- Poiché il bilancio delle vittime causate dal COVID-19 ha superato quota 140.000 e i casi sono più di 2 milioni, ci sono sempre più richieste per un divieto permanente del commercio di animali selvatici per il consumo umano.
- Le prove a disposizione suggeriscono che un “wet market” (mercato all’aperto) nella città di Wuhan in Cina, dove vengono venduti e acquistati animali vivi, sia stato il luogo in cui il coronavirus è passato dagli animali all’uomo.
- Gli scienziati della conservazione stanno spingendo verso un’analisi più ampia dei fattori che hanno portato all’emergenza COVID-19 e a un’attenta valutazione delle misure che potrebbero prevenire la prossima pandemia da zoonosi.
- Il Movimento One Health, secondo cui il benessere degli umani è indissolubilmente legato alla salute del pianeta, sta acquistando terreno e la sua idea potrebbe affermarsi come principio guida delle agenzie internazionali e dei governi nazionali nella loro lotta per evitare un’altra crisi come quella del COVID-19.
Con l’aumentare del bilancio delle vittime e dei costi economici dovuti al COVID-19, aumentano anche le richieste di vietare il commercio di animali selvatici per il consumo umano, ritenuti i responsabili dello scoppio della pandemia. La domanda nasce da una preoccupazione urgente: Come possiamo prevenire un’altra pandemia come quella del COVID-19? Il coronavirus ha infettato più di 2 milioni di persone, ha tolto la vita ha più di 140.000 individui e potrebbe costare ben 9 trilioni di dollari all’economia mondiale nei soli prossimi due anni.
Durante una conferenza del U.S. Congress’s International Conservation Caucus del 15 aprile, Chris Walzer, capo del programma sulla salute della fauna della Wildlife Conservation Society, ha richiesto un divieto immediato e permanente del commercio di fauna selvatica per il consumo umano. Sebbene la riunione si sia focalizzata su come gli Stati Uniti possano assumere un ruolo guida nel prevenire future epidemie, esiste una consapevolezza crescente che le agenzie internazionali come l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) (World Health Organization, WHO) saranno indispensabili per impedire la prossima pandemia. Eppure, il giorno dopo, il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha annunciato la sospensione dei fondi destinati all’OMS da parte di Washington per via di ciò che ha definito essere stata una cattiva gestione dell’epidemia.
La strada per evitare un’altra pandemia resta confusa, ma c’è consenso sul fatto che il mondo non è in grado di permettersi un altro COVID-19. Gli esseri umani sono sempre stati a rischio di zoonosi, ovvero di malattie che vengono trasmesse dagli animali all’uomo, ma il pericolo non è mai apparso così minaccioso. Si stima che i mammiferi e gli uccelli ospitino 1,5 milioni di virus. Di questi, circa 700.000 possono mettere a rischio la salute umana. Al giorno d’oggi le malattie zoonotiche sono responsabili di circa il 60% delle malattie infettive emergenti e la maggior parte di queste hanno origine dagli animali selvatici. Gli scienziati hanno previsto che il tasso di emergenza di queste malattie è in aumento.
Più di 200 organizzazioni per il benessere animale hanno fatto appello all’OMS per fare pressione sul governo affinché chiuda in modo permanente i mercati che vendono animali selvatici vivi e che vieti l’utilizzo di fauna selvatica nella medicina tradizionale. Un divieto globale di questi mercati non è tuttavia in programma e nessuna agenzia internazionale ha l’autorità di imporre un divieto simile.
Cristina Romanelli, intermediaria interdipartimentale per il programma di lavoro congiunto sulla biodiversità e la salute dell’OMS insieme alla Convenzione sulla Diversità Biologica (CDB), ha affermato che “nessuna misura individuale, incluso un divieto assoluto dei cosiddetti wet market, dovrebbe essere intesa come un rimedio”. Romanelli sostiene che sarebbe stato necessario affrontare “il vasto range di fattori comuni legati alla perdita di biodiversità e all’emergenza di patologie”, e ha aggiunto che qualsiasi conseguenza indesiderata scaturita da misure individuali avrebbe dovuto essere presa in considerazione molto attentamente.
Non solo pipistrelli e pangolini
Con il diffondersi della notizia che il nuovo coronavirus, SARS-CoV-2, ha avuto origine nei pipistrelli, alcuni abitanti di Beijing hanno iniziato a chiamare la polizia per riportare la presenza di mammiferi alati. I pipistrelli sono delle specie ospite di numerosi virus per via del loro sistema immunitario che gli permette di essere portatori di virus in grado di causare malattie in altre specie, uomo incluso, senza però danneggiare l’ospite stesso. “Molti dei dibattiti stanno inavvertitamente o deliberatamente generando questa paura della fauna selvatica e della natura”, ha detto Romanelli.
Tuttavia, la richiesta di chiudere i wet market è più che una reazione istintiva. Il primo gruppo di casi dovuti al COVID-19 è stato collegato a un wet market nella città cinese di Wuhan, dove si crede che il virus si sia trasferito su di un ospite umano. Nei mercati commerciali, dove diversi tipi di animali vengono venduti e acquistati su larga scala, esiste un elevato rischio di spillover, o propagazione. Questi animali che in natura non entrerebbero mai in contatto con gli umani o tra di loro, vengono tenuti ammassati e in condizioni spesso non igieniche, dando origine a dei “super punti di interazione”.
John E. Scanlon, ex segretario generale della Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione (CITES), ha affermato alla riunione del comitato di dirigenti, o caucus congressuale, che “i wet market, il traffico di fauna selvatica e il loro consumo che mette a rischio la salute dell’uomo, dovrebbero essere vietati immediatamente”. Ha sostenuto che la sfida sarà definire ciò che si qualifica come ad “alto rischio”.
Con il diffondersi dell’epidemia, le autorità cinesi hanno risposto istituendo un divieto temporaneo che proibisce il consumo di animali selvatici. La Cina sta pensando di rendere questo divieto permanente modificando le leggi sulla fauna selvatica. Il paese non è nuovo a pandemie dovute a nuove zoonosi. Nel 2002-03, una sindrome respiratoria acuta grave (SARS), una malattia causata da un altro coronavirus (SARS-CoV), colpì la popolazione umana a partire dai pipistrelli attraverso lo zibetto asiatico (Paradoxurus hermaphroditus). Al tempo fu istituito un divieto del commercio di fauna selvatica, ma venne più tardi rimosso. Il bilancio delle vittime per COVID-19 è già più di 100 volte superiore rispetto a quello dovuto alla SARS. Questa volta gli scienziati della conservazione sperano che il divieto verrà mantenuto.
Tuttavia, gli esperti sostengono che un focus ristretto sui mercati di fauna selvatica potrebbe non essere la risposta. Secondo quanto riportato da un articolo sul divieto imposto dalla Cina nel giornale Science “il solo blocco totale del consumo di fauna selvatica terrestre non è di per sé sufficiente a proteggere in modo efficace la salute pubblica dalle malattie associate alla fauna selvatica”. Il traffico di animali vivi per il consumo umano è uno degli aspetti di questo commercio. Prodotti di origine animale come per esempio le scaglie di pangolino, la bile di serpente e persino le feci di pipistrello vengono utilizzate nella medicina tradizionale cinese. Al momento non rientrano però nel focus del divieto. Le ONG per il benessere animale hanno definito l’utilizzo di parti di animali selvatici nella medicina tradizionale “innecessario e ingiustificabile”. Anche la WCS (Wildlife Conservation Society) sta spingendo verso un maggior controllo dei mercati di animali domestici che prevedono il contatto tra uomo e animali vivi.
Oltre il commercio illegale
Prove in corso suggeriscono che il nuovo coronavirus è stato trasmesso agli umani attraverso una specie intermedia come il pangolino. Nonostante tutte le otto specie di pangolino siano protette, questi mangiatori di formiche dotati di scaglie sono i mammiferi più trafficati al mondo.
Anche se la Cina rappresenta il mercato più vasto per il commercio illegale di prodotti provenienti dalla fauna selvatica, non è l’unico. Le reti di traffico di fauna selvatica attraversano interi paesi e continenti. Una grande quantità di scaglie di pangolino impiegate nella medicina tradizionale cinese è importata da Africa e Asia il che indica come la caccia illegale di questi animali sia ampiamente diffusa all’interno dei paesi di origine.
Mentre una scarsa applicazione delle leggi che regolano il traffico illegale di prodotti derivanti dalla fauna selvatica non è di aiuto, un’attenzione limitata alle specie che affrontano minacce esistenziali e che perciò godono della protezione di leggi sulla fauna selvatica potrebbe non rispondere pienamente alle preoccupazioni sulla salute pubblica. Il virus più prossimo a SARS-CoV-2 responsabile del COVID-19 si trova nei pipistrelli ferro di cavallo (Rhinolophidae spp.). La maggior parte di questi pipistrelli non sono specie minacciate. E nemmeno lo è lo zibetto asiatico, l’ospite intermedio del virus SARS.
I cinesi non sono nemmeno i soli a consumare animali selvatici. L’ebola, una delle malattie virali più mortali per il genere umano, ha avuto origine nell’Africa occidentale. Si crede che sia arrivata alla popolazione umana attraverso il contatto con pipistrelli infetti oppure attraverso un primate non umano come una scimmia o un primate superiore. “I wet market non esistono solo in Asia ma anche in Africa e in America Latina e, a seconda di come sono definiti, si trovano in tutto il mondo” ha detto Scanlon. “Il traffico di fauna selvatica, legale o illegale che sia, colpisce tutte le nazioni”. Le condizioni che consentono il passaggio dei virus dalla fauna selvatica agli umani esistono inoltre nei commerci legali scarsamente regolati.
Nonostante molti paesi siano ancora in una modalità di controllo della crisi, alcuni hanno mostrato una forte volontà di far fronte al problema su ampia scala. Il ministro tedesco dell’ambiente, Svenja Schulze, ha dichiarato che “ci ritroveremo in mondo post-pandemia. Per allora avremo dovuto comprendere le cause di questa crisi in modo da meglio prevenire un simile scenario in futuro. La scienza ci dice che la distruzione degli ecosistemi fa in modo che ci sia la diffusione di malattie infettive, pandemie incluse. Questo indica come la distruzione della natura sia l’emergenza basilare dietro la crisi da coronavirus”.
L’abbattimento delle foreste, la manipolazione dei corsi d’acqua e lo sviluppo alla rinfusa stanno sconvolgendo gli ecosistemi e sgretolando i confini tra comunità animali e umane su scala senza precedenti. Il cambiamento climatico non ha che peggiorato la situazione. Si teme che lo scioglimento dei ghiacciai potrebbe liberare virus non ancora noti che sono rimasti imprigionati nel ghiaccio per migliaia di anni.
Secondo gli studi che si occupano di analizzare come gli schemi mutevoli di utilizzo della terra hanno aumentato il contatto tra le persone e i primati non umani in Africa, l’incursione dell’uomo in ambienti intatti ha amplificato l’esposizione a patogeni non conosciuti. L’elevata crescita della popolazione, l’usurpazione delle foreste e il consumo di selvaggina hanno giocato un ruolo chiave nell’insorgenza dell’ebola nel 2014 che ha raggiunto livelli epidemici.
“La storia che raccontiamo sulle pandemie ci fa apparire come vittime della natura. È invece esattamente l’opposto”, ha dichiarato la Piattaforma Intergovernativa di Politica Scientifica in materia di Biodiversità e Servizi Ecosistemici (IPBES). “Dobbiamo insistere sul fatto che sono state le azioni delle persone ad aver create un ambiente in cui la trasmissione [del virus] è stata possibile”.
Il Modello One Health
L’epidemia della SARS del 2002-03, definita dalla OMS la “prima emergenza globale sulla salute pubblica del ventunesimo secolo”, ha portato alla revisione degli Standard Internazionali sulla Salute che guidano l’OMS e i membri degli stati a prepararsi e a rispondere ai focolai di malattie. Gli scienziati della conservazione dicono di sperare che la crisi dovuta al COVID-19 possa innescare delle azioni che porteranno a benefici nella salute pubblica, che reprimeranno il traffico illegale di fauna selvatica e che conterranno il danno ambientale. Per poter fare questo si stanno orientando sempre di più verso i principi del Modello One Health secondo cui il benessere dell’uomo è indissolubilmente legato alla salute del pianeta.
“Non sarà certamente facile ottenere qualche tipo di consenso su scala globale, ma i valori chiave e la consapevolezza dell’approccio One Health e, la necessità di applicarlo, vengono indicati in modo molto chiaro. La questione è come agire”, ha detto Walzer della WCS. È improbabile che decisioni unilaterali possano portare a dei risultati. Il ministro dell’ambiente Schulze ha esortato l’IPBES, un gruppo di esperti intergovernativi formatosi nel 2012, a raccogliere informazioni e a condividerle con i decisori politici di tutto il modo. C’è la preoccupazione che provvedimenti mal concepiti possano interferire con i diritti di popolazioni e comunità indigene, in particolar modo quelle che dipendono dalla selvaggina per sostenersi e che non hanno accesso ad altre alternative.
“Credo che ci sia un’enorme quantità di fattori sociali, economici e culturali che hanno bisogno di essere presi in considerazione”, ha affermato Romanelli. “E questo implica un dialogo su larga scala e un aumento della consapevolezza e del lavoro con le comunità locali che saranno direttamente colpite da un divieto globale”.
È anche poco chiaro come si possa ottenere consenso e come si possano applicare simili azioni. Non esiste un’agenzia internazionale che lavora esclusivamente per promuovere il Modello One Health. L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), l’Organizzazione mondiale della sanità animale e l’OMS sono parte di un’alleanza che affronta i rischi sulla salute che derivano dalle interazioni uomo-animale. Le ONG per il benessere animale che hanno fatto appello all’OMS hanno osservato che era nei compiti dell’agenzia intraprendere i primi passi precauzionali. “Qualsiasi ulteriore divieto dovrà essere imposto in tutte le nazioni. Al momento non esiste alcun accordo legale internazionale che autorizzi il divieto dei mercati, il commercio o il consumo di fauna selvatica per motivi di salute pubblica”, ha fatto notare Scanlon.
Gli oppositori di Trump hanno sottolineato che nel bel mezzo di una pandemia è tutt’altro che opportuno togliere i fondi all’organizzazione mondiale della sanità; se vogliamo prevenire un altro COVID-19 è necessaria una maggiore cooperazione. Scanlon dice che “si tratta di problematiche globali complesse e interconnesse che necessitano di uno sforzo collettivo per poterle affrontare. Se non agiamo con coraggio ora per rendere ufficiali leggi, fondi e programmi, temo che in un futuro non troppo lontano potremmo trovarci nella stessa identica situazione in cui ci troviamo adesso”.
(Immagine di apertura: Screenshot della mappa di diffusione del COVID-19 in data 17 aprile 2020 realizzata dalla Johns Hopkins University.)
Malavika Vyawahare è giornalista per Mongabay dal Madagascar. Potete trovarla su Twitter: @MalavikaVy
Articolo originale: https://news-mongabay-com.mongabay.com/2020/04/how-to-prevent-the-next-covid-19-conservationists-weigh-in/