Questo post è una versione estesa di un articolo apparso in agosto su Yale Environment 360 : Attenuare i danni collaterali del mercato ittico inflitti agli uccelli marini.
L’albatros di Salvin (Thalassarche salvini) è considerato Vulnerabile dalla Lista Rossa dell’IUCN. Foto di: Carl Safina.
La vita sull’oceano è pericolosa per qualsiasi uccello. Essi devono impiegare molta energia per restare in volo per migliaia di miglia ed imparare ad essere nuotatori kilometrici; devono cercare il cibo sotto onde pericolose e affrontare le condizioni climatiche più estreme del mondo; devono farsi largo tra i pericoli sia di un mare implacabile che di isole lontane. Eppure gli uccelli marini, che comprendono 346 specie globali, che dipendono dall’ecosistema marino, hanno sviluppato numerose strategie e complesse storie di vita per fronteggiare con successo le sfide del mare, e si sono comportati così sin dai tempi dei dinosauri. Oggi, nonostante una tale comprovata esperienza, nessun altra famiglia di uccelli risulta essere più minacciata; eppure non è il selvaggio e imprevedibile mare a metterli in pericolo, bensì l’invasività degli impatti umani.
“Sono di una straordinaria bellezza e sono degli atleti formidabili, i loro viaggi e abilità migratorie destano sbalordimento”, afferma Carl Safina, autore dell’Occhio dell’Albatros: Visioni di speranza e sopravvivenza, e presidente fondatore del Blue Ocean Institute. Cominciando la sua carriera con la ricerca sugli uccelli marini, Safina afferma che molti di questi splendidi atleti “sono nei guai”
Infatti, un recente documento del Bird Conservation International ha dichiarato che il 28 percento di tutti gli uccelli marini sono considerati a rischio di estinzione dalla Lista Rossa dell’IUCN, più del doppio di quelli in pericolo, il 12 percento. Un dato che forse è anche più allarmante, è che quasi la metà (il 46 percento) degli uccelli marini sono attualmente in calo.
“Complessivamente, gli uccelli marini sono più minacciati di ogni altro gruppo di uccelli, i loro status sono peggiorati più velocemente negli ultimi decenni”, scrivono i ricercatori, sollevando la questione che non si sta facendo abbastanza per attenuare le tante minacce che stanno nascendo nei confronti degli uccelli marini.
I conservazionisti non restano in attesa. Le isole in cui nidificano questi uccelli sono state liberate dalle specie invasive che hanno decimato alcune popolazioni. Regolamentazioni innovative e programmi di applicazione stanno contribuendo a limitare l’uccisione degli uccelli marini a causa di cattura accidentale da parte delle industrie ittiche. Nel frattempo la ricerca sta facendo luce proprio su come molti pesci nel mare possono essere necessari per supportare la salute di queste popolazioni.
Dagli albatross ai pinguini
Pinguini reali (Aptenodytes patagonicus), una delle poche specie di pinguini nella categoria del Rischio Minimo nella Lista Rossa dell’IUCN. Foto di: Carl Safina.
Comprendendo un’enorme varietà di uccelli con nomi meravigliosi – la procellaria, la berta, l’anatra marina, lo strolaga, il prione, la procellaria dei ghiacci, lo svasso, l’uccello tropicale, la fregata, il pellicano, la sula, il cormorano, il marangone dal ciuffo, il falaropo, il gabbiano, la rondine di mare, il gabbiano tridattilo, l’anous, la gazza marina, lo stercorario, il ceffo, l’urietta, la fratercula, il pinguino e, naturalmente, l’albatros – quelli maggiormente minacciati sono quelli che più difficilmente si separano dall’oceano aperto, come l’albatros, la procellaria e il pinguino.
Se ci fosse un re tra gli uccelli marini, questo sarebbe l’albatros. Comprendendo 22 specie, l’albatros è l’Ulisse dell’oceano, riesce a percorrere migliaia di miglia al di sopra del mare in pochissime settimane, senza il beneficio della terraferma. L’unico motivo per cui l’albatros smette di volare è per accoppiarsi – ancora non diversamente da Ulisse. Questi uccelli infatti riescono perfino a dormire in volo. Si accoppiano per la vita e si incontrano una volta all’anno per generare un unico e precario uovo. L’albatros vive almeno 50 anni e a volte anche di più.
La famiglia di albatros più vasta è quella così chiamata “grande albatros” nel genere Diomedea; e, infatti, chiamato con un nome adeguato, l’albatros urlatore ha l’apertura alare più ampia di qualsiasi altro uccello al mondo, più ampia perfino di volatili molto più pesanti come il condor delle Ande, la grande otarda o il pellicano dalmatico. Raggiungendo 3 metri e mezzo (undici piedi e mezzo) l’albatros urlatore assomiglia più ad un deltaplano piuttosto che ad un uccello.
Se le cinque specie sono incluse nella categoria di quelle vicine alla minaccia di estinzione, ogni singolo individuo appartenente alle 22 specie di albatros del mondo è considerato a rischio. Tre di queste specie sono a più alto rischio – l’albatros vermicolato (Phoebastria irrorata), l’albatros di Amsterdam (Diomedea amsterdamensis) e l’albatros di Tristan (Diomedea dabbenena), ognuno di questi è considerato a grave rischio di estinzione.
Pulcino di petrello della magenta (Pterodroma magentae) tenuto da un ecologista. Di questa specie restano circa 150 esemplari. |
La procellaria – che include la berta, l’uccello delle tempeste, il prione e la procellaria dei ghiacci – è strettamente collegata all’albatros e minacciata quasi allo stesso modo. Tutte tranne due delle centinaia di procellarie sono più piccole dell’albatros ma, come l’albatros, la procellaria nidifica su isole remote e si serve dell’esteso oceano come fonte di nutrimento. La specie è stata poi chiamata San Pietro (‘petrel’ è il termine latino da cui deriva Pietro) grazie alla loro abilità di librarsi sulla superficie del mare in cerca di cibo, quasi come se camminasse sull’acqua. Stando ai reperti fossili, che ci rimandano indietro di 60 milioni di anni, la procellaria è tra gli uccelli più antichi del mondo e per un periodo essa ha perfino condiviso il cielo con lo pterosauro. Attualmente, circa la metà ( il 48 percento) delle procellarie sono in pericolo, se viene considerata la categoria delle specie prossime al rischio di estinzione.
Il più piccolo e meno conosciuto tra gli uccelli marini è l’uccello delle tempeste. Comprendendo 26 specie, questo uccello delle dimensioni di un passero, riesce a galleggiare sulla superficie del mare raccogliendo pesce e plancton. Quattro tra gli uccelli delle tempeste sono inseriti nelle categoria degli animali di cui disponiamo di Scarse Informazioni – gli unici uccelli marini ad essere considerati in tal modo – nel senso che gli studiosi, semplicemente, mancano delle informazioni basilari necessarie a valutare il loro status. Nel frattempo, una specie, quella dell’uccello delle tempeste di Guadalupe (Oceanodroma macrodactyla), è quasi estinta.
Presumibilmente, l’uccello più riconosciuto di tutto il mondo e probabilmente il più amato dal pubblico generale, è il pinguino. Eppure, poche persone si rendono conto di quanto questo sia in pericolo: più del 60 percento delle 18 specie di pinguini del mondo sono minacciate di estinzione. Se si considera anche la categoria delle specie prossime al rischio di estinzione, la percentuale sale al di sopra dell’80 percento. Gli unici pinguini che restano ancora relativamente al sicuro, sono quelli che si accoppiano in Antartide, ma perfino questi hanno conosciuto un calo allarmante negli ultimi anni e gli esperti dichiarano che i cambiamenti climatici potrebbero peggiorare la situazione.
L’ estinzione non è un destino improbabile per molti degli uccelli marini. Ancora, il petrello di Sant’ Elena maggiore (Pterodroma rupinarum), il petrello di Sant’Elena minore (Bulweria bifax) e l’alca impenne (Pinguinus impennis) sono oggi definitivamente scomparsi.
Nel frattempo, il petrello della magenta (Pterodroma magenta) è sceso ad appena 150 esemplari, l’albatros di Amsterdam a poco più di un centinaio e l’uccello delle tempeste della Nuova Zelanda (Oceanites maorianus) conta appena 50 sopravvissuti.
A terra
Una colonia di albatross sopracciglio-nero (Thalassarche melanophrys) sulle Isole Falkland. L’albatros sopracciglio-nero è considerato a rischio di estinzione dalla Lista Rossa dell’IUCN. Foto di: Carl Safina.
Molti degli uccelli marini, specialmente quelli che dipendono dall’accoppiamento sull’isola, sono più vulnerabili quando tentano di garantire la continuità della loro specie. Ciò non è stato sempre così. Le isole lontane sono state a lungo una posto sicuro per gli uccelli, motivo per cui essi le colonizzarono da subito. Quasi tutte erano libere dai predatori terrestri, mentre gli umani non sbarcavano su molte di queste isole fino a poche centinaia di anni fa.
Ma queste isole, ideali per la schiusa delle uova e l’allevamento dei piccoli, si sono ora trasformate in luoghi di massacro.
“Molti (uccelli marini) nidificano su isole in cui non vivevano mammiferi a quattro zampe (né a due zampe) fino all’ultimo istante del periodo evolutivo”, spiega Safina. “Topi, gatti e uomini sono stati la causa della perdita di molti milioni di uccelli nelle loro roccaforti. E ancora lo sono.”
The South Georgia shag (Phalacrocorax atriceps georgianus) is found only on the island. Photo by: Liam Quinn. |
Quando gli uomini cominciarono a sbarcare su queste isole rocciose, spesso si portavano dietro degli accompagnatori marinari: topi, gatti, cani, capre, volpi, maiali, conigli e perfino bovini. Questi animali o predavano direttamente gli ignari uccelli in nidificazione oppure decimavano velocemente l’ecologia del luogo di accoppiamento, conducendo ad un sostanziale declino molte specie di uccelli marini e perfino all’estinzione di altre. Infatti, la piena sicurezza dai predatori aveva permesso agli uccelli di svilupparsi in un’evoluzione lenta.
“Molti uccelli marini non si accoppiano fino ai 3 anni di età; alcuni albatros fino a 10 anni di età, spiega Safina. Questa tardività nell’accoppiamento rende queste popolazioni inclini al tracollo improvviso nel momento in cui si trovino poste di fronte ad una nuova minaccia, e ad un lento riassestamento anche quando la minaccia viene attenuata.
Delle dieci maggiori minacce a cui sono sottoposti gli uccelli marini , quella delle specie invasive (che agiscono inevitabilmente sul luogo dell’accoppiamento) colpiscono potenzialmente 73 specie (il 75 percento di tutte le specie di uccelli marini a rischio e quasi il doppio di ogni altra singola minaccia”, notano i ricercatori.
Negli ultimi decenni ha avuto luogo un’azione di rimozione delle specie invasive su molte isole, fornendo una speranza per il recupero di alcune popolazioni di uccelli marini. Secondo i ricercatori, 284 isole sono state liberate con successo dai roditori. Eppure, ci sono ancora molti importanti siti di uccelli marini che restano enormemente infestati includendo almeno 75 isole rilevanti in cui sono ancora necessari sforzi per la rimozione.
“Ci sono stati alcuni successi stimolanti con le popolazioni di uccelli marini in risposta a rimozioni riuscite con successo di specie invasive estranee come gatti, topi, maiali e capre, ma ci sono ancora dozzine di isole e luoghi di riproduzione in cui la rimozione di queste specie introdotte, rappresenta una priorità urgente”, afferma il principale autore Stuart Butchart, coautore del giornale e responsabile del gruppo per la conservazione delle specie globali, Birdlife International.
Safina aggiunge che la Georgia del Sud resta il luogo di maggiore priorità per quanto riguarda la rimozione delle specie invasive. Molte sono le specie di uccelli marini che nidificano nella Georgia del Sud, collocata nel cuore dell’ Oceano Antartico, e il continente più esteso che si incontra andando verso sud prima delle regioni dell’Antartide. Il territorio britannico è oggi la più grande area protetta del mondo, sebbene tale protezione non si estende anche al mare che lo circonda. Un programma di rimozione dei roditori è iniziato lo scorso anno sull’isola – il più ambizioso degli ultimi tempi – mentre gli esperti pianificano di abbattere anche gli armenti di renne che sono stati condotti lì agli inizi del 1900.
Lo studio dello scorso anno ha individuato circa 1,500 specie presenti nella Georgia del Sud e nei suoi dintorni, rendendo la gelida isola e le acque che la circondano caratterizzate da una maggiore biodiversità rispetto alle Galapagos.
Anche se gli esperti lavorano per liberare tali isole dagli animali nocivi, sta emergendo un altro genere di minaccia che mette ulteriormente in pericolo le aree di nidificazione: il cambiamento climatico. I livelli del mare stanno salendo ogni anno di circa 3 – 3,5 millimetri dagli inizi del 1900. Nonostante ciò possa non sembrare molto, il mare potrebbe raggiungere facilmente livelli tali per cui molte isole che si trovano ad un livello più basso potrebbero subire regolari allagamenti o, eventualmente, venire completamente sommerse, mettendo in pericolo un elevato numero di aree di nidificazione degli uccelli. Infatti, il documento sostiene che 39 tipi di uccelli (il 40 percento) potrebbe essere suscettibile all’innalzamento del livello del mare, sebbene esso attesti che sia un problema per il “medio e lungo termine”.
In acqua
Ossifraga del Sud (Macronectes giganteus) della Nuova Zelanda. Questa specie è ritenuta a rischio minimo dalla Lista Rossa dell’IUCN. Foto di: Carl Safina.
Tenere gli uccelli marini al sicuro mentre nidificano sulle isole nel prossimo futuro, risulta alquanto evidente: semplicemente liberando le isole dalle specie invasive e impedendo loro di insediarvisi di nuovo. Ma tenere al sicuro gli uccelli nel mare è una storia completamente differente e molto più complessa.
La lista dei pericoli causati dall’uomo che gli uccelli devono affrontare nel mare è lunga: plastica e altro inquinamento, annegamento sulle lunghe distanze e nelle reti, cacciati o intrappolati, l’utilizzo e l’estrazione del combustibile fossile, e un calo del cibo dovuto alla pesca eccessiva.
“E’ importante notare che alcune minacce, specialmente la cattura accidentale, l’inquinamento costiero e la pesca eccessiva, sono stimate avere un più alto impatto su una vasta proporzione delle specie che colpiscono, incrementando considerabilmente la loro importanza complessiva”, afferma il documento.
La cattura accidentale è probabilmente il più immediate problema da risolvere per il rinforzo delle popolazioni e la prevenzione dell’estinzione. Secondo lo studio, 40 di tutte le specie di uccelli marini esistenti al mondo, quasi la metà sono annegati a causa della cattura accidentale, includendo quelle più strettamente connesse con l’oceano aperto: albatros e procellarie.
Gli uccelli marini sono attratti dalle esche usate dalle industrie ittiche, ma si tratta di un’attrazione letale. Nella pesca a lenza lunga, che cominciò ad espandersi nel 1980, i pescatori sbobinano una lenza lunga fino a 80 miglia (130 kilometri) su cui appendono migliaia di ami. Usate per massimizzare la raccolta, le lenze lunghe hanno anche drasticamente incrementato le catture accidentali, o l’ uccisione di altre specie. Gli uccelli marini, facilmente intrappolati nella lenza, annegano in massa.
“Non c’è una sola prescrizione per l’industria ittica, tesa a ridurre la mortalità degli uccelli nel sistema della pesca e che intenda attenuare la loro cattura”, afferma Ramunas Zydelis con il Centro per la Conservazione Marina alla Duke University, aggiungendo che, “in generale, le misure di attenuazione puntano a rendere le imbarcazioni per la pesca meno attrattive per gli uccelli”.
Come si fa a rendere una gustosa esca meno attraente? I metodi comuni comprendono l’utilizzo di esche appesantite che affondano al di sotto della superficie o attaccando dei festoni alle lenze, conosciute anche come tori lines, che servono a spaventare gli uccelli. E’ importante considerare anche come e quando le imbarcazioni lavorano, così da disporre le lenze quando la luce del giorno è ancora bassa e gli uccelli sono meno attivi, o non lanciando più frattaglie o esche quando vengono disposte le lenze.
Uccelli marini che seguono un’imbarcazione per la pesca a lenza lunga gli uccelli marini sono attratti dalle esche utilizzate per pescare, ma si tratta di un’attrazione letale. Foto di: NOAA. |
Pamela Toschik con NOAA afferma che i ricercatori marini riferiscono questi metodi come modelli di “evitamento e difesa”.
Un metodo molto efficace per prevenire la cattura accidentale degli uccelli marini è quella di restringere l’area in cui sia permesso l’uso degli ami (appesantendo le lenze, in modo tale che gli ami con le esche affondino rapidamente) e quindi proteggere la restante area (per esempio, con lenze che spaventano gli uccelli, le tori lines) “, dice Toschik, l’utilizzo simultaneo dei molteplici metodi è il modo migliore per evitare che gli uccelli vengano agganciati dagli ami o restino intrappolati.
“Nelle aree in cui le organizzazioni a difesa dell’ambiente , le gestioni delle industrie ittiche e i pescatori lavorano insieme – sono stati raggiunti risultati considerevoli”, aggiunge Zydelis. “Per esempio, la cattura accidentale degli uccelli marini è stata ridotta del 90 percento e più dai pescherecci che utilizzano la lenza lunga nell’Oceano Antartico, alle Hawaii, in Alaska, nel Sud Africa e in Nuova Zelanda”.
Tali pratiche stanno prendendo piede. Dal 2004, quattro o cinque delle maggiori industrie di tonno, a lungo note per la cattura accidentale, hanno adottato i metodi per l’attenuazione della cattura accidentale.
Toschik aggiunge che la Commissione per la Conservazione delle Risorse Marine viventi dell’Antartico (CCAMLR) ha tagliato la cattura accidentale degli uccelli marini nell’Oceano Antartico da “migliaia ogni anno a quasi zero nella pesca legale”.
In parte, la soluzione del problema è stata la presenza di osservatori scientifici a bordo di tutti i pescherecci della CCAMLR. Gli osservatori scientifici sono la soluzione adatta per raccogliere informazioni sulle singole imbarcazioni che fanno sempre la stessa rotta per migliaia di miglia dalla terraferma. L’”osservatore” che è impiegato indipendentemente dal peschereccio, ha il compito di monitorare la cattura accidentale, non solo degli uccelli marini, ma anche di tartarughe marine, cetacei e altri pesci.
Un osservatore anonimo, che è stato sette volte sui pescherecci che praticano la pesca a lenza lunga nell’Oceano Pacifico al largo delle Hawaii, afferma che le imbarcazioni che utilizzano vari metodi per limitare la cattura accidentale, incluso la pratica di “tingere l’esca di una specifica tonalità di blu, in modo da camuffarla, lo scongelamento dell’esca o l’appesantimento di questa per assicurarsi che non galleggi, utilizzano specifici accorgimenti che posizionano la lenza lontana dalla barca così che la sua scia non riporti gli ami con le esche in superficie”.
Mentre i pescherecci che utilizzano la lenza lunga vicino le Hawaii sono particolarmente interessati dalla cattura accidentale delle tartarughe marine, essi devono tenere d’occhio anche gli uccelli marini.
“La specie aviaria di maggiore interesse è l’albatros codacorta, ma nella regione ne sono stati osservati relativamente pochi. Nella mia esperienza, l’albatros piedineri è stata la specie che maggiormente ha sofferto la cattura accidentale, e da quello che so, non ci sono state delle restrizioni sul luogo per proteggerli”, afferma l’osservatore. La Lista Rossa dell’IUCN ritiene l’albatros piedi neri (Phoebastria nigripes) Vulnerabile.
Durante le sue sette escursioni, l’osservatore ha raccolto tre albatros piedineri annegati.
L’albatros piedineri (Phoebastria nigripes) è classificato come Vulnerabile.. Foto di: James Lloyd. |
“E’ stato molto difficile”, ammette l’osservatore. “All’inizio, ho pensato che non stavo monitorando abbastanza attentamente le procedure di restrizione, ma poi ho capito che perfino quando ogni cosa è fatta come si dovrebbe, possono ancora verificarsi situazioni spiacevoli.
Queste imbarcazioni, sistemavano oltre 2000 ami al giorno, ognuno dei quali poteva catturare un pesce – o un uccello, una tartaruga, o una balena. Le procedure di restrizione hanno avuto un enorme impatto nel ridurre la quantità di catture accidentali, ma è impossibile controllare tutte le condizioni”.
Infatti, si stima che il numero degli uccelli marini che ancora vengono uccisi dalle lenze lunghe – da 160,000 a 320,000 all’anno – resta enormemente insostenibile.
Per sette anni, il WWf (World Wide Fund for Nature) ha condotto una Competizione Internazionale a favore di un sistema di pesca intelligente, che consegna un premio in denaro per la migliore nuova idea per l’attenuazione delle catture accidentali. Una delle idee più promettenti è stata quella dell’ “amo sotto la superficie dell’acqua ” che vinse nel 2009.
“Un dispositivo meccanico sistema gli ami ad una profondità prestabilita nella scia del peschereccio. Questo sistema minimizza le possibilità che gli uccelli individuino le esche e che si tuffino su di esse”, spiega Mike Osmond, Senior Program Officer al Programma per la Pesca del WWF. Mentre questa idea è ancora in fase di sperimentazione, altre sono già in uso. La Yamazaki Double-Weighted Branchline, che ha vinto la competizione proprio lo scorso anno, è diventata già un requisito in diverse industrie di tonno.
“Tale metodo non solo affonda gli ami entro i confini delimitati da lenze con festoni di plastica (le tori lines) che aiutano a prevenire gli attacchi da parte degli uccelli, ma la sua unica progettazione riduce anche la possibilità di indietreggiare con il conseguente danno a carico dell’equipaggio”, afferma Osmond. In particolare, la nuova tecnologia è stata sviluppata dal capitano di un peschereccio giapponese.
Almeno un progresso è stato fatto per quanto riguarda la pesca a lenza lunga. I tramagli rappresentano un’altra causa di morte, sebbene poco studiato e poco attenuato. Gli esperti sostengono che centinaia di migliaia di uccelli capaci di immergersi in acqua – come ad esempio lo strolaga, lo svasso, l’anatra marina, la gazza marina, il cormorano, il marangone dal ciuffo – restano intrappolati nelle reti ogni anno. I tramagli, così chiamati perché catturano il pesce dalle branchie, intrappolano gli uccelli che si immergono quando vengono attratti per catturare il pesce. Nonostante il loro impatto, Zydelis, con il Centro per la Conservazione Marina alla Duke University, afferma che la consapevolezza della cattura accidentale a causa del tramaglio risulta essere ancora non troppo diffusa.
“Ciò è dovuto al fatto che la maggior parte della pesca a tramaglio è condotta da migliaia di piccoli pescatori. E questo tipo di pesca è spesso scarsamente monitorato”, nota egli “perciò, il monitoraggio della cattura accidentale degli uccelli nella pesca a tramaglio è il primo passo da compiere”.
Una volta che i ricercatori individuano la minaccia, possono essere sviluppati i metodi di attenuazione, così come è avvenuto non troppo tempo fa per la pesca a lenza lunga. Già alcuni pescatori hanno utilizzato reti più visibili e cambiato le postazioni per ridurre l’impatto del tramaglio sugli uccelli.
Fermare le catture accidentali non è un problema soltanto degli esperti marini e dei conservazionisti, afferma Stephen Kress, il vicepresidente della Audubon Society per la Conservazione degli Uccelli, ma “è un dovere di tutti”.
Egli nota, “mentre la regolamentazione potrebbe in definitive essere necessaria, le industrie del pesce dovrebbero imparare che l’adozione di piccoli cambiamenti nei metodi può contribuire a salvare gli uccelli marini e allo stesso tempo rendere azioni più efficienti che aiutino i loro risultati. C’è un grande valore nell’educazione dei pescatori circa questa opportunità di vincere due volte”.
Un’alca minore crestata (Aethia cristatella) ricoperta di petrolio proveniente da una perdita di una nave da carico in Alaska. L’alca minore crestata è considerata a rischio minimo. Foto: US Fish and Wildlife Service. |
La cattura accidentale degli uccelli marini può rallentare le operazioni di pesca e perfino chiuderle completamente se c’è una pesca limitata di specie in via di estinzione.
Nonostante i numerosi metodi utili ad attenuare la cattura accidentale, molte industrie ittiche non fanno ancora niente per tentare di ridurla, considerando inoltre che tali industrie sono considerate illegali, non denunciate e non regolamentate (IUU),e che possono costituire il trenta percento di tutte le industrie ittiche. Non solo le industrie IUU saccheggiano ulteriormente il mare ma pescano anche gli animali catturati accidentalmente che, data la loro natura, restano completamente non documentati.
“Dubito fortemente che ci sia un modo efficiente per contrastare la cattura accidentale nelle industrie ittiche IUU se non eliminare del tutto tali industrie”, nota Zydelis. Tuttavia, aggiunge che le industrie e i consumatori potrebbero avere un ruolo nel ridurre la cattura accidentale perfino laddove le autorità falliscono.
“Nella mia opinione non tutti i pescatori e le amministrazioni delle industrie sono sufficientemente informati riguardo gli effetti dannosi della cattura accidentale, né lo sono i consumatori”, afferma. “La cattura accidentale (o la cattura accidentale che oltrepassa certi limiti) dovrebbe essere illegale, dovrebbero essere attuate delle regolamentazioni e, infine, i consumatori dovrebbero fare pressione per ricevere prodotti ittici provenienti da una pesca attenta alla riduzione della cattura accidentale”.
Mentre c’è stato un incremento in prodotti quali “il tonno senza il delfino” (che riguarda soltanto i delfini e non altri tipi di catture accidentali come gli uccelli marini), gli esperti affermano che i consumatori dovrebbero fare ulteriore pressione sulle industrie ittiche.
Mentre la cattura accidentale risulta essere il killer più immediato e diffuso di uccelli marini in acqua, anche l’inquinamento nuoce alle specie in una enorme varietà di modi. I rifiuti di plastica vengono spesso ingeriti dagli uccelli che li scambiano per cibo; mortali soprattutto per i piccoli, i rifiuti di plastica, in continuo aumento, possono essere letali anche per gli adulti.
Anche gli scarichi dei pesticidi possono essere dannosi alle popolazioni, a lungo andare. Il nitrogeno porta un’eccessiva fioritura di alghe che, in alcuni casi, priva gli uccelli marini dei loro oli protettivi conducendoli a ipotermia e morte. Infine, le perdite di petrolio possono decimare intere popolazioni. Ognuno ricorda le foto terribili dei pellicani e degli uccelli zuppi di petrolio durante il disastro del BP, ma le perdite di petrolio, grandi e piccole, avvengono a cadenza regolare in tutto il mondo. Il disastro di Exxon Valdez nel 1989 si pensa che abbia ucciso fino a 250,000 uccelli marini, e si sente ancora oggi il suo impatto sell’ecosistema dello Stretto di Prince William. Sforzi eroici hanno salvato decine di migliaia di pinguini africani (Spheniscus demersus) ricoperti di petrolio dopo che una nava è affondata presso la costa del Sudafrica nel 2000, ma, da allora, molti dei pinguini hanno avuto dei problemi nell’accoppiamento. Lo scorso anno, una perdita di petrolio nella Baia di Plenty in Nuova Zelanda, si pensa che abbia ucciso circa 20,000 uccelli marini mentre una perdita nelle remote isole Trista da Chuna ha danneggiato il pinguino salta rocce del nord (Eudyptes Moseleyi), già considerato a rischio di estinzione.
Poiché le compagnie petrolifere e del gas si spingono sempre più oltre e sempre più in fondo negli oceani per depositi di energia più difficili – come per esempio quelli nell’Artico- le loro probabili perdite continueranno ad essere il problema più grave per gli uccelli marini e per una moltitudine di altri animali nel prossimo futuro.
Mentre la cattura accidentale e l’inquinamento stanno decimando alcune popolazioni di uccelli marini, una terza minaccia può minare l’intera catena alimentare da cui queste, insieme ad altre specie marine, dipendono: la sovrappesca.
Una terza minaccia per gli uccelli!
Un albatros urlatore (Diomedea exulans) vicino la Tasmania. L’albatros urlatore è considerato Vulnerabile dalla Lista Rossa dell’IUCN. Foto di: J.J. Harrison.
La sovrappesca è diventato uno dei problemi più difficili da gestire e più largamente diffuso negli ecosistemi marini. Il saccheggio degli oceani per il consumo umano ha spinto alcuni pesci, come il tonno pinna blu, verso l’estinzione e messo a rischio una grande abbondanza di altri animali sia grandi che piccoli. E ancora, la sovrappesca, che non è sempre stata in alto nella lista delle minacce per gli uccelli, a causa di una mancanza di ricerche che la pongano in correlazione con la diminuzione degli uccelli marini, ma le cose stanno cambiando. Recentemente, uno studio innovativo nelle Scienze ha rilevato che non solo le popolazioni degli uccelli marini sono intrinsecamente connesse all’abbondanza di prede, ma anche a quale livello la sovrappesca comincia a danneggiare questi fantastici atleti del cielo e del mare.
Osservando 14 specie di uccelli in sette ecosistemi marini, gli scienziati hanno scoperto che ogni volta che le popolazioni preda sono scese al di sotto di un terzo dell’abbondanza massima, l’accoppiamento degli uccelli ne ha risentito negativamente. In altri termini, non ha importanza quale ecosistema o specie, – tutti gli uccelli marini smettono di riprodursi quando i livelli degli animali preda sono scesi al di sotto di una determinata soglia, ed essi diminuiscono rapidamente e precipitosamente. Per la prima volta, la ricerca ha fornito agli studiosi un punto di riferimento su come le popolazioni degli uccelli marini reagiscono alla diminuzione delle loro prede.
“Tutte le informazioni raccolte mostrano uno schema straordinariamente simile”, afferma il coautore Ian Boyd allo Scottish Oceans Institute all’ Università di St. Andrews. “inizialmente ero scettico sul fatto che questa (ricerca) potesse mostrare una certa logicità, ma ricordo che quando tutti i dati furono inizialmente pronti e mostrarono una tale coerenza nel sistema, capii che eravamo giunti a qualcosa”.
In un modo interessante, lo studio – che considerò ogni elemento, dai pinguini alle sule nonché altre diverse specie di prede: sardine, acciughe, aringhe e gamberi – rilevò che una abbondanza maggiore di un terzo al di sopra del limite massimo non aveva effetti sulle maggiori popolazioni di uccelli, da quando le popolazioni furono limitate dei loro spazi per la nidificazione.
A pair of black-legged kittiwakes nesting on the cliffs of the Norwegian island Runde. Photo by: Islandmen. |
Boyd indica i pinguini nel Mare di Scotia, le pulcinelle di mare (Fratercula arctica) nelle Isole Loffoten, e il gabbiano tridattilo zampe nere (Rissa tridactyla) nell’arcipelago delle Shetland come i primi esempi di popolazioni che hanno sofferto a causa della diminuzione delle prede. Nel caso del gabbiano tridattilo, la quantità degli elementi della loro popolazione è precipitata del 50 percento dal 1990 al 2002 dopo che le loro prede principali, le anguille di sabbia, cominciarono a scomparire. Nonostante i ricercatori sostengano che la popolazione delle anguille di sabbia non subisca la pesca dell’industria locale, l’interesse per il gabbiano tridattilo e altri uccelli marini ha incitato all’azione per far cessare l’attività dell’industria ittica.
“In senso molto ampio, in questo contesto è stata applicata la regola di un terzo “, afferma Boyd.
Collegare una singola industria ittica alla diminuzione degli uccelli marini tuttavia, resta difficile.
“La storia è complicata dalla differenza tra il livello della popolazione e il successo nell’accoppiamento che è ciò che noi usiamo”, afferma Boyd, notando che sono necessari diversi anni per una diminuzione delle prede che abbia degli effetti nella diminuzione della popolazione degli uccelli marini, difficile da provare.
“Il più probabile esempio della competizione tra l’industria ittica e gli uccelli marini è rappresentata dal mercato ittico peruviano delle acciughe in cui appare esserci stata a lungo una diminuzione degli uccelli proporzionale alla crescita dell’industria ittica”, aggiunge Boyd.
David Anley, un esperto di pinguini, afferma che le industrie di acciughe, sia in Perù che nella costa sudoccidentale dell’Africa, hanno messo i pinguini in pericolo.
“In particolare, il pinguino africano e il pinguino di Humboldt, rispettivamente nei corsi del Benguela e del Perù, dove i mercati delle acciughe sono vastissimi e hanno condotto ad una violenta depressione in quasi tutte le specie di uccelli marini soliti accoppiarsi lungo queste coste”, afferma Ainley, notando che i pinguini di Humboldt sono anche vittime dell’annegamento a causa dei tramagli.
Boyd, tuttavia, avverte di andare con cautela in quanto nelle industrie di acciughe “i dati sono scarsi e la relazione di causa-effetto è circostanziale”.
E’ necessario condurre uno studio più approfondito per stabilire un collegamento diretto tra l’industria ittica e la diminuzione della popolazione degli uccelli marini, ma per la prima volta, gli esperti possono avere una comprensione almeno di come le popolazioni degli uccelli reagiscono al calo delle prede.
“Quando si pensa a questo, è ovvio che ci debba essere un qualche livello di coerenza. Infatti, essi cominciano a diminuire tutti, quando il cibo scende al di sotto della media per un lungo periodo di tempo, che viene ad essere lo stesso di un terzo del massimo della biomassa”, spiega Boyd. Ciò che si vuole dire qui è che (gli uccelli marini) si sono evoluti per sfruttare le condizioni di nutrimento che vanno da una quantità media ad una quantità che supera la media. Ciò non risulta essere così sorprendente, ma alcune cose non diventano ovvie fino a quando l’evidenza non ci si manifesta davanti”.
Un peschereccio cileno che solleva varie centinaia di tonnellate di sugarelli. La sovrappesca è una delle maggiori minacce per gli oceani di tutto il mondo secondo il parere degli esperti. Foto di: NOAA. |
Boyd e gli altri coautori dello studio hanno dichiarato che le loro scoperte dovrebbero incitare ad adottare un nuovo modo di pensare riguardo l’amministrazione dell’industria ittica, con uno slogan di “un terzo per gli uccelli” non solo per preservare l’abbondanza degli uccelli marini ma anche quella di altre specie.
“Alcuni potrebbero ritenere che tale sistema possa essere applicato soltanto agli uccelli marini, ma è possibile che la relazione si applichi a molte altre componenti dell’ecosistema”, spiega Boyd. “se questa venisse usata come regola generale nelle industrie ittiche, è molto probabile che condurrebbe ad una pesca più sostenibile dell’attuale sistema di gestione”.
Tuttavia, non tutti credono che lo slogan “un terzo agli uccelli” offra una reale soluzione.
Carl Safina da parte sua, pensa che lo studio conduca ad una conclusione leggermente diversa: gli uccelli marini richiedono, abbastanza semplicemente, un’abbondanza di prede che non scenda al di sotto della “media”. In altre parole, in buone annate, le industrie ittiche potrebbero pescare del pesce preda in eccedenza, ma lasciare il resto agli uccelli e altri animali selvatici.
“Un terzo non lo taglia” nota Safina, aggiungendo che, “anche allora, chi sa se le popolazioni di uccelli marini abbiano bisogno di periodi in cui la quantità di cibo sia al di sopra della media, per permettere alle popolazioni di crescere, e periodi più poveri di riserve, in cui gli uccelli devono fare i conti con una quantità di cibo al di sotto della media?
Ma qual è la media? Questa domanda diventa rapidamente storica, a quale media ci stiamo riferendo? Infatti, provare a decidere quale possa essere considerata una quantità media, può essere più difficile di quanto possiamo renderci conto.
Una recente teoria, sviluppata dall’esperto sull’industria ittica, Daniel Pauly, ipotizza che le società umane dimenticano, da una generazione all’altra o perfino durante una singola vita, quale sia la ricchezza naturale di sempre, poiché gli ecosistemi diventano sempre più degradati. In altri termini, l’abbondanza di oggi scomparirebbe a confronto con quella vista fino ad una generazione fa. La teoria, conosciuta come “shifting baseline” (“punto di riferimento instabile”), può involontariamente portare i ricercatori ad essere troppo ottimisti.
“E’ più facile essere ottimisti o pensare che ci sia ancora speranza con una gestione più intelligente, se si definiscono le condizioni attuali come punto di riferimento (invece di guardare ai dati storici),” afferma.
“It’s easier to feel good or think that there is still hope with more intelligent management if one defines the current conditions as the baseline [instead of looking at historical data],” he says.
Safina dice, inoltre, che vorrebbe vedere un approccio storico più approfondito nelle prossime ricerche, semplicemente per risolvere alcuni dei quesiti che ancora restano irrisolti.
“Un’analisi storica potrebbe mostrare che nel passato la quantità del pesce preda era molto più alta, e la quantità degli uccelli marini era molto più alta in quanto essi avevano più cibo. O forse no; avremmo bisogno di una tale analisi storica per capire realmente di quanto cibo gli uccelli “necessitano” e avremmo bisogno di stabilire quanto vasta “dovrebbe essere” una popolazione di uccelli marini per essere “abbastanza vasta”.
In altre parole, Safina sta chiedendo una soluzione per le iniziative di conservazione presenti in tutto il mondo: quale punto di riferimento scegliamo? Vogliamo che gli ecosistemi assomiglino a quelli che erano nel 1990 o nel 1890? O ancora prima? Spesso, tuttavia, tale tipo di ricerca è ostacolata dalla semplice mancanza di dati.
Fetonte codarossa (Phaethon Rubricauda) è considerato a rischio minimo. Foto di: Carl Safina. |
Naturalmente tali discussioni esaminano le effettive possibilità di gestire il problema della sovrappesca, qualcosa che continua nonostante i decenni di ricerca e di chiamate all’azione.
Per Ainley, la risposta non è così tanto collegata alla gestione ma a “zone marine protette su larga scala attualmente localizzate dove la pesca è buona”. In altre parole, zone protette hanno bisogno di ricoprire molte regioni; per esempio, egli dice che l’unica risposta per la salvezza delle specie di pinguino del mondo è creare delle aree protette che coprono completamente il raggio in cui essi si muovono per andare alla ricerca di cibo, tagliando così fuori le industrie ittiche da alcuni territori di pesca.
“In pratica, data la vasta dipendenza dalla pesca per le diete ad alto contenuto proteico e per il lavoro, che essa possa essere eseguita, con successo o no, secondo me è improbabile, ” egli dice.
Ma Safina assume un atteggiamento più fiducioso, niente che dobbiamo cominciare da qualche parte.
“Questi studi sono la speranza. Cinquanta anni fa, questo argomento non aveva possibilità neanche di venire sollevato. Il primo passo verso la soluzione di un problema è riconoscerlo”, egli dice, aggiungendo, “gli uccelli hanno bisogno di cibo. Incredibile; chi lo sapeva?”
La posta in gioco può essere più della sola salute dell’albatros, della procellaria e dei pinguini, ma degli oceani nella loro interezza.
Gli uccelli marini ci stanno dicendo qualcosa?
Sterna bianca (Gygis alba) sull’Atollo di Midway. La sterna Bianca è considerata a rischio minimo dalla Lista Rossa dell’IUCN. Foto di: Carl Safina.
Durante lo scorso decennio, gli esperti hanno cominciato ad avvertire che potrebbe avvenire un’estinzione di massa negli oceani di tutto il mondo, come sulla terra. Infatti, secondo un recente studio riportato dal Programma Internazionale sullo Stato dell’Oceano (IPSO) gli impatti combinati della sovrappesca e dell’inquinamento, stanno cambiando la natura chimica ed ecologica dei nostri oceani. Lo sconfortante rapporto ritiene che se niente viene fatto, questi impatti umani condurranno ad una sparizione di massa delle specie. Il crollo nelle popolazioni di uccelli marini in tutto il mondo può essere considerato un primo segnale di allarme, dato che gli esperti guardano agli uccelli come chiave indicatrice della salute dell’oceano.
“Gli uccelli marini attraversano tutti gli oceani del mondo, sono ben conosciuti, relativamente facili da monitorare e rappresentano indicatori sensibili della salute dell’oceano” spiega Butchart. “Essi agiscono come l’equivalente marino dei canarini nella miniera di carbone perché essi rispondono a molte delle più importanti minacce all’ambiente marino: la sovra-raccolta, le specie invasive, l’inquinamento e il cambiamento climatico”.
Probabilmente il più famoso degli uccelli marini estinti, l’alca impenne (Pinguinus impennis) venne ucciso dalla caccia eccessiva e dalla collezione delle uova. Immagine di: Johannes Gerardus Keulemans. |
Poiché gli uccelli marini costituiscono la famiglia di uccelli più in pericolo del mondo, poiché quasi la metà di essi sta scomparendo, e poiché queste specie sono quelle più collegate ai mari – l’albatros, la procellaria e il pinguino – sono anche i più a rischio, sarebbe logico concludere che i mari sono proprio nei guai.
Molti dei problemi che affliggono gli uccelli marini, mettono in pericolo anche altre specie marine e perfino le persone. Per esempio, dice Butchart, spingendo le industrie ittiche verso la sostenibilità, aiuterebbe le persone tanto quanto gli uccelli.
“Gestire il mercato ittico in modo non sostenibile, non solo nega alle nostre generazioni future di utilizzare queste risorse di nutrimento, ma causa altri impatti nocivi sulla biodiversità, inclusi gli uccelli marini. Assicurando una raccolta che sia sostenibile si provvede a benefici di lungo termine riguardanti sia l’uomo che la natura”.
Molte delle persone povere dipendono dal pesce come risorsa primaria di proteine, ma queste risorse stanno scomparendo, poiché flotte commerciali e straniere stanno saccheggiando le acque degli oceani.
Diminuire l’inquinamento, sia da nitrogeno, petrolio o plastica, darebbe certamente dei benefici a migliaia di altre specie marine oltre che agli uccelli marini, alcuni dei quali non sono mai stati descritti dagli studiosi. Infine, il cambiamento climatico, che molti studiosi affermano essere la più grande minaccia di oggi per l’umanità, potrebbe anche causare la sommersione delle isole degli uccelli marini e, in alcuni casi, decimare le prede. Salvare gli uccelli marini può essere molto importante nel preservare non solo lo stato naturale del mare, ma anche il benessere dell’umanità.
Per Safina le ragioni dietro la salvezza degli uccelli hanno bisogno di non essere così autoindulgenti. Egli afferma che gli uccelli marini dovrebbero essere protetti: “perché essi popolano l’oceano e le coste. Perché essi appartengono a quei luoghi. Perché sono magnifici e ci tengono compagnia”.
Albatros testagrigia (Thalassarche chrysostoma) della Georgia del Sud. Questa specie di albatross è considerata come Vulnerabile. Foto di: Carl Safina.
Folla di pinguini reali. Foto di: Carl Safina
Albatros reale del nord (Diomedea sanford) in volo. Questa specie è considerata in pericolo. Foto di: Carl Safina.
Una procellaria gigante che si nutre da una foca nella Georgia del Sud. Foto di: Brocken Inaglory.