook ha sede negli Stati Uniti, ma gli utenti che intendono trafficare fauna selvatica possono scegliere tra una serie di piattaforme di social media con sede in tutto il mondo. Di conseguenza, una forte moderazione da parte di una società internet in una nazione può risultare in una sorta di “acchiappa la talpa” in cui nuove piattaforme situate altrove riempiono i vuoti lasciati.
«Penso sia importante concentrarsi sulle imprese, ma penso anche che sia importante che le imprese stesse agiscano in quanto settore», spiega Tench. «Se una compagnia ha politiche molto forti riguardo la prevenzione del traffico di fauna selvatica, non è così difficile per i commercianti cambiare semplicemente piattaforma».
Ma una simile cooperazione non è sempre immediata. Quando Huffman ha presieduto un’udienza per la sottocommissione Oceani, Acqua e Fauna Selvatica della Commissione per le Risorse Naturali alla Camera degli Stati Uniti, Facebook non ha risposto alle richieste di partecipazione e testimonianza. Huffman ha riferito che le richieste sono state trattate come se il governo fosse un cliente in cerca di supporto tecnico.
«Sono tutti al limite della sopportazione con queste compagnie di social media. Sono così irresponsabili e del tutto inaccessibili», ha detto Huffman. «Hanno avuto un lasciapassare gratuito per troppo tempo, ed è ora tempo di metterle alla pari delle altre industrie adeguatamente regolamentate».
Il crimine ambientale sul web è fuori controllo
Le piattaforme di vendita online sono state a lungo popolari tra i commercianti e gli acquirenti di fauna selvatica, ma i finanziamenti per affrontare il traffico di fauna selvatica non sono stati in grado di tenere il passo. Analogamente, Facebook, non più tardi di marzo 2021, è stato collegato ad accordi fondiari che hanno portato alla deforestazione e all’accaparramento di terreni nell’Amazzonia brasiliana.
«Nonostante il fatto che dalla nostra valutazione sia chiaro che la stragrande maggioranza del commercio di fauna selvatica a livello globale si è spostato online, la maggior parte delle risorse che vengono impiegate dai gruppi di conservazione per proteggere gli animali sono ancora spese sul campo», dice Peters.
Le spese sul campo sono necessarie, concorda Peters, ma esiste allo stesso tempo un enorme potenziale per affrontare gli stessi problemi nel mondo del web, come dimostra la Rete Nazionale Brasiliana che combatte il traffico di animali selvatici (RENCTAS), premiata ONG fondata nel 1999 che combatte il crimine RENCTAS segue il commercio illegale globale di animali selvatici sui social media, in particolare la cattura di animali nella foresta amazzonica brasiliana e nei biomi savana del Cerrado, per poi passare le informazioni alle forze dell’ordine.
Un ostacolo deve ancora essere superato: coloro che finanziano progetti di conservazione hanno spesso mostrato scetticismo sul fatto che gli sforzi antitraffico possano essere efficaci online, rendendo le indagini sul web difficili da finanziare. Peters ha dovuto ad esempio avviare progetti sui social media con finanziamenti per altre ricerche sul traffico di specie selvatiche.
Gli attivisti dicono che alcuni di questi problemi di finanziamento potrebbero essere risolti se le compagnie online collaborassero con i conservazionisti nell’identificare gli account più sospetti. Più di 37.000 specie di piante e animali sono protette dalla CITES, e le compagnie online probabilmente non hanno l’esperienza o la capacità di fare un controllo incrociato tra i post e le specie protette conosciute. Ma i gruppi di conservazione indipendenti potrebbero farlo se contrattati o consultati nel momento in cui vengono trovati possibili casi di traffico illecito.
«Istintivamente, le persone amano combattere un problema di crimine dove possono vederlo. Il mondo del crimine online è invece stato per la maggior parte del tempo invisibile e solo da poco sta cominciando a essere riconosciuto», dice Peters.
Immagine di apertura: Ghepardi di jeaneeem, Flickr (CC BY-NC-ND 2.0).
Articolo originale: https://news-mongabay-com.mongabay.com/2021/06/unregulated-by-u-s-at-home-facebook-boosts-wildlife-trafficking-abroad/