- Un nuovo studio pubblicato su Nature Climate Change suggerisce che il rewilding trofico, ovvero il ripristino e la protezione dei ruoli funzionali degli animali negli ecosistemi, è una soluzione climatica trascurata.
- La reintroduzione di sole nove specie o gruppi di specie (tra cui elefanti africani delle foreste, bisonti americani, pesci, lupi grigi, buoi muschiati, lontre marine, squali, balene e gnu) contribuirebbe a limitare il riscaldamento globale a meno della soglia di 1,5°C (2,7°F) stabilita dall'Accordo di Parigi, spiega lo studio.
- Gli animali giocano un ruolo significativo nella quantità di carbonio che le piante, il suolo e i sedimenti possono catturare, poiché ridistribuiscono semi e nutrienti e perturbano il suolo scavando, calpestando e costruendo tane.
- Lo studio sottolinea la necessità di un cambiamento di mentalità nell'ambito della scienza e della politica per trarre vantaggio dal vasto potenziale della fauna selvatica, lavorando a stretto contatto con le comunità locali per affrontare le questioni sociali che possono incidere sugli sforzi di conservazione.
Quando si parla di soluzioni per il clima, il primo pensiero potrebbe non essere rivolto agli gnu. Ma nel Serengeti, queste antilopi dall’aspetto di bufali sono la chiave per la cattura del carbonio.
Gli gnu mangiano grandi quantità di erba che riciclano nel terreno sotto forma di sterco. Così, quando la loro popolazione crollò all’inizio del 1900 a causa di una malattia trasmessa dai bovini domestici, la perdita del pascolo naturale ha portato a incendi più frequenti e intensi, trasformando il Serengeti in una fonte di carbonio.
Gli sforzi per riportare indietro o “rinselvatichire” (dall’inglese rewild) la popolazione di gnu attraverso la gestione delle malattie hanno avuto un enorme successo, contribuendo a ridurre la frequenza e l’intensità degli incendi e a riportare il Serengeti a essere un pozzo di carbonio.
Il rewilding trofico, ovvero il ripristino e la protezione dei ruoli funzionali degli animali all’interno degli ecosistemi, è una soluzione trascurata ai cambiamenti climatici, afferma un nuovo studio pubblicato questa settimana sulla rivista Nature Climate Change.
«La conservazione della fauna selvatica, che consente alle specie di svolgere il loro ruolo funzionale negli ecosistemi, offre un potenziale inesplorato come soluzione al cambiamento climatico», ha dichiarato in un comunicato il coautore dello studio Andrew Tilker, coordinatore della conservazione delle specie presso la ONG Re:wild.
Secondo lo studio, il rewilding di solo nove specie o gruppi di specie selvatiche (elefanti africani delle foreste, bisonti americani, pesci, lupi grigi, buoi muschiati, lontre marine, squali, balene e gnu) contribuirebbe a più del 95% del fabbisogno annuale per raggiungere l’obiettivo globale di estrarre 500 miliardi di tonnellate metriche di anidride carbonica dall’atmosfera entro il 2100. Ciò aiuterebbe a limitare l’aumento della temperatura globale a meno di 1,5° Celsius (2,7° Fahrenheit) rispetto ai livelli preindustriali, come previsto dall’Accordo di Parigi.
«Esiste un enorme potenziale non sfruttato nel considerare la conservazione degli animali selvatici come una soluzione per il clima», ha dichiarato a Mongabay l’autore principale dello studio, Oswald Schmitz, professore alla Yale School of the Environment. «Se si fanno alcuni calcoli approssimativi, i numeri competono con quelli che l’IPCC [Intergovernmental Panel on Climate Change] sta promuovendo in questo momento in termini di passare a una produzione energetica esclusivamente solare o eolica… i valori sono molto vicini».
La riduzione delle emissioni di carbonio è una soluzione indiscutibile per affrontare la crisi climatica globale, ma anche se smettessimo nell’immediato di bruciare combustibili fossili, il Pianeta continuerebbe a riscaldarsi a causa dell’eccesso di carbonio già intrappolato nell’atmosfera.
«Per fortuna disponiamo della tecnologia per eliminare la CO2 dall’atmosfera», ha detto Schmitz. «Si chiama natura».
Molte soluzioni climatiche basate sulla natura sottolineano, giustamente, il ruolo delle piante e del suolo come serbatoi di carbonio, ma gli animali hanno un profondo effetto sull’efficacia di questi serbatoi.
Attraverso i loro movimenti e comportamenti, gli animali distribuiscono semi e sostanze nutritive e perturbano il suolo scavando, calpestando e costruendo tane. Tutte queste azioni aiutano le piante a crescere e a immagazzinare più carbonio e possono persino prevenire gli incendi. La fauna può anche contribuire a trattenere il carbonio nel suolo e nei sedimenti modificando il modo in cui i microbi e le sostanze chimiche agiscono all’interno di questi sistemi.
Ad esempio, uno studio sperimentale condotto in una foresta tropicale della Guyana ha rilevato che l’immagazzinamento del carbonio negli alberi e nel suolo è aumentato in modo significativo, da 3,5 a quattro volte, quando il numero di specie arboree è passato da 10 a 70. Tuttavia, quando il numero di specie di mammiferi è passato da cinque a 35 negli stessi lotti, lo stoccaggio di carbonio negli alberi e nel suolo è aumentato da quattro a cinque volte.
Ad ogni modo, per sfruttare il vasto potenziale della fauna selvatica sarà necessario «un cambiamento di mentalità all’interno della scienza e della politica», ha affermato il coautore dello studio Frans Schepers, direttore generale di Rewilding Europe.
L’importanza delle soluzioni climatiche naturali per il raggiungimento degli obiettivi dell’Accordo di Parigi e per il miglioramento della conservazione della biodiversità è riconosciuta da diverse iniziative globali, tra cui il Climate Action Summit delle Nazioni Unite e la Convenzione sul Quadro Globale per la Biodiversità post-2020. Tuttavia, le attuali soluzioni naturali per il clima si concentrano principalmente sulla protezione e sul ripristino di ecosistemi come le foreste e le praterie, trascurando il ruolo che gli animali svolgono nel fornire nutrienti, ridurre i rischi di incendio e aiutare le piante a crescere.
«La fauna selvatica, attraverso la sua interazione con l’ambiente, è l’anello mancante tra biodiversità e clima», ha dichiarato Schmitz in un comunicato.
Poiché le attività antropiche continuano a invadere gli habitat naturali, gli animali sono sempre più incapaci di svolgere il loro ruolo negli ecosistemi. L’allevamento, le industrie estrattive, lo sviluppo delle infrastrutture e il bracconaggio sono tra le numerose minacce causate dall’uomo che hanno portato al declino delle popolazioni di fauna selvatica. Delle 150.300 specie valutate nella Lista rossa delle specie minacciate dell’IUCN, quasi il 30% è a rischio di estinzione e molte popolazioni sono in rapido declino.
«Abbiamo urgenza in quanto stiamo perdendo le popolazioni di molte specie animali proprio mentre scopriamo in che misura il loro ruolo negli ecosistemi può consentire la cattura e lo stoccaggio del carbonio», ha spiegato Schepers in un comunicato.
Lo studio suggerisce che per reintrodurre con successo la fauna selvatica nelle aree in cui vivono gli esseri umani, è importante lavorare a stretto contatto con le comunità locali per affrontare le complesse questioni sociali che possono incidere sugli sforzi di conservazione. Ciò può includere il coinvolgimento delle comunità locali nei processi decisionali e di amministrazione, tenendo conto delle loro conoscenze, dei valori e degli atteggiamenti nei confronti delle specie reintrodotte, nonché del loro patrimonio culturale, dei diritti sulle terre e dell’accesso alle risorse naturali.
«Penso che esista un reale potenziale di sinergia tra la conservazione della fauna selvatica e lo stoccaggio del carbonio, [ma] sono diffidente nei confronti di simili azioni che vengono pubblicizzate come rivoluzionarie per il riscaldamento globale», ha dichiarato al New Scientist Yadvinder Malhi, professore di scienze dell’ecosistema presso l’Università di Oxford, che non ha partecipato allo studio.
«La scienza non è ancora abbastanza solida e, vista l’urgenza della crisi climatica, le tempistiche in molti casi sono troppo lente», ha spiegato Malhi. «Cercare di inserire questo aspetto nei quadri internazionali sul clima potrebbe persino essere una distrazione dall’unica vera svolta per il riscaldamento globale, ovvero lasciare i combustibili fossili nel suolo».
Schmitz si è detto d’accordo, affermando che «nessuna soluzione andrebbe pubblicizzata in modo eccessivo».
«Gli animali di per sé non risolveranno di sicuro il nostro problema climatico», ha aggiunto, ma è certo che guardando il clima e la biodiversità nel loro insieme, «finiamo per creare un ventaglio più ampio di possibili soluzioni».
Uno dei punti di forza della soluzione del rewilding, ha spiegato Schmitz, è che le persone sentono un legame con gli animali.
«Quando qualcuno legge di [cambiamenti climatici] inizia a domandarsi: “Cosa posso fare come singolo cittadino?”», ha detto Schmitz. «È qui che entrano in gioco gli animali, in quanto le persone hanno un’affinità verso la fauna che li circonda. E credo che questo sia un modo per farli sentire protagonisti attivi nel fare la differenza su questo pianeta, a partire dal loro giardino dietro casa, con gli animali che conoscono bene».
Immagine di apertura: Un tapiro di Baird si aggira di notte nel cuore dell’incontaminata foresta nebulosa del Parco Nazionale Braulio Carrillo, suo habitat naturale in Costa Rica. Foto ©Michiel van Noppen.
Citazioni:
Schmitz, O. J., Sylvén, M., Atwood, T. B., Bakker, E. S., Berzaghi, F., Brodie, J. F., … Ylänne, H. (2023). Trophic rewilding can expand natural climate solutions. Nature Climate Change, 1-10. doi:10.1038/s41558-023-01631-6
Sobral, M., Silvius, K. M., Overman, H., Oliveira, L. F., Raab, T. K., & Fragoso, J. M. (2017). Mammal diversity influences the carbon cycle through trophic interactions in the Amazon. Nature ecology & evolution, 1(11), 1670-1676. doi:10.1038/s41559-017-0334-0
Articolo originale: https://news-mongabay-com.mongabay.com/2023/03/rewilding-animals-could-be-key-for-climate-report/