- Utilizzando dati raccolti nel corso di decenni, un recente studio ha analizzato l’andamento demografico a lungo termine del gheppio di Mauritius, un rapace endemico dell’isola di Mauritius, un tempo considerato l’uccello più raro al mondo.
- Nonostante un intensivo programma di ripristino del gheppio abbia contribuito ad aumentarne la popolazione fino a circa 400 individui durante gli anni ’90, gli studiosi oggi stimano che in natura ne siano rimasti meno di 250.
- I ricercatori collegano questo calo all’interruzione delle azioni di monitoraggio avvenuta, paradossalmente, a seguito del miglioramento dello stato di conservazione della specie che ha indotto i finanziatori a sospendere le sovvenzioni ai programmi di ripristino.
- I ricercatori sostengono che, per ottenere una reintroduzione in natura efficace, sia necessario continuare le azioni di monitoraggio post-rilascio di individui allevati in cattività, uno strumento di conservazione che può rivelarsi utile non solo per i rapaci.
Un tempo erano considerati gli uccelli più minacciati al mondo: con soli quattro individui rimasti sull’isola nel 1974, il gheppio di Mauritius (Falco punctatus) sembrava condannato all’estinzione.
Oggi, invece, questa specie rappresenta un miracolo della conservazione e un esempio per la traslocazione e la reintroduzione in natura anche di altre specie.
In uno studio pubblicato di recente su IBIS: International Journal of Avian Science, un team di ricercatori provenienti da cinque organizzazioni ha analizzato gli andamenti di quattro popolazioni isolate di gheppi di Mauritius reintrodotti in natura. Le loro scoperte contribuiscono a gettare luce sugli ingredienti chiave per una reintroduzione in natura efficace, una tecnica di conservazione che prevede l’allevamento in cattività di animali appena nati che vengono successivamente rilasciati in natura per rinforzare i numeri della popolazione.
Mauritius, un’isola più piccola della Valle d’Aosta, si trova nell’Oceano Indiano, 800 chilometri a est del Madagascar. È anche l’isola dove, nel diciassettesimo secolo si è estinto il dodo (cucullatus), evento che, secondo Malcolm Nicoll, autore principale dell’articolo e borsista senior presso la Zoological Society dell’Institute of Zoology di Londra (ZSL), per la scienza è stato triste ma illuminante.
“L’estinzione del dodo ci ha resi consapevoli che è possibile che una specie si estingua,” ha detto Nicoll in un’intervista a Mongabay, aggiungendo che comprendere gli errori aiuta a imparare. “Se si prova a ignorare la storia, si commetteranno gli stessi errori che altri hanno commesso in passato.”
Gli alti e bassi di un progetto di successo
Gli scienziati hanno scoperto che alcune popolazioni di gheppi di Mauritius stavano meglio di altre: un mistero che lo studio ha analizzato.
Infatti, nonostante i ricercatori si aspettassero una crescita della popolazione occidentale, al contrario questa è diminuita durante un’interruzione del monitoraggio durata sei anni. Inoltre, mentre la popolazione orientale è proliferata, la popolazione settentrionale, nei primi anni 2000, si è addirittura estinta a livello locale. Perché, dunque, alcune popolazioni sono prosperate mentre altre sono scomparse?
Un numero di fattori ha influenzato il successo così mutevole delle popolazioni, tra cui la qualità dell’habitat, il numero dei nidi a cassetta, la disponibilità di cibo e la predazione da parte di specie invasive. Tuttavia, prima di tutto, i ricercatori concordano che il successo delle reintroduzioni in natura dipenda da un costante monitoraggio post-rilascio.
“Non si è mai sicuri se una tecnica di gestione della conservazione ideata 20 anni fa sia efficace oggi, nelle condizioni climatiche attuali, come allora, “sostiene Nicoll. “Se necessario, bisogna adattarla, e non si può farlo senza monitoraggio.”
Dai quattro esemplari a metà degli anni ’70 ai circa 400 alla fine degli anni ’90 stimati di recente, il gheppio di Mauritius ha visto migliorare il proprio stato sulla Lista Rossa IUCN da “in pericolo critico” a “vulnerabile”. Oggi è di nuovo stato declassato a “in pericolo:” non è di nuovo “in pericolo critico” ma è comunque peggio di “vulnerabile:” i ricercatori, infatti, stimano che sull’isola siano rimasti meno di 250 esemplari.
“In pratica, stiamo andando contro ogni previsione” ha affermato Vikash Tatayah, coautore dello studio e direttore del programma di conservazione della Mauritian Wildlife Foundation (MWF). “Stiamo superando quattro secoli di presenza umana e di disturbo all’ambiente, che già di per sé rappresenta una grande sfida.”
I ricercatori che hanno contribuito alla ricerca, oltre che dalla ZSL e MWF, provengono dal Durrell Wildlife Conservation Trust, dal Durrell Institute of Conservation and Ecology, the Peregrine Fund e dal Governo di Mauritius.
Secondo Tatayah, i finanziamenti hanno avuto un ruolo importante nel successo del programma di conservazione del gheppio di Mauritius. La “maestosità” di questa specie ha affascinato i donatori ma, se le donazioni hanno contribuito a salvare il gheppio dall’estinzione, i finanziamenti sono terminati quando lo status del gheppio è diventato “vulnerabile” e gli studiosi non si sono preoccupati di monitorare assiduamente le singole popolazioni.
“Il mio messaggio ai finanziatori è quello di supportare questo progetto per decenni, non solo per qualche anno” ha detto Tatayah a Mongabay.
Tatayah, nativo di Mauritius, aggiunge che il gheppio di Mauritius oggi è l’unico rapace vivente sull’isola e la sua estinzione sarebbe stata una grave colpa. Inoltre, Nicoll sottolinea che il gheppio è anche uno degli ultimi predatori naturali all’interno dell’ecosistema, il che lo rende una specie ombrello, cioè una specie la cui sopravvivenza contribuisce a proteggerne anche altre.
“La perdita di una qualunque specie rappresenta un evento tragico”, afferma Tatayah “ma ritengo che la perdita di un uccello iconico come un rapace rappresenti un doppio disastro.”
Nella loro recente pubblicazione, dopo aver analizzato i dati, i ricercatori hanno scoperto che le popolazioni occidentali sono diminuite durante l’interruzione dei monitoraggi.
Durante gli anni ’90, la popolazione è cresciuta regolarmente, facendo pensare agli studiosi che avrebbe continuato a farlo. Tuttavia, dopo che la sospensione dei finanziamenti ha interrotto per sei anni anche i monitoraggi delle popolazioni occidentali, il team di ricerca si è accorto che l’andamento non era positivo come per la popolazione orientale. Il confronto tra le prestazioni riproduttive delle due popolazioni ha evidenziato un tasso di nidificazione inferiore tra gheppi occidentali, dovuto a un numero inferiore di nidi a cassetta e di siti naturali dove nidificare.
Infatti, se i gheppi hanno nidi a cassetta a disposizione, è più probabile che effettuino tentativi riproduttivi, spiega Nicoll, poiché due terzi delle nidificazioni avvengono nei nidi a cassetta piuttosto che in siti naturali come fessure tra le rocce e cavità degli alberi. “Ciò è collegato alle decisioni che gli uccelli prendono nel corso della vita, valutando se sopravvivere o investire nella riproduzione un anno dopo l’altro.”
I nidi a cassetta sono fatti in modo da impedire l’accesso ai macachi a coda lunga (Macaca fascicularis) e alle manguste minori indiane (Herpestes auropunctatus), due specie invasive che si nutrono rispettivamente delle uova e dei pulcini del gheppio. Paradossalmente, le manguste sono state introdotte sull’isola per contenere ratti invasivi che pure prendevano di mira i nidi dei gheppi. Una parte della strategia di gestione adottata dal team di ricerca consiste proprio nel controllo delle popolazioni di manguste e gatti selvatici nei siti di rilascio, dove vengono catturati e soppressi..
Inoltre, il fatto che i gheppi depongono anche più uova nei nidi a cassetta che in quelli in siti naturali, ha portato i ricercatori a concentrarsi sulla distribuzione di un maggior numero di questi nidi, e sul loro miglioramento.
Infatti, Tatayah ha spiegato che attualmente i ricercatori stanno lavorando alla creazione di nidi più robusti, in PVC e non più in legno, in modo che durino più a lungo e risultino più leggeri, sottolineando che si tratta di una scoperta che non avrebbero mai fatto senza un monitoraggio a lungo termine.
Il rilascio in natura di uccelli alimentati manualmente non è il momento unico alla “born free” che tutti immaginano. Il rilascio in natura, in realtà, richiede mesi e, come ci ha detto Nicoll, prevede un monitoraggio accurato, una graduale diminuzione dei pasti forniti dall’uomo e tecniche adattate dalla falconeria.
Per esempio, i ricercatori insegnano ai pulcini ad associare il suono di un fischietto al momento del pasto. In questo modo, una volta liberi in natura, un semplice fischio attira un intero stormo di uccelli affamati pronti a fiondarsi sulla cena. I gheppi vengono nutriti due volte al giorno per due mesi e, successivamente, i pasti vengono ridotti a uno fino a che gli uccelli hanno più o meno 100 giorni di vita, ha spiegato Nicoll commentando “questa è l’esperienza più bella perché hai 26 gheppi che arrivano e si posano tutt’intorno sugli alberi, in attesa che tu distribuisca loro il pasto. È davvero fantastico.”
Lezioni per la reintroduzione in natura
Molte delle tecniche che sono state sviluppate per la conservazione dei gheppi sono state riapplicate al recupero di altre specie come la colomba rosata (Nesoenas mayeri) e il parrocchetto di Mauritius (Psittacula eques), entrambi endemici di Mauritius. Nicoll afferma che l’allevamento in cattività degli uccelli prevede delle regole di base che possono essere facilmente riadattate ad ogni specie, a seconda della specifica biologia della specie stessa, dell’habitat e delle minacce a cui la specie è esposta.
“Ciò che funziona per i rettili potrebbe benissimo adattarsi agli uccelli. Ciò che funziona per gli uccelli può essere adattato ai mammiferi, ha spiegato Nicoll. “Naturalmente, bisogna prendere in considerazione la biologia della specie.”
I ricercatori “danno una spinta” a una popolazione di uccelli prelevando le uova di una covata deposta da poco, il che induce una risposta naturale chiamata “doppia covata,” una risposta evolutiva che in alcuni uccelli viene innescata naturalmente da minacce che possono distruggere un nido come predazione o tempeste. Una volta prelevate le uova dalla prima covata per l’allevamento in cattività, gli uccelli ne produrranno un’altra, contribuendo a ripopolare la popolazione.
Alison Greggor, ricercatrice in Ecologia del Ripristino alla San Diego Zoo Wildlife Alliance, ha rivelato che, dato che questo processo garantisce un maggiore tasso di sopravvivenza, il suo team utilizza la stessa tecnica per progetti di reintroduzione in natura di altri uccelli minacciati come il corvo delle Marianne (Corvus kubaryi), specie endemica delle isole Marianne, e il corvo delle Hawaii (Corvus hawaiiensis), corvo endemico delle isole Hawaii ormai estinto in natura. Greggor ha anche spiegato che il suo team effettua un addestramento anti-predatori per insegnare agli uccelli a temere predatori come le poiane delle Hawaii (Buteo solitarius) e i gatti invasivi. L’addestramento avviene utilizzando suonerie telefoniche e oggetti per simulare delle minacce come, per esempio, un falco imbalsamato che “vola” al di sopra dei rami dove sono appollaiati gli uccelli, o un gatto che vi cammina sotto: in questo modo gli uccelli imparano che il pericolo può arrivare sia dall’alto che dal basso.
“Abbiamo davvero bisogno di prepararli (gli animali in cattività) al futuro che li aspetta perché gli habitat in cui si trovano adesso non sempre presentano le stesse difficoltà del passato,” ha affermato Greggor, aggiungendo che spesso gli impatti del clima, come quelli evidenziati dall’ultimo rapporto IPCC, non vengono presi in considerazione per gli animali selvatici così come avviene per l’uomo.
Sebbene sia stato realizzato nel piccolo stato insulare di Mauritius, “lo studio si può applicare a qualsiasi progetto di conservazione di uccelli del pianeta,” sostiene Tatayah, “insegnandoci una lezione importante sulle metapopolazioni, o grandi popolazioni formate da popolazioni più piccole della stessa specie: se solo una parte dell’intera popolazione sta bene, non significa che stia bene anche il resto della popolazione.”
Nonostante il gheppio si sia ripreso nel corso degli ultimi decenni, questa specie ha ancora tante minacce da affrontare: la deforestazione per piantagioni di canna da zucchero, piante e animali invasivi, la rapida diminuzione del numero di prede come il geco diurno, dovuta alla distruzione del suo habitat. Sempre secondo Tatayah, il gheppio di Mauritius dipenderà dalla gestione forestale e dai nidi a cassetta artificiali finché le foreste non saranno capaci di rigenerarsi abbastanza da fornirgli siti naturali dove nidificare.
La morale dello studio è: “non distrarsi mai.”
Anche quando lo stato di conservazione di una specie migliora sulla Lista Rossa IUCN, le stesse minacce esterne continuano a persistere, conclude Tatayah, ricordandoci l’importanza di avere a disposizione dati accurati.
“Secondo la cultura di Mauritius, una sconfitta non è una sconfitta,” ci insegna Nicoll, “una sconfitta è una lezione appresa.”
Citazioni:
Nicoll, M. A., Jones, C. G., Groombridge, J. G., Henshaw, S., Ruhomaun, K., Tatayah, V., … Norris, K. Contrasting recovery trajectories of four reintroduced populations of the Endangered Mauritius Kestrel (Falco punctatus). Ibis. doi:10.1111/ibi.12987
Jones, C. G., Heck, W., Lewis, R. E., Mungroo, Y., Slade, G., & Cade, T. O. M. (1995). The restoration of the Mauritius kestrel Falco punctatus population. Ibis, 137, S173-S180. doi: 10.1111/j.1474-919x.1995.tb08439.x
Jones, C. G., Burgess, M. D., Groombridge, J. J., Dale, R., Tatayah, V., Zuel, N. & Nicoll, M. A. C. (2013). Mauritius Kestrel Falco punctatus. In Safford, R.J. & Hawkins, A.F.A. (eds) The Birds of Africa. Volume VIII: The Malagasy Region, 300-306. London: Christopher Helm.
Berger-Tal, O., Blumstein, D. T., & Swaisgood, R. R. (2020). Conservation translocations: A review of common difficulties and promising directions. Animal Conservation, 23(2), 121-131. doi:10.1111/acv.12534
Soorae, P. S. (ed.) (2018). Global Reintroduction Perspectives: 2018. Case studies from around the globe. IUCN/SSC Reintroduction Specialist Group, Gland, Switzerland, and Environment Agency, Abu Dhabi, UAE.
Immagine del banner: Un gheppio di Mauritius nella cavità di un albero. Immagine gentilmente fornita da Malcolm Nicoll/ ZSL/IOZ.
Articolo originale: https://news-mongabay-com.mongabay.com/2021/09/what-the-mauritius-kestrel-can-teach-us-about-wildlife-reintroductions/