Leonessa difende lo gnu appena ucciso in Tanzania. Foto di Rhett A. Butler.
Le popolazioni di lupi in tutto il mondo sono diminuite del 99 per cento rispetto ai dati storici. Le popolazioni di leoni sono diminuite da 450000 a 20000 esemplari in 50 anni. Tre sottospecie di tigre si sono estinte nel ventesimo secolo. La sovrapesca e lo spinnamento hanno ridotto del 90 per cento la popolazione degli squali in pochi decenni. Sebbene il numero delle popolazioni di balene megattere sia risalito da quando la caccia alle balene è stata bandita, è ancora lontano dai dati storici. Mentre alcuni hanno lamentato ciò che tali dati statistici rappresentano come una perdita estetica, gli scienziati ora sostengono che il declino di queste popolazioni abbia un impatto molto più grave sugli esseri umani della semplice perdita di animali iconici.
La distruzione su larga scala dei predatori che si trovano in cima alla catena alimentare – come squali, lupi e grandi felini – ha alterato drasticamente gli ecosistemi mondiali, secondo un nuovo studio pubblicato su Science.Sebbene i ricercatori sapessero da tempo che il declino delle popolazioni di tali animali, compresi i grandi erbivori e onnivori, colpisce gli ecosistemi con ciò che viene definito “cascata trofica”, solo alcuni studi degli ultimi decenni hanno cominciato a rivelare in quale misura questi animali mantengono l’ambiente salutare, preservano la biodiversità, e migliorano la produttività della natura.
Lupi all’inseguimento di un alce nel parco nazionale di Yellowstone. La foto è una gentile concessione del National Park Service. |
Nello studio sopra citato, i ricercatori dichiarano con fermezza che la “perdita di questi animali può definirsi come l’influenza più pervasiva dell’uomo sulla natura”.
Mentre molte delle grandi specie che sono oggetto dello studio sono state storicamente oggetto di critiche da parte di molti – e alcune lo sono ancora – numerosi studi ora mostrano che anche i grandi predatori pericolosi in realtà aiutano l’uomo piuttosto che danneggiarlo.
“Questi predatori e questi processi fondamentalmente proteggono gli umani” ha dichiarato in conferenza stampa William Ripple, direttore del programma Trophic Cascades alla Oregon State University e tra gli autori della ricerca. “Non riguarda solo loro, riguarda anche noi”.
Il declino delle popolazioni di tutti i grandi predatori, dai lupi alle balene, si è propagato negli ecosistemi in molti modi inaspettati, sostengono i ricercatori, tra cui la diffusione di malattie, la perdita della biodiversità, gli incendi boschivi, le emissioni di carbonio e le specie invasive.
“Noi sosteniamo che molte delle sorprese ecologiche a cui la società si è trovata di fronte negli ultimi secoli – pandemie, collassi delle popolazioni di specie che valorizziamo ed eruzioni di quelle che non valorizziamo, cambiamenti sostanziali negli ecosistemi, e perdita di numerosi servizi ecosistemici – sono state causate o facilitate dall’alterazione di regimi di controllo di tipo top-down” scrivono gli scienziati.
Predatori in cima alla catena alimentare
Poche specie sono state diffamate dagli uomini più dei lupi, degli squali e dei grandi felini. Se è vero che gli squali e i grandi felini, come i leoni e le tigri, hanno ucciso esseri umani, e che i lupi e i felini sono in alcuni casi responsabili dell’uccisione di bestiame, secondo i ricercatori il ruolo di queste specie negli ecosistemi è vitale sebbene non ancora apprezzato.
“Abbiamo adesso delle prove schiaccianti che i grandi predatori sono estremamente importanti nei processi della natura, dagli oceani più prfondi alle montagne più alte, dai Tropici all’Artico” ha dichiarato Ripple.
Ma in che modo i grandi predatori proteggono un ecosistema?
Uno dei casi meglio documentati di come la perdita dei grandi predatori – e il loro ritorno – cambi gli ecosistemi è la reintroduzione dei lupi nel parco nazionale di Yellowstone negli Stati Uniti.
Pioppi settantenni si elevano sulla testa di un ricercatore nel parco nazionale di Yellowstone. Questi pioppi risalgono ai tempi precedenti lo sterminio dei lupi del parco. Dei giovani pioppi stanno ora rigenerandosi con il ritorno dei lupi. Foto di William Ripple, per gentile concessione della Oregon State University. |
Durante i decenni in cui i lupi erano localmente estinti, le alci erano allo stato brado. Divoravano la vegetazione in abbondanza, soprattutto giovani pioppi tremuli e salici. Inoltre il loro comportamento era cambiato, diventando temerario. Quando c’erano i lupi, le alci erano troppo volubili per passare del tempo in alcune aree aperte, come le sponde dei fiumi, ma quando i lupi non c’erano le alci decimavano la vegetazione riparia. Con meno vegetazione lungo i fiumi, il numero di animali come uccelli canori e castori diminuiva. Il ruolo di questi ultimi è molto importante per i pesci, che possono vivere nei laghi creati dalle dighe che i castori costruiscono. La diminuzione della vegetazione costiera inoltre riduce la presenza di ombra e causa in tal modo l’aumento dell’erosione del suolo.
Anche i coyote erano diventati più sfrontati e numerosi senza i lupi a tenerli in riga, un processo noto agli scienziati come “ipotesi del rilascio del mesopredatore”, che consiste nella perdita di un grande predatore che permette a un predatore medio di prendere il controllo dell’ecosistema. Questo processo ha effetto sui piccoli mammiferi che sono preda dei coyote. Per questo la perdita di una specie, i lupi, danneggia l’intero ecosistema.
Nel parco di Yellowstone, quando sono tornati i lupi, le alci sono scappate nella foresta e non si sono più fatte avanti nelle aree aperte o lungo i fiumi. Adesso i pioppi e i salici stanno ricrescendo, i castori sono tornati e i coyote sono di nuovo cauti, la biodiersità è in aumento e l’intero ecosistema è maggiormente produttivo.
Secondo i ricercatori, l’impatto della mancanza di grandi predatori sulla vegetazione è visibile nell’isola scozzese di Rùm. I lupi sono scomparsi dall’isola centinaia di anni fa. Durante questo periodo, i cervi hanno completamente ripulito gli alberi dell’isola.
Nonostante queste prove, in molte parti del mondo – tra cui gli Stati Uniti – i lupi sono ancora considerati spesso come delle specie pericolose. Di recente, i politici statunitensi hanno eliminato i lupi dall’Endangered Species Act, la legge che protegge gli animali in via d’estinzione, cosa mai successa nei quasi quarant’anni dell’esistenza della legge.
I lupi sono l’esempio più famoso dell’importanza dei grandi predatori, ma certamente non l’unico.
Anche gli squali hanno un impatto sulla natura simile a quello dei lupi. Dove c’è abbondanza di squali, il dugongo – un grande mammifero erbivoro – è spinto dall’ecologia della paura a cercare i propri pascoli in altre aree, come l’alce. Questo permette alle praterie marine di rigenerarsi, fornendo un habitat particolare a un gran numero di piante e animali preservando così la biodiversità marina.
Il declino delle popolazioni di alcuni predatori ha portato a coseguenze ancora più sorprendenti. Secondo gli autori della ricerca, la riduzione del numero di leopardi e leoni nell’Africa sahariana, ha fatto aumentare le popolazioni di babbuino verde. Da allora grandi popolazioni di babbuini hanno invaso i centri popolati da uomini. Il problema consiste nel fatto che i babbuini sono portatori di un parassita intestinale che può essere trasmesso agli uomini. In questo caso, la perdita dei grandi predatori ha cambiato la diffusione delle malattie.
Il ruolo dei grandi predatori può anche influire sulla diffusione della malaria. L’abbondanza di grandi pesci negli ecosistemi di acqua dolce può mitigare la malaria in quanto le zanzare che la trasmettono sono prede di tali pesci. Un numero inferiore delle popolazioni di pesci può portare a un incremento dell’incidenza della malaria, secondo i ricercatori.
Ovviamente, l’introduzione dei predatori invasivi in aree che sono state a lungo prive di predatori può avere effetti negativi. Lo studio riporta che l’invasione delle volpi e dei ratti artici in alcune isole dell’Artico ha decimato delle popolazioni di uccelli marini e dunque danneggiato la vegetazione. Questo perché gli uccelli marini portano nutrienti importanti dal mare ai terreni dell’isola, per cui l’assenza di questi uccelli provoca l’assenza di nutrienti nel terreno.
Erbivori in cima alla catena alimentare
In maniera simile ai grandi predatori, gli erbivori in cima alla catena alimentare hanno un’enorme influenza sugli ecosistemi in cui vivono.
Quando la peste bovina decimò i grandi ungulati dell’Africa come lo gnu e il bufalo, nel diciannovesimo secolo, la vegetazione crebbe in maniera incontrollata, cambiando l’ecosistema da prateria a macchia. L’aumento della vegetazione portò a un aumento degli incendi boschivi. Quando le popolazioni di ungulati tornarono, gli incendi diminuirono e l’ecosisema riprese il suo stato originale.
“Gli effetti top-down della presenza di consumatori di pioppo in un ecosistema sono di un’importanza fondamentale, ma si tratta di un fenomeno complesso” spiega in una conferenza stampa James Estes, professore di Ecologia e Biologia evoluzionista alla University of California a Santa Cruz. “I consumatori di pioppo hanno molti effetti importanti sui processi degli ecosistemi, e la perdita di tali animali ha effetti su larga scala”.
Per esempio, specie marine in cima alla catena alimentare, che possono essere predatori, erbivori oppure onnivori, ricoprono un ruolo inaspettatamente importante nel sequestro naturale del carbonio. Uno studio recente ha dimostrato che la caccia alla balena indusriale nell’ultimo secolo ha rilasciato 105 milioni di tonnellate di carbonio nell’atmosfera. Quando una balena muore di morte naturale, sprofonda nel mare trattenendo con sè il carbonio, che viene quindi sequestrato, cioè assorbito dal suolo marino. Invece, se una balena viene uccisa e trasportata sulla spiaggia, il carbonio viene emesso nell’atmosfera.
Megattera. Foto di Rhett A. Butler |
I ricercatori sostengono che l’impatto fondamentale della megafauna e dei grandi predatori sugli ecosistemi è stato fino ad ora trascurato dagli scenziati per una serie di ragioni. Innanzitutto, la maggior parte degli studi analizza aree non molto estese, e una singola specie per volta, mentre gli effetti della scomparsa di animali in cima alla catena alimentare si sviluppano su territori molto ampi e includono un gran numero di specie. Inoltre, tali cambiamenti negli ecosistemi diventano visibili solo dopo molti anni, a volte decenni, e le popolazioni di molti di questi animali in cima alla catena alimentare erano già in condizioni catastrofiche prima che gli scienziati cominciassero a interessarsi a esse. Soprattutto, i ricercatori non sono a conoscenza di tali relazoni ecologiche fino a quando non arriva qualche fattore esterno a disturbarne i processi naturali. Per esempio, nessuno avrebbe immaginato che i lupi avessero un tale impatto sulla biodiversità del parco di Yellowstone prima che queste specie fossero sterminate e successivamente reintrodotte nell’ecosistema.
“Queste interazioni sono invisibili a meno che non ci sia qualche perturbazione che le riveli” ha dichiarato Estes. “Non è possibile effettuare su questi animali così grandi il tipo di esperimenti necessari per mostrarne gli effetti sugli ecosistemi che abitano, per questo le prove sono state acquisite come risultato di cambiamenti naturali e dati registrati durante decenni”.
A causa dell’aumento dei dati riguardanti l’importanza degli animali in cima alla catena alimentare rispetto all’ecosistema, i ricercatori sostengono che gli scieziati debbano smettere di sminuire l’influenza di tali specie, e debbano invece utilizzare l’ecologia del”controllo top-down” come strumento per comprendere l’effetto degli uomini sull’ambiente globale.
“Poiché la conservazione mira a restaurare degli ecosistemi funzionali, è fondamentale ristabilire le popolazioni di grandi animali e i loro effetti ecologici” sostiene Estes. “Ciò influisce sulla scala dei progetti di conservazione. Non è possibile restaurare popolazioni di grandi consumatori di pioppo su un terreno largo un acro. Questi animali pascolano su aree molto ampie, per cui è necessario un approccio su larga scala”.
Si tratta di una tesi coraggiosa che gli ecologisti ritengono non si possa più ignorare. Immaginate un mondo in cui gli uomini imparino a rispettare e a vivere con lupi, tigri, squali e leoni. Immaginate un’America con un ritorno dei bisonti, e i mari pullulare di balene. Immaginate fiumi ricchi di salmoni, e il ritorno dei leoni in Africa. Immaginate gli squali nuotare in libertà, e le tigri tornare dall’estinzione. Immaginate tutto ciò e vedrete che ci sono altri vantaggi nella restaruazione degli ecosistemi oltre a un ambiente più produttivo e diversificato.
FONTE: James A. Estes, John Terborgh, Justin S. Brashares, Mary E. Power, Joel Berger, William J. Bond, Stephen R. Carpenter, Timothy E. Essington, Robert D. Holt, Jeremy B. C. Jackson, Robert J. Marquis, Lauri Oksanen, Tarja Oksanen, Robert T. Paine, Ellen K. Pikitch, William J. Ripple, Stuart A. Sandin, Marten Scheffer, Thomas W. Schoener, Jonathan B. Shurin, Anthony R. E. Sinclair, Michael E. Soulé, Risto Virtanen, David A. Wardle, Trophic Downgrading of Planet Earth, Science, Volume 333, 15 July 2011.
Un lupo nel parco nazionale di Yellowstone. La foto è una gentile concessione del parco nazionale di Yellowstone.
Molti grandi predatori nel mondo sono ancora odiati e temuti. La foto è una gentile concessione del parco nazionale di Yellowstone.