- Le peggiori alluvioni degli ultimi novant’anni nello stato indiano hanno provocato centinaia di vittime. Per gli ambientalisti la colpa non è solo della pioggia ma anche di politiche sbagliate.
Dall’inizio di agosto piogge insolitamente intense hanno provocato inondazioni in tutto lo stato del Kerala, nel sud dell’India, causando più di 400 vittime e danni enormi. Erano novant’anni che non si verificavano alluvioni di questa portata. Dieci distretti su 14, tra cui Idukki, Ernakulam, Thrissur, Alappuzha, Wayanad e Kozhikode, sono stati pesantemente colpiti e in tutto lo stato sono state aperte 27 dighe per far abbassare il livello dell’acqua. La diga di Idukki a Cheruthoni è la più grande diga ad arco dell’Asia, e le sue paratoie erano state aperte l’ultima volta nel 1992. Dopo le piogge di agosto il livello dell’acqua aveva quasi raggiunto la capacità massima della diga: con l’apertura delle paratoie circa 700mila litri di acqua al secondo sono stati scaricati nel fiume Periyar. La maggior parte delle aree colpite erano state classificate come zone ecologicamente sensibili (Esz) da un rapporto del 2011 del Western Ghats ecology experts panel, redatto da una squadra guidata dal fondatore del Centro per le scienze ecologiche dell’Istituto indiano della scienza di Bangalore, Madhav Gadgil. La commissione aveva suggerito di limitare al massimo le attività di cave e miniere in alcune zone, l’uso del terreno per finalità non forestali, la costruzione di edifici elevati. Il governo del Kerala, tuttavia, aveva respinto il rapporto.
Gadgil attribuisce il disastro a politiche ambientali irresponsabili puntando il dito contro le cave, che ritiene una delle principali cause di frane e colate di fango. Altri ambientalisti indicano fra le cause della calamità, oltre all’estesa presenza di cave, la proliferazione di edifici alti, come alberghi e resort, in seguito all’aumento del turismo, e le acquisizioni illegali di porzioni di foresta da parte di privati.
V. Thomas, ex scienziato del Centro nazionale per gli studi di scienze naturali, spiega che nessuno vuole parlare delle cause dei disastri naturali. Anche secondo lui il rapporto della commissione Gadgil avrebbe dovuto essere preso sul serio. “Il rapporto indicava chiaramente come proteggere le aree sensibili con l’aiuto delle comunità locali, ma né lo stato né altre autorità l’hanno preso sul serio, attuando invece raccomandazioni non adatte alla regione. Lo stato dovrebbe imparare da questo disastro e d’ora in poi dare priorità alla salvaguardia dell’ambiente”.
C. M. Joy, ambientalista e docente universitario in pensione, accusa le aziende coinvolte nella costruzione delle cave e nell’acquisizione illegale di aree forestali di aver fatto pressioni per far respingere il rapporto della commissione: “Tutti i distretti che sono stati gravemente colpiti hanno enormi cave, legali e illegali. Il sottosuolo è una grande riserva d’acqua ma le costruzioni, le miniere e le cave costruite senza criterio hanno rimosso lo strato di terreno che la copre. La pressione generata in questo modo provoca frane e colate di fango”. Joy aggiunge che le attività di scavo provocano anche tremori. “In Kerala ci sono più di 1.500 unità di frantumazione ed estrazione. Siamo noi i responsabili di tutto questo”.
Articolo tradotto da Internazionale. Internazionale è una rivista italiana che sceglie e traduce il meglio dei giornali di tutto il mondo.