Orso del sole imprigionato in una gabbia in Indonesia. Foto: Chris R. Shepherd/TRAFFIC Southeast Asia.
E’ nelle foreste asiatiche che gli orsi vengono catturati. Da qui, vengono mandati nelle fattorie della bile, la maggior parte delle quali completamente illegali e al di fuori di qualsiasi controllo, dove verranno costretti a vivere in minuscole gabbie, imprigionati per il resto della loro esistenza. I loro corpi verranno utilizzati come sorta di fonti rinnovabili di risorse naturali, sfruttati per profitto attraverso l’estrazione dei loro fluidi ed organi interni. Attraverso un catetere inserito chirurgicamente nella cistifellea, gli “allevatori” estraggono ogni giorno una determinata quantità di bile. In un ciclo di sfruttamento che pervade l’intera Asia, i negozi di medicina tradizionale ricevono giornalmente il loro rifornimento di prodotti a base di bile di orso, mentre i consumatori finali danno il loro supporto acquistando tali prodotti, e sostenendo così la catena della domanda ed offerta che è alla base della caccia e della detenzione di sempre più orsi selvatici all’interno delle gabbie delle fattorie della bile.
“Mentre il preservare la popolazione selvatica di orsi è un’emergenza globale, il punto critico è proprio l’Asia, dove il bracconaggio, il commercio e la domanda di prodotti derivanti dallo sfruttamento degli orsi sono ai massimi livelli.” afferma Chris Shepherd, responsabile per il sud-est asiatico di TRAFFIC, organizzazione che sta lavorando per rompere il ciclo di domanda ed offerta che è alla base del fenomeno delle fattorie della bile, fenomeno che si regge sulle catture illegali e sullo sfruttamento di animali già gravemente minacciati di estinzione. Shepherd ed il suo team si occupano di investigare e ove possibile spezzare la catena dello sfruttamento, che si snoda attraverso l’Asia; dai molti luoghi dove gli orsi selvatici vengono catturati, alle strutture dove vengono imprigionati e torturati per l’estrazione della bile, fino ad arrivare agli scaffali dei negozi di medicina tradizionale e alla destinazione finale di tali prodotti: i corpi dei consumatori finali.
Shepherd ha spiegato a mongabay.com che TRAFFIC, che è una rete di monitoraggio del commercio di fauna selvatica, gioca un ruolo essenziale nel porre un freno ai crimini contro gli animali selvatici grazie alla sua opera di “investigazione sui meccanismi che sono alla base del commercio, di lavoro teso a contrastare il commercio illegale, e a ridurre la domanda di specie a rischio ed il cui commercio è illegale.”
Come menzionato dall’autore di un recente rapporto di TRAFFIC, “Pillole, polveri, fiale e scaglie: ecco il mercato della bile di orso in Asia,” la speranza di Shepherd è di riuscire a far aprire gli occhi al mondo su quella che non esita a definire come una pratica “mostruosa”, quella della detenzione degli orsi e dell’estrazione della bile.
Gli orsi negli allevamenti
Un orso nero asiatico appena ucciso, in un mercato nel Myanmar, per la sua cistefellea. Foto: Chris R. Shepherd/TRAFFIC Southeast Asia.
Sono tre le specie sfruttate per la loro bile: l’orso nero asiatico (Ursus thibetanus), conosciuto anche come l’orso della luna; l’orso del sole (Helarctos malayanus); e l’orso bruno (Ursus arctos). Sia l’orso nero asiatico che l’orso del sole sono inclusi nella lista degli animali a rischio estinzione della IUNC (International Union for Conservation of Nature).
“Sono in pochi a conoscere le caratteristiche di queste due specie, ed ancor meno sono quelli che si preoccupano del rischio che esse stanno correndo. Sforzi coraggiosi vengono fatti da parte di pochi individui ed associazioni per contrastare le terribili condizioni in cui vengono costretti gli orsi nelle fattorie della bile, ma sono troppo poche le organizzazioni di tutela che prestano la dovuta attenzione agli orsi come specie a rischio” secondo Shepherd.
Il rapporto di TRAFFIC lancia l’allarme sul numero di orsi ancora in libertà: sarebbero rimasti meno di 25.000 orsi neri asiatici, mentre la popolazione di orsi del sole sarebbe diminuita di ben il 30% negli ultimi 30 anni, a causa della massiccia deforestazione e del bracconaggio incontrollato. Anche l’orso bruno, considerato a basso rischio dalla IUCN, è cacciato e sfruttato per la sua bile, ma nel suo caso poco si sa del numero di individui liberi nella regione.
Cucciolo di orso rinchiuso in una fattoria ad Hanoi, Vietnam. Foto © M. Silverberg/TRAFFIC Southeast Asia. |
Nel suo rapporto Shepherd da anche una descrizione di cosa viene inteso con il termine bile, ovvero una “sostanza liquida prodotta dal fegato, in grado di coadiuvare la digestione di lipidi all’interno dell’intestino tenue in molte specie di vertebrati inclusi gli umani”— e fornisce un quadro di quello che è considerato il suo valore all’interno della medicina tradizionale orientale. La bile di orso è utilizzata nella medicina tradizionale cinese da più di 2000 anni, e la si può rinvenire anche oggi sotto svariate forme: cistifellea intera, bile non lavorata, pillole, polveri, scaglie e unguenti. E’ utilizzata per combattere emorroidi, mal di gola, infiammazioni, contusioni, dolori muscolari, slogature, epilessia, e per “ripulire” il fegato. Ma, al contrario del corno di rinoceronte che, secondo gli scienziati, ha la stessa valenza farmacologica del mangiarsi le proprie unghie, studi recenti hanno dimostrato che effettivamente la bile di orso ha qualità medicinali.
“Ma gli studi hanno anche evidenziato come esista qualcosa come 50 alternative vegetali e completamente legali, senza contare le innumerevoli alternative sintetiche. La chiave di volta è educare la gente, ed incoraggiare l’uso di sostanze legali alternative, che non implicano il commercio illegale e lo sfruttamento di specie animali già minacciate,” afferma Shepherd. Gli orsi sottoposti all’estrazione della bile sono sia nati all’interno delle “fattorie”, sia catturati in natura. Il rapporto di TRAFFIC descrive i vari metodi utilizzati per l’estrazione della bile all’interno di queste “fattorie”: si va dall’uso di ultrasuoni per localizzare e forare la cistifellea, a quello di una incisione permanente nell’addome e nella cistifellea, o l’inserimento di un catetere metallico con all’interno un tubo che permette l’estrazione della bile, fino ad arrivare all’utilizzo di una sorta di “camicia di forza”: un catetere permanente collegato ad un sacchetto di plastica in cui viene raccolta la bile, a sua volta rinchiuso in una scatola di metallo fissata al corpo dell’animale, oppure alla rimozione totale della cistifellea stessa.
Come sottolineato nel rapporto di TRAFFIC, quale che sia il metodo utilizzato, “gli orsi nelle fattorie della bile vengono detenuti in solitudine, con pochissimo se non nessuno spazio a disposizione per socializzare ed interagire con i propri simili.”
Gli orsi sono spesso malnutriti e tenuti in pessime condizioni di salute, tanto da vivere appena cinque anni, (contro una media di 35 anni per orsi in buona salute tenuti in cattività e di 25-30 anni degli orsi liberi). Se gli orsi riescono a sopravvivere oltre i cinque anni, generalmente vengono uccisi in quanto non più produttivi.
Il destino degli orsi detenuti si interseca con quello degli orsi liberi.
“Man mano che gli orsi detenuti diventano improduttivi, vengono rimpiazzati da individui più giovani, e sono innumerevoli le testimonianze a conferma che questi ultimi vengono troppo spesso prelevati in natura,” spiega il rapporto di TRAFFIC.
Parti di orso. Foto: TRAFFIC Southeast Asia. |
Shepherd, rifacendosi a ricerche che comprovano come la domanda di prodotti a base di bile di orso sia la causa della pressione sulla popolazione selvatica, rigetta la tesi sostenuta dagli allevatori, secondo i quali gli orsi detenuti nelle loro “aziende” sono tutti nati in cattività, e contribuiscono quindi a salvaguardare la popolazione selvatica.
“Parlare di allevamento di orsi è fuorviante,” spiega. “Il termine ‘allevamento’ implica che gli orsi siano nati ed allevati in cattività, e può dare adito all’errata concezione che queste strutture non costituiscano un pericolo per la popolazione selvatica. Purtroppo però in tutta l’Asia sud-orientale questo non è affatto vero. Piuttosto che di ‘fattorie’ si dovrebbe parlare di ‘impianti per l’estrazione della bile.’ Nessuna delle fattorie visitate da TRAFFIC disponeva di spazi per l’allevamento degli orsi, ed i lavoratori stessi hanno sempre ammesso che gli orsi venivano puntualmente prelevati in natura.”
Ad esempio in Vietnam le foreste si stanno letteralmente spopolando a causa della caccia illegale di orsi. Studi hanno dimostrato come gli orsi vengano regolarmente catturati in regioni quali la Cambogia e il Laos, dove i cuccioli destinati alle fabbriche di bile vietnamite vengono venduti a circa 100 dollari. Vale come esempio il fatto riportato da Shepherd nel rapporto di TRAFFIC, risalente al 2006, quando un lavoratore presso una fattoria vietnamita raccontò in prima persona ad Animal Asia che il proprietario del complesso pagava gli abitanti del villaggio affinché catturassero almeno 12 cuccioli di orso all’anno, e questo al fine di avere “materia prima” con cui alimentare la sua attività.
Contro la loro volontà, segregati ed usati come risorsa da cui estrarre ricchezza, il numero degli orsi sfruttati in Asia è tale da costituire una percentuale non indifferente all’interno del mercato produttivo. Secondo Shepherd soltanto in Cina si stima esistano “97 fattorie, che detengono dai 7.000 ai 10.000 orsi”, ed in tutta l’Asia gli orsi rinchiusi sarebbero almeno 12.000, considerando sia le fattorie legali che quelle illegali.
“Il caso degli orsi, e la brutalità indiscussa dell’economia che si cela dietro il loro sfruttamento, ci pone di fronte alla necessità di fermarci, e pensare e considerare la sofferenza e lo sfruttamento che si celano dietro l’utilizzo degli esseri non umani,” ha scritto di recente il sociologo politico Paul Robbins.
La bile di orso rende: la geografia economica della bile
Capsule di bile di orso a Möng La, Shan, Myanmar. Foto di: Dan Bennett.
Dato che gli orsi possono venire detenuti e mantenuti in vita e sfruttati per svariati anni, l’estrazione della loro bile viene considerata come un’attività di estrazione di una risorsa naturale, che oltre tutto garantisce introiti sicuri e garantiti nel tempo, almeno finché la domanda non verrà meno e finché le leggi in materia saranno così permissive o addirittura disattese. Dato che è sempre la domanda a fare di un commercio un affare redditizio, quello della bile di orso viene realizzato su larga scala, in modo da garantire ampi profitti.
Dagli orsi si ricavano molti soldi. I prezzi dei prodotti della bile variano notevolmente da regione a regione, ma il rapporto di TRAFFIC ci da un quadro della situazione, citando il prezzo minimo per una cistifellea intera, che è di $51.11 (Myanmar) ed il massimo pagato, ovvero ben $2,000 (Hong Kong). Il prezzo al grammo della cistifellea va da un minimo di $0.11 (Thailandia) ad un massimo di $109.70 (Giappone). Il prezzo delle pillole varia da un minimo di $0.38 (Malesia) ad un massimo di $3.83 (Thailandia).
“Il commercio della bile di orso in Asia è estremamente vasto, con molti paesi coinvolti in duplice veste, sia di consumatori che di produttori” scrive ancora Shepherd.
Bile di orso venduta in forma liquida a Möng La, Shan, Myanmar. Foto di: Dan Bennett. |
Nel tentativo di disegnare una mappa del commercio di bile e dei capitali che ne derivano, Shepherd ed i suo team hanno condotto indagini nei rivenditori di medicina naturale e nelle fabbriche di bile in tredici stati, inclusi Cambogia, Cina, Hong Kong, Giappone, Corea del Sud, Laos, Macao, Malesia, Myanmar, Singapore, Taiwan, Thailandia e Vietnam.
Il team di Shepherd è anche riuscito a risalire dai prodotti venduti ai luoghi dove la bile è stata prodotta. E racconta a mongabay.com come sia stato facile: “Nella maggior parte dei casi investigati è stato estremamente semplice raccogliere dati su commercio illegale, segno di totale mancanza di preoccupazione per eventuali provvedimenti penali da parte dei trafficanti. In quasi tutti i casi i rivenditori erano perfettamente coscienti del fatto che il mercato di parti di orso fosse illegale.”
I risultati delle investigazioni condotte da TRAFFIC disegnano la rete di movimentazione dei prodotti derivati dalla bile attraverso i paesi asiatici, mettendo alla luce la capillare distribuzione lungo tutta la catena produttiva. Ad esempio, in soli 12 giorni, investigatori nello stato del Myanmar hanno rinvenuto parti di orso provenienti da almeno 215 individui apertamente in vendita nei mercati di confine con Cina e Thailandia. Gli autori del rapporto sostengono che”in tutti i paesi / territori presi in esame sono state rinvenute sul mercato percentuali rilevanti (dal 22% al 100%) di prodotti a base di bile di orso, importati da altre regioni o stati. Il primo paese produttore risulta essere la Cina… Nel Myanmar, invece, tutte le cistifellee rinvenute nei mercati di confine erano provenienti dal Laos. Ad Hong Kong, il 100% of delle pillole (laddove è stato possibile risalire all’origine) provenivano dal Giappone. Nella Repubblica di Corea, il 60% dei prodotti a base di bile d’orso erano prodotti con bile estratta in Russia da orsi catturati in natura; in Russia infatti la caccia e il commercio di orsi bruni è perfettamente legale.”
Quel che è peggio, pur con una così vasta rete di fornitori, distributori e consumatori, l’industria della bile si trova oggi a produrre ben più di quanto viene richiesto dal mercato, e quindi nella posizione di dover inventare nuovi sbocchi commerciali per il proprio prodotto. Shepherd descrive quindi una industria basata sulla medicina tradizionale, che fa uso di bile di orso, come auto perpetuante, laddove “il surplus di bile prodotto nelle fattorie conduce ad utilizzarlo in sempre maggiori prodotti, generando quindi sempre più consumatori e portando ad un costante innalzamento della domanda.”
I limiti della legge
Gabbie di orsi a Möng La, Shan, Myanmar. Foto di: Dan Bennett.
In anni recenti, sempre più attenzione è stata data al problema delle fabbriche di bile e del commercio che ne deriva. Costretti ad agire, politici ed enti preposti alla conservazione della fauna selvatica hanno iniziato ad intraprendere alcuni passi per spezzare la catena produttiva che ne è alla radice.. Definendola “grandiosa” e “un passo formidabile per la protezione degli orsi,” Shepherd spiega a mongabay.com il significato della mozione, votata a grande maggioranza durante il Congresso Mondiale per la Conservazione della Fauna Selvatica indetta da IUCN nel settembre del 2012 a Jeju, Sud Corea, e tesa ad eliminare gradualmente le fattorie della bile che sfruttano orsi prelevati in natura.
“E’ la prima risoluzione in assoluto emessa dallo IUCN a difesa degli orsi, e gode di un supporto schiacciante da parte del suo direttivo, nonché dei membri di associazioni non governative.” “La risoluzione non solo promuove la chiusura definitiva delle fattorie illegali, ma anche l’utilizzo di sostituti legali, siano di origine vegetale o sintetica…Di strada da fare ne abbiamo ancora molta, ma il timbro posto da IUCN, un’organizzazione il cui unico scopo è la conservazione delle specie selvatiche, è di sicuro uno degli sviluppi più incoraggianti mai avvenuti nella lotta per garantire agli orsi un posto di primo piano nelle politiche per la conservazione delle specie.”
Mentre si moltiplicano le leggi tese a contrastare i crimini verso la fauna selvatica, come il divieto di vendita e commercio internazionale di bile di orso, Shepherd ed il suo team sostengono che, semplicemente, queste leggi e convenzioni non vengono applicate.
Cistefellea di orso in vendita in Malesia. Foto: TRAFFIC Southeast Asia. |
“I tempi stanno cambiando, e sempre più esperti di medicina tradizionale promuovono ormai l’uso di alternative legali alla bile di orso. Purtroppo però, nel contempo altri lavorano alacremente per promuoverne il consumo, non ostante le leggi emanate a protezione delle due specie [di orsi asiatici].”
L’utilizzo di prodotti a base di bile di orso, infatti, è sì legale in alcuni stati asiatici, ma il suo commercio internazionale è proibito dalla Convenzione sul Commercio Internazionale di Flora e Fauna a Rischio (Convention on the International Trade in Endangered Species of Wild Fauna and Flora, meglio conosciuta come CITES) , pur essendo tutt’ora praticato in molte aree.
“E’ evidente come gli organismi emananti dal CITES falliscano nel contrastare il commercio illegale di bile e, quindi, nel proteggere gli orsi dallo sfruttamento a cui sono sottoposti,” si legge nel rapporto di TRAFFIC. “Il dissennato commercio illegale di orsi e di parti del loro corpo continua a minare quello che dovrebbe, e potrebbe, essere lo strumento più potente al mondo per regolare il commercio internazionale di specie selvatiche. Come imposto dalla Convenzione, deve implementare e rafforzare le regole CITES. Ma sono ancora molti i paesi che disattendono tali obblighi.”
La triste realtà, secondo Shepherd, è che ci sono ancora troppo pochi deterrenti al fiorente commercio di questi prodotti.
“Attualmente, di storie a lieto fine nell’Asia sudorientale ce ne sono ben poche, mentre il commercio rimane indenne. Per quanto riguarda il commercio di orsi, il CITES semplicemente non viene utilizzato come strumento effettivo per ridurre la domanda. Né vengono utilizzate al massimo del loro potenziale le leggi nazionali, ed il risultato è che i commercianti continuano il loro lavoro senza paura alcuna di conseguenze legali…Reale applicazione delle leggi esistenti, e condanne esemplari per tutti coloro che sono coinvolti nel commercio, dal bracconiere all’intermediario, fino al consumatore, ecco cosa va implementato affinché le leggi siano effettivamente di aiuto nella protezione degli orsi, e affinché si creino deterrenti funzionali.”
Proprio nel tentativo di risolvere questi problemi, Chris Shepherd, in qualità di rappresentante di TRAFFIC e di membro del gruppo di specialisti sul commercio di orsi di IUCN, sta focalizzando il suo operato nell’area del sud-est asiatico: Laos, Myanmar, Malesia e Vietnam, dove porta avanti il suo lavoro investigativo in collaborazione con le autorità locali. Ma gli ostacoli sono moltissimi.
“Corruzione, collusione e compiacenza sono i veri ostacoli contro cui ci troviamo a lottare,” spiega Shepherd. “Se solo ci fosse la volontà di considerare questa battaglia come prioritaria, si potrebbe contare su maggiori risorse e una maggiore professionalità. Nella maggior parte dei luoghi dove avviene la tratta degli orsi, infatti, già esistono leggi e competenze sufficienti. Se ci fosse quindi la volontà, il traffico verrebbe estirpato nel giro di una notte.”
Il ruolo del consumatore finale nella lotta contro i crimini verso la fanua selvatica
Un orso costretto in una ‘gabbia di contenzione’ nella fattoria Huizhou, Vietnam. Ora l’orso è stato liberato, e vive tranquillo in Cina. Foto: Asian Animal Protection Network.
Individui come Chris Shepherd ed organizzazioni come TRAFFIC sono in prima linea nel tentativo di proteggere le specie animali dall’impatto negativo causato dall’uomo. Mentre da un lato ci sono deboli segnali di speranza in un cambiamento, dall’altro le prospettive per le tante specie in pericolo, cacciate e sfruttate per profitto, peggiorano di anno in anno.
“Basta iniziare a seguire le notizie riguardanti i crimini verso gli animali, per rendersi conto di come la guerra verrà presto inesorabilmente persa. Ogni anno sempre più rinoceronti vengono massacrati. I livelli del commercio di avorio sono ora i più alti da decenni a questa parte. Il numero di tigri è diminuito di ben 100,000 individui rispetto ad un secolo fa, arrivando alla risibile popolazione di soli 3,200 individui ancora liberi. E questo solo per quanto riguarda le specie più in evidenza. Se scaviamo un po’ più a fondo, troviamo che un vastissimo numero di specie meno conosciute versano nella stessa triste situazione. E, quel che è peggio, gli sforzi compiuti per difendere gli animali appartenenti a queste specie sono ancor più risibili di quelli impiegati per le specie considerate più importanti” racconta sempre Shepherd a mongabay.com
Quel che in ultima analisi alimenta i crimini contro gli animali selvatici altro non è se non la domanda del consumatore finale, si tratti del traffico di bile di orso, così come di altri prodotti illegali (avorio ricavato dalle zanne degli elefanti, corni di rinoceronti, ecc.).
“Il fulcro del problema è la continua e crescente domanda di prodotti realizzati con parti di orso e loro derivati” afferma Shepherd. “Come nel caso di altre specie a rischio, il fattore trainante è la tradizione. Nel caso degli orsi del sud-est asiatico, cistifellea e bile sono richiesti soprattutto per finalità medicinali, zampe e carne per il consumo alimentare (e spesso associati ad effetti benefici per la salute umana). E’ quindi assolutamente essenziale riuscire a ridurre la domanda di orsi, parti del loro corpo, e derivati.”
Il rapporto di TRAFFIC descrive appunto la stretta spirale che lega la produzione di bile e la domanda per i prodotti da essa derivati.
Orso nero asiatico in un centro di recupero nel Laos. Foto: Rhett A. Butler. |
“E’ la facilità con cui è possibile approvvigionarsi di questi prodotti che spinge i guaritori tradizionali a prescriverli così spesso, ed è sempre la facilità con cui questi prodotti sono reperibili che ha spinto i consumatori ad utilizzarli anche per scopi non legati con la medicina tradizionale, ovvero come tonici o ingredienti per prodotti di bellezza.”
Oltre al fattore della sovrapproduzione, che spinge a creare un mercato più ampio e maggiori sbocchi, anche l’espandersi del mercato in sempre maggiori regione dell’Asia orientale sta contribuendo ad aumentare la domanda.
“Man mano che la gente può contare su maggiori entrate economiche, un trend osservato in Cina ed in altre nazioni emergenti, aumenta l’accesso a prodotti derivati da animali selvatici, siano essi accessori di lusso, cibo, o medicamenti tradizionali” racconta Shepherd.
La buona notizia è che il ciclo di sfruttamento della fauna selvatica inizia e termina con noi, consumatori e cittadini consapevoli. Se non ci fossero più consumatori pronti a comprare certi prodotti, come avorio e bile, coloro che traggono profitto dallo sfruttamento animale sarebbero costretti a porre fine al loro commercio per mancanza di profitti. Al posto consumatori che, con la loro domanda, sono parte integrante del problema, formare comunità attente e sensibili, che diventano quindi parte della soluzione.
Un cambiamento positivo può derivare solo da una sempre maggiore attenzione ed empatia verso la natura.
Shepherd ci racconta: “Parlando molto in generale, le persone hanno bisogno di comprendere che gli orsi, così come gli animali di tutte le altre specie poste seriamente a rischio dallo sfruttamento umano, sono parte di un complesso sistema che comprende anche noi, e senza il quale anche noi siamo condannati all’estinzione. Man mano che una specie dopo l’altra scompaiono, il sistema si indebolisce, fino ad arrivare alla completa rottura, compromettendo gravemente anche il nostro stesso benessere…E’ per questo che credo fermamente che le organizzazioni impegnate nella salvaguardia della fauna debbano velocizzare sempre più il loro gioco..”