La dottoressa Jane Goodall e Freud, uno scimpanzé di Gombe. Fotografia di Michael Neugebauer
Jane Goodall è oggi con ogni probabilità non solo la più famosa ambientalista mai vissuta, ma anche la più conosciuta e rispettata scienziata del pianeta.
Il suo percorso per arrivare ad una tale levatura è tanto improbabile quanto d’ispirazione. Incoraggiata a “non arrendersi mai” dalla madre, la Goodall si prefissò all’età di vent’anni di voler inseguire il suo sogno d’infanzia: vivere con gli animali in Africa. Poco prima dei suoi 26 anni lo stava già facendo. Presa per mano dal rinomato antropologo Louis Leakey, fu inviata a Gombe, in Tanzania, per condurre il suo primo studio a lungo termine sul comportamento degli scimpanzé selvatici. Senza nemmeno una laurea, la Goodall fu l’unico essere umano ad essere accettato da un gruppo di scimpanzé. Il suo lavoro fornì uno sguardo profondo – e controverso – sui nostri parenti più prossimi, scoprendo oltretutto che gli esseri umani non sono gli unici ad utilizzare degli strumenti, contribuendo infine ad un movimento scientifico volto all’identificazione e documentazione della “cultura” in altre specie. La Goodall ottenne il primo dei suoi numerosi riconoscimenti.
Mentre molti biologi si accontentavano delle loro pubblicazioni di lavori ricchi di citazioni, raccogliendo un ragguardevole elenco di riconoscimenti, e cambiando il modo in cui vediamo noi e il nostro mondo, la “dottoressa Jane” andava ben oltre, spostandosi dalla ricerca alla tutela. La scoperta che gli scimpanzé erano in via d’estinzione in natura la portarono ad un’impresa indubbiamente più impegnativa: la conservazione e tutela. Si rifiutò di far perdere al mondo ciò che lei aveva iniziato ad amare.
Resasi conto che l’impegno sociale richiedeva molto più di ciechi appelli alle masse, la Goodall si rivolse alle generazioni più giovani. Nel 1991 diede vita a Roots and Shoots (radici e germogli), una piattaforma educativa e di servizio che oggi conta più di 150 mila membri in più di 130 Paesi. E contemporaneamente il Jane Goodall Institute, la sua organizzazione di ricerca e di salvaguardia ambientale, è andata oltre la sua missione originaria e adesso svolge delle attività in 29 Paesi.
In più di mezzo secolo di lavoro con la natura, la Goodall ha dato testimonianza di un gran cambiamento nel campo della salvaguardia ambientale ed è diventata un’ attenta osservatrice di cosa funziona e cosa non funziona.
In cima alla sua lista vi sono le accese battaglie combattute dagli ambientalisti gli uni contro gli altri sui fondi, spinte egoistiche e tattiche. Infatti sostiene che gli ambientalisti farebbero meglio a lavorare insieme contro le pressanti minacce alla fauna e ai suoi abitanti piuttosto che dedicare le loro scarse risorse a lotte interne.
“Spero sempre che vi siano più cooperazioni, condivisioni di risorse,” afferma su mongabay.com. “Sfortunatamente, la competitività sulla raccolta fondi sta ad indicare che molte organizzazioni sono sospettose di tali cooperazioni. Ancor peggio è quando si inseriscono gli ego.”
Cita degli approcci che escludono il coinvolgimento della comunità locale come un esempio di ambientalismo che è spesso vacillante.
“I programmi ambientalisti che isolano una parte del mondo naturale senza nessun tentativo di coinvolgere chi abita nei suoi confini è molto probabile che non abbia successo, perlomeno nei paesi in via di sviluppo in cui così tante persone vivono in povertà.”
Superare questi problemi e lavorare insieme sarà essenziale se l’umanità vuole superare le scoraggianti sfide ambientali che ha davanti. Ma la Goodall è speranzosa – elencando cinque motivazioni (vedi oltre).
La Goodall sostiene:“Le notizie sono davvero pessime. Ecco perché così tante persone si sentono indifese e senza speranza. E sentendosi così, non fanno nulla,” “È vero che se non vi è nessun cambiamento, potremmo addirittura arrenderci. Ma credo fermamente che c’è ancora tempo – sebbene stia si velocemente esaurendo.”
[Comunicazione: la Goodall è entrata nella consulta di Mongabay il mese scorso].
Jane Goddall. Cortesia del Jane Goodall Institute.
UN’INTERVISTA CON JANE GOODALL
Mongabay.com: Quali qualità crede che Louis Leakey abbia visto in Lei per darLe una opportunità di studiare gli scimpanzé in natura che Le ha cambiato la vita?
Jane Goodall: All’inizio era impressionato dal fatto che avevo dei risparmi per andare in Africa. Era impressionato dalle mie conoscenze sugli animali africani – da letture, e ore trascorse nel Museo di Storia Naturale di Londra. E credo anche dal mio entusiasmo e dalla mia sincerità. A tal proposito mi invitò alla mini spedizione alla gola di Olduvai, a quel tempo totalmente remoto, senza strade o sentieri per arrivarvi. E una volta lì rimase impressionato dal fatto che, istintivamente, sapessi come comportarmi nella natura, mi sentivo a casa. Non ebbi paura quando incontrai un rinoceronte una sera mentre camminavo nella piana con l’altra ragazza inglese nella spedizione. E fu lo stesso mentre, un’altra sera, incontrammo un giovane leone che ci seguì per un bel po’. Era semplicemente curioso.
Queste qualità le possiedo grazie a mia madre. Diceva sempre che se volevo fare qualcosa, avrei dovuto lavorare sodo, sfruttare le opportunità, non arrendermi mai. Tutti ridevano al mio sogno d’infanzia di andare a vivere con gli animali in Africa. Iniziò quando avevo otto anni e leggevo che il Dottor Doolittle riportava indietro gli animali da circo in Africa. Ha avuto un ulteriore incremento quando lessi Tarzan delle Scimmie. Avevo 10 anni. Non avevamo soldi. L’Africa veniva definita “il continente nero.” Non c’erano aerei di turisti che vi andavano. La seconda guerra mondiale si inferociva. Ed ero una semplice ragazzina. Era il 1944.
Ma mia madre mi diceva:”Se davvero vuoi qualcosa dovrai lavorare davvero sodo, sfruttare le opportunità – e mai arrenderti.”
Non c’erano le risorse per poter andare all’Università; soltanto abbastanza per poter fare un tirocinio da segretaria. Mia mamma mi disse che forse potevo avere un lavoro in Africa. Ricevetti prima un lavoro da Oxford, dove potei sperimentare il divertimento della vita universitaria senza i suoi oneri! Il mio lavoro seguente fu a Londra con i documentari. Poi arrivò una lettera da un amico di scuola, invitandomi in Kenya, dove i suoi genitori avevano comprato una fattoria. Andai a casa e lavorai come cameriera in un hotel dietro l’angolo. Ci vollero mesi, ma risparmiai così tanti soldi da poter pagare un viaggio andata e ritorno per l’Africa- in nave. Avevo 23 anni. Fuori discussione per quegli anni che le ragazze andassero in Africa. Mia madre fu considerata un’irresponsabile! Grazie a Dio che non prestò ascolto alle varie voci!
Foresta pluviale africana. Fotografia di Rhett Butler
Mongabay.com: Molti dei Suoi recenti libri sono sul tema della speranza. Date le disastrose notizie quotidiane sull’ambiente e le tremende sfide che affronta l’umanità, cosa la rende speranzosa nel futuro?
Jane Goodall: Le notizie sono davvero pessime. Ecco perché così tante persone si sentono indifese e senza speranza. E sentendosi così, non fanno nulla. È vero che se non vi è nessun cambiamento, potremmo addirittura arrenderci. Ma credo fermamente che c’è ancora tempo – sebbene stia si velocemente esaurendo. Le mie ragioni per sperare sono semplici:
1. L’energia, l’impegno e il duro lavoro dei giovani quando comprendono i problemi ed hanno i mezzi per discutere e AGIRE con delle soluzioni. Ecco perché dedico così tanto tempo allo sviluppo del nostro programma per i giovani, Roots & Shoots. È per i giovani dall’età prescolare all’università. Roots and Shoots è adesso in 137 Paesi. Ogni gruppo sceglie tre progetti: migliorare le cose per le persone, altri animali, e l’ambiente. Con un tema comune: imparare a vivere in pace ed armonia gli uni gli altri – con altre religioni, culture, e nazioni. Tra giovani e vecchi, ricchi e poveri, nativi e immigrati. Ed imparare a vivere in una migliore armonia con la natura. Ci sono circa 150mila membri nel mondo e fanno davvero la differenza. Scelgono i progetti in cui sono appassionati, si rimboccano le maniche, e agiscono. E così tanti adulti, che sono stati membri di Roots and Shoots, vi rimangono a vita.
Semi di speranza: saggezza e stupore dal mondo delle piante |
2. Il cervello umano. La più grande differenza (a mio avviso) tra noi e i nostri più vicini antenati, gli scimpanzé, è il cervello umano. Gli scimpanzé sono molto più intelligenti di quanto si pensasse in pasato. Ma anche il cervello più brillante di uno scimpanzé non può eguagliare quello di una creatura che ha progettato un razzo dal quale è uscito fuori un robot che ancora cammina su Marte e scatta fotografie che permettono agli scienziati sulla Terra di studiare. Quindi la domanda è : com’è possibile che la creatura più intelligente che abbia mai camminato sul pianeta Terra stia distruggendo la sua stessa casa? (Le foto di Marte rendono chiara l’idea di non poter trovarvi una dimora adatta!) Abbiamo forse perso la saggezza? Quando facciamo una scelta importante ci chiediamo: “Come potrà essermi utile? O al prossimo incontro con gli azionisti fra 3 mesi? O la mia prossima campagna politica?”, mentre dovremmo chiederci in che modo la decisione condizionerà le generazioni future.
Ma stiamo riprendendo il senno. Nel mondo già si stanno sviluppando soluzioni innovative ai molti problemi creati, ad esempio l’energia rinnovabile, l’agricoltura sostenibile, e così via. E, individualmente, stiamo lasciando un’impronta più leggera ed ecologica.
3. La capacità di ripresa della natura. Nei primi anni Novanta l’ambiente intorno ai piccoli 30 metri quadrati del parco nazionale di Gombe, una volta parte della contigua foresta che si estendeva sulle rive orientali del lago Tanganyika, si è ridotta a semplici colline. Vi vivevano molte più persone di quante ne potesse sostenere la terra, troppo povere per comprare il cibo da altre parti. Il terreno coltivato eccessivamente aveva perso la sua fertilità. Mentre guardavo dal piccolo aeroplano mi chiedevo:”Come possiamo perfino provare a salvare i famosi scimpanzé di Gombe quando le persone che vi abitano intorno fanno fatica a sopravvivere?” Questo ha portato al nostro programma TACARE (TakeCare) per migliorare le vite degli abitanti dei villaggi globalmente. L’aspetto più importante fu quello di chiedere agli abitanti come sentivano che potevamo aiutarli meglio, e gli fornimmo il know-how – ad esempio, gli ami da pesca piuttosto che i pesci. Una componente chiave fu il microcredito a gruppi prevalentemente di donne basati della Grameen Bank, che fece dei prestiti per progetti eco-sostenibili, e diede delle informazioni di pianificazione alle famiglie. Iniziammo con 12 villaggi ai confini del parco. Ebbe così tanto successo che adesso operiamo in 52 villaggi. E la copertura degli alberi sta ritornando, le foreste rimaste vengono protette, ai locali è stato insegnato l’uso dei tablet di Google Earth per monitorare la salute delle foreste superstiti e delle foreste ripopolate. E sono stati d’accordo nello spostamento laterale del villaggio come un cuscinetto protettivo attorno il piccolo parco Gombe. Gli scimpanzé hanno oggi il triplo della foresta rispetto a 10 anni fa. E gli altri villaggi stanno conservando la terra in maniera tale da formare un corridoio che collegherà i prima isolati scimpanzé di Gombe agli altri gruppi.
Gombe Street View, uno sforzo congiunto tra Google Maps, Google Earth Outreach (GEO), i parchi nazionali della Tanzania e il Jane Goodall Institute (JGI), è stato promosso il mese scorso per evidenziare le iniziative di salvaguardia ambientale nel parco nazionale del fiume Gombe come fece Google mappando le strade del pianeta Quest’ immagine Street View del parco Gombe image mostra una madre scimpanzé dell’est con la sua prole (Pan troglodytes schweinfurthii) che camminano lungo un sentiero nel Gombe. Immagine concessa da Google Earth.
E gli animali in via d’estinzione possono avere un’altra possibilità. Fornisco molti esempi ispiratori in “Speranza per gli animali e il loro mondo”. Il mio preferito è quello della balia bruna neozelandese – ad un certo punto erano rimasti soltanto sette esemplari, e soltanto una femmina fertile. Lei e il suo compagno divennero famosi. Adesso ci sono più di 500 balie – tutte geneticamente uguali ma abitanti in quattro isole diverse. Se tutto va bene, col tempo, ci sarà una differenziazione genetica.
4. L’indomabile spirito umano – coloro che affrontano sfide quasi impossibili e che non si arrendono. Uno simile fu Don Merton, che salvò la balia bruna, nonostante gli dicessero che era una perdita di tempo. Alcune sono delle figure iconiche – come Nelson Mandela che è venuto fuori dopo 17 anni di duro lavoro fisico (21 anni in carcere) con l’impressionante capacità di perdonare così da portare il suo Paese fuori dal tetro regime dell’apartheid senza il bagno di sangue predetto da molti. Infatti si trova un tale spirito indomabile tutto intorno, se ci curiamo di guardare. Ed è davvero di grande ispirazione.
5. Le mie più recenti ragioni per sperare sono il potere dei social media. Ad esempio, gli organizzatori della recente marcia sul clima a New York si aspettavano forse 100 mila partecipanti. Ma chiunque ha twittato e ritwittato e postato notizie su Facebook, facendo pressione affinché gli amici partecipassero. E c’erano quasi 400 mila persone (in realtà ne stavano venendo molte di più ma la polizia le ha fermate). Io ero una di loro!
Scimpanzé selvaggio in Uganda. Fotografia di Rhett Butler.
Mongabay.com: Mongabay: Mongabay: Lei afferma da tempo che gli animali sono esseri senzienti. Può dirci cosa significa e quali siano le implicazioni etiche?
Jane Goodall: Quando studiavo gli scimpanzé da soltanto un anno, Louis Leakey mi disse che mi aveva trovato un posto all’università di Cambridge per un dottorato (sebbene non fossi mai andata all’università). Si immagini il mio spavento quando mi venne detto che non potevo parlare della personalità degli animali, della loro mente o delle emozioni. Mi era stato detto che qualità simili erano uniche dell’animale umano (alcuni scienziati mi avevano persino rimproverata per aver dato dei nomi agli scimpanzé piuttosto che numeri). Certamente sapevo che questi scienziati eruditi erano in errore (e dubito che molti di loro pensassero che ciò che dicevano era vero). Non si può trascorrere del tempo con gli scimpanzé e non distinguere le loro personalità distinte. Non si può osservare la risposta di una madre verso il suo cucciolo morto e non riconoscere il suo dolore. Non si possono vedere dei giovani che giocano e non vedere la loro gioia. E le emozioni di paura, frustrazione, gelosia, piacere, tristezza e così via sono altrettanto ovvi. Ma avevo imparato che gli animali avevano davvero una personalità ed emozioni molto prima di studiare gli scimpanzé – dal mio cane, Rusty. Non si può trascorrere del tempo significativo con animali come cani, gatti, cavalli, conigli, maiali e non sapere che è vero. Il problema era semplicemente che la scienza non aveva scoperto dei metodi per analizzare delle cose simili.
Noi umani siamo definiti da tempo “L’uomo, il creatore di oggetti” – l’unica creatura con quest’abilità. E poi vidi David Greybeard (il primo scimpanzé a non avere paura di me), che non soltanto utilizzava dei ramoscelli d’erba per pescare le termiti dai loro nidi sotterranei, ma spogliava anche un ramoscello delle sue foglie per creare un oggetto a tale scopo. Un giorno vidi uno scimpanzé a riposo, sdraiato alla luce del sole. Si alzò, si guardò intorno, si avvicinò a dei ciuffi ciuffo di erba alta e ne scelse attentamente tre o quattro, e poi si diresse alla pesca delle termiti in un nido che si trovava quasi fuori dalla vista della foresta e quasi a 100 metri di distanza. Un chiaro esempio di pianificazione preventiva. Ho centinaia di esempi simili.
Quando saremo preparati ad ammettere che gli animali hanno personalità, menti capaci di pensare e soprattutto emozioni, allora passeremo delle notti insonni pensando al dolore e alla sofferenza (a volte sia fisica che mentale) che infliggiamo a milioni di animali come conseguenza naturale. L’allevamento intensivo, i macelli, la caccia, le trappole, gli animali da circo, il trattamento degli “animali domestici”, la pesca – e la lista continua. Ecco perché sono vegetariana. Ecco perché cerco di incoraggiare ed aiutare tutti coloro che lavorano per alleviare il dolore e la sofferenza degli animali nel mondo.
Jane Goddall. Fotografia di © CBS/Landov.
Mongabay.com: Quali sono i successi che Lei credeva impossibili nella salvaguardia ambientale?
Jane Goodall: Ciò che è iniziato solo con me nel campo, si è sviluppato in un campo di ricerca. Il primo Jane Goodall Institute (JGI), fu inserito in America nel 1977, per la tutela degli scimpanzé (ed altri primati) – che includeva ovviamente la protezione delle foreste. E, dall’inizio, la sua missione era di prendersi cura degli scimpanzé in cattività, e di educare la gente all’importanza della nostra missione. Non avrei immaginato che il numero degli istituti nel mondo si moltiplicasse – oggi esistono 29 Stati con il JGI – in Africa, America, Europa, Asia e il Medioriente – tutti condividenti la stessa missione.
Quando volai sul piccolo parco nazionale di Gombe nel 1990 fui terrorizzata dalla vista di colline deserte lì dove c’erano delle fitte foreste. E così nacque TACARE. Programmi simili sono adesso messi in atto dai JGI in Uganda, Repubblica Democratica del Congo, Congo-Brazzaville, e Senegal. E in tutti i casi questi programmi sono progettati per aiutare le persone e creare dei partner locali che proteggano e conservino l’ambiente e le specie che vivono lì. Non avrei mai potuto immaginare dei programmi simili quando iniziai (infatti non erano necessari negli anni Sessanta perché le foreste in cui vivevano gli scimpanzé si estendevano lungo l’Africa centrale – veniva chiamata Equatorial Forest Belt “fascia della foresta equatoriale”).
E nemmeno avrei potuto immaginare, allora, che un programma per i giovani come Root & Shoots, creato da me, potesse diffondersi globalmente. Ed ovviament, la maggior parte di Roots and Shoots protegge e ristabilisce l’ambiente, lavorando per aiutare gli animali.
Mongabay.com: Dall’altro lato della medaglia, cosa non ha funzionato nella tutela ambientale?
Jane Goodall: I programmi di salvaguardia che recintano una parte dell’ambiente natural senza alcun tentativo di coinvolgere le persone che vi abitano intorno hanno scarse probabilità di successo, almeno non nel mondo attuale in cui molte di queste persone vivono in povertà.
Roots & Shoots La dottoressa Jane Goodall e i membri del Roots & Shoots piantano alberi a Singapore. © Chris Dickinson
Mongabay.com: Quale crede che sia la più grande lacuna o opportunità per quanto riguarda la salvaguardia ambientale?
Jane Goodall: Ho sempre sperato che ci fossero più partnership, condivisione di risorse. IL JGI cerca di cooperare con quanti più programmi possibili. Purtroppo, la competizione al recupero di fondi significa che molte organizzazioni sono diffidenti su tali partnership. Ancor peggio è quando le istanze individuali si intromettono.
Mongabay.com: É interessata a qualche nuova idea, innovazione, o tecnologia emergente nell’ambientalismo?
Jane Goodall: JGI ha iniziato delle partnership con Esri, Google Earth, Digital Globe, e la NASA. La dottoressa Lilian Pintea del JGI ha stabilito questi legami, e attraverso loro abbiamo delle abilità di mappatura allo stato dell’arte così da far vedere ai locali cosa intendiamo quando si parla di recupero dell’habitat, e di come la protezione dei bacini idrici può portare beneficio ai villaggi in futuro così come alla natura. Google Earth ha fornito dei tablet ricaricabili con la luce solare. Le guardie forestali, i volontari dei villaggi, sono formati sul loro utilizzo. Hanno fatto una lista di tutto ciò che credono che debba e non debba accadere, e i tablet sono progettati per permettere loro di registrare tutto ciò.
Con la formazione di nuove guardie forestali, sia dal JGI che da altre organizzazioni ambientaliste, queste informazioni possono essere inserite nella mappa Global Forest Watch. Ciò darà presto un’immagine più chiara di ciò che accade nelle foreste del mondo.
Oggi il DNA di uno scimpanzé (o altri animali ovviamente) può essere determinate dall’analisi di un campione fecale. Dopo aver ottenuto i profili del DNA per tutti gli scimpanzé di Gombe fummo in grado di determinare per la prima volta chi erano i genitori dei diversi cuccioli. E se viene avvistato uno scimpanzé sconosciuto a noi, l’analisi del DNA determinerà se ha qualche grado di parentela con qualsiasi scimpanzé di Gombe e quindi provare l’efficacia dei nostri metodi.
Questo mese, dal 17 al 23 Novembre, la Thin Green Line Foundation (Fondazione sottile linea verde) ha promosso una nuova campagna per Go Green for Rangers. Nel videomessaggio seguente, la dottoressa Goodall supporta Sean Willmore e la Thin Green Line Foundation nei suoi sforzi per la protezione e il support dei ranger nel nostro mondo. |
Le fototrappole aiutano molti ambientalisti o alle prese con animali schivi, o desiderosi di raccogliere informazioni senza disturbare gli animali. Anche i droni offrono delle opportunità per le ricerche, specialmente per combattere il bracconaggio. I social media possono essere visti adesso come un potente strumento per portare le persone al partecipare ad una campagna, nel sollevare le voci o le risorse economiche, e per far aumentare la consapevolezza.
Il coinvolgimento giovanile non è esattamente una nuova idea, ma è in crescita ed è estremamente potente. Soltanto ieri ho ricevuto un assegno di 150 dollari da una ragazzina di 8 anni per aiutarci a prenderci cura degli scimpanzé nel nostro Santuario di Tchimpounga. Regolarmente raccoglie denaro con la vendita di limonata fatta in casa. Esistono letteralmente migliaia di ragazzi che raccolgono fondi, che aumentano la consapevolezza – e, cosa più importante, che si rimboccano le maniche per rimuovere delle erbacce dall’ecosistema, che piantano alberi, che monitorano le migrazioni delle farfalle monarca, di vari uccelli, e così via. È un vasto esercito entusiasta e determinate a salvare l’ambiente e gli animali che ama.
Mongabay.com: Qual è la tua vision di Gombe tra 50 anni?
Jane Goodall: Spero che ci sarà sempre una stazione di ricerca, che tiene traccia dei pronipoti dei miei originari amici scimpanzé. Dopotutto, gli scimpanzé possono vivere fino a 60 anni (a volte anche di più) quindi ci vorranno almeno 100 anni per rispondere ad alcune domande interessanti sulla “natura” contro “l’allevamento” – l’eredità genetica, che passa attraverso i comportamenti individuali attraverso l’osservazione, l’imitazione e la pratica. Registreremo gli effetti del cambiamento climatico e lavoreremo con le comunità locali, che saranno molto più “sviluppate” ma con la consapevolezza dell’importanza di proteggere i bacini idrici e l’ambiente per un ecoturismo. Le tecniche agricole saranno ancora più sostenibili di oggi. La popolazione locale sarà orgogliosa della loro flora e fauna, specialmente degli scimpanzé.
Mongabay.com: Guardando indietro ai suoi numerosi traguardi e riconoscimenti, di cosa è più orgogliosa?
L’aiutare le persone a capire che gli animali non sono delle “cose” ma degli esseri senzienti, sapient e con la loro individualità, mente ed emozioni. E di aver iniziato Roots & Shoots.
Mongabay.com: In molti vogliono fare qualcosa a supporto della fauna, ma sono principalmente insicuri sulle donazioni. Cos’ altro possono fare per assicurare la sopravvivenza delle tante specie in pericolo?
Jane Goodall: Il denaro può essere una parte importante, ma la diffusione della consapevolezza è anche importante, attraverso i social media, gli articoli, e scrivendo libri.
Jane Goodall: 50 Anni nel Gombe |
L’educazione dei giovani – includendo dei curricula sullo sviluppo nelle scuole. E l’apertura di gruppi Roots & Shoots!
Prendere parte alle champagne, avvisare gli altri attraverso i social media.
Fare volontariato (o lavorare) per progetti ambientalisti.
Ed infine rendersi conto che ognuno compie una sorta di impatto ogni giorno. Non dimenticare mai che ogni individuo è importante. Che si ha un ruolo da giocare in questa vita. Che ciò che si fa, ogni giorno, fa realmente la differenza. Si pensi alle conseguenze delle piccole scelte compiute – cosa si compra, mangia, indossa ecc. Dov’è stato fatto, ha provocato danni all’ambiente (distruzione di foreste, per esempio, uso estensivo di pesticidi chimici ed erbicidi, o piantagioni geneticamente modificate) o alle persone (realizzato con la schiavitù infantile o in una fabbrica sfruttatrice). Ha provocato la sofferenza degli animali (allevamento intensivo, gli indumenti in Angora cinesi in cui la pelle è tirata via dai conigli vivi, o il foie gras ottenuto dall’alimentazione forzata di grasso nelle oche e nelle anatre attraverso dei tubi metallici conficcati nella gola, e tutte le altre pratiche crudeli). Quando miliardi di persone fanno le giuste scelte ambientali – e sociali – allora vi saranno maggiori cambiamenti.