- Nell’Amazzonia brasiliana almeno 78 popolazioni indigene sono state contagiate dal COVID-19, con 3.662 individui positivi e 249 vittime tra 45 di queste. Mancano dati dettagliati sulle rimanenti 33. Gli esperti ritengono che la povertà, la bassa resistenza alle malattie occidentali e la mancanza di strutture mediche siano alla base di tale vulnerabilità.
- Il Coordinamento di Organizzazioni indigene dell’Amazzonia brasiliana (COIAB), che ha raccolto e annotato questi dati, sospetta che non tutti i casi e i decessi vengano riportati. Molti capi e i membri più anziani continuano a morire tra le popolazioni indigene, tra cui gli anziani dei popoli Munduruku, Kayapó, Arara, Macuxi, e Tuyuka.
- Il COVID-19 è riuscito a penetrare nel bacino del fiume Xingu, una vasta area a Sud del Rio delle Amazzoni negli stati del Parà e del Mato Grosso. Qui vive il popolo degli Arara, che negli anni ’80 del Novecento è stato devastato da malattia e violenza. Oggi, quasi la metà dei 121 sopravvissuti è risultata positiva al coronavirus.
- Dei 1.818 Xicrin che vivono nel Parà sudoccidentale, 270 (il 15%) sono risultati positivi, con 7 morti. I ricercatori ipotizzano che un tasso così alto di contagi e di decessi (più alto di quello generale degli abitanti del Brasile e persino di altri gruppi di indigeni) potrebbe essere dovuto a una salute di base già resa fragile da acque presumibilmente contaminate da una miniera di nichel della multinazionale Vale.
Il coronavirus continua la sua diffusione letale in il Brasile con 1,1 milioni di casi confermati e 52.725 decessi al 24 giugno. Il Brasile è diventato il secondo paese, dopo gli Stati Uniti, ad aver fatto registrare più di 50.000 morti, mentre i governanti sminuiscono una crisi sempre più grave.
Come anticipato, le comunità indigene mostrano di possedere una particolare vulnerabilità al virus, nonostante la lontana Amazzonia non abbia ancora subìto appieno l’impatto della pandemia. Il Coordinamento di Organizzazioni indigene dell’Amazzonia brasiliana (COIAB) sostiene che, secondo informazioni attendibili, 78 popolazioni indigene sono state infettate dal virus nell’Amazzonia brasiliana e che, tra 45 di queste, 3.662 individui abbiano contratto il virus e 249 siano deceduti. Per quanto riguarda le rimanenti 33 popolazioni, il COIAB ammette di non possedere dati affidabili.
Inoltre, il COIAB teme che il bilancio totale sia molto più elevato di quello suggerito da questi numeri, poiché molti casi non vengono riportati.
Numerosi capi indigeni vittime della pandemia
Come Mongabay ha già riportato il 9 giugno, un numero spropositato di capi indigeni sta cadendo vittima della pandemia (al 7 giugno sono morti nove anziani del popolo Munduruku). Da allora, molti altri capi di popolazioni remote hanno perso la vita.
Tra questi, c’è Paulo Paiakan, 66 anni, appartenente alla popolazione Kayapò del Parà meridionale. Paiakan ha svolto un ruolo importante a livello nazionale per il riconoscimento dei diritti indigeni nella Costituzione del 1988, redatta nell’euforia progressista che invase il paese quando il Brasile tornò a un governo civile dopo 25 anni di dittatura militare. Paiakan ha anche contribuito a portare all’attenzione internazionale i costi socio-ambientali della mega centrale idroelettrica di Belo Monte sul fiume Xingu, costruita tra il 2011 e il 2016.
Un altro capo indigeno degno di nota vittima del COVID-19 è José Carlos Ferreira, 41 anni, del territorio indigeno Arara di Volta Grande, sempre nello stato del Parà. Come Paiakan, Ferreira era impegnato nella campagna per fermare la centrale di Belo Monte ed era tra i capi che, nel 2011, accompagnarono il divo e politico statunitense Arnold Schwarzenegger nella sua visita alle comunità della regione per discutere il progetto della centrale. La campagna per fermare il progetto fallì, e molte delle tragiche conseguenze che i capi indigeni avevano previsto oggi stano diventando realtà: la centrale, su cui si è concentrata un’enorme corruzione, sta danneggiando gravemente le comunità indigene e fluviali, ha costretto decine di migliaia di persone a spostarsi, sta distruggendo l’habitat e le of people, is damaging habitat, attività ittiche del fiume Xingu in cambio di molta meno energia di quella promessa.
Tra i morti c’è anche Dionito José de Souza Macuxi, di 52 anni: capo carismatico nello stato del Roraima, nell’estremo nord del Brasile al confine con il Venezuela, ha svolto un ruolo chiave nella lunga lotta portata avanti dal popolo Macuxi conclusasi positivamente con il riconoscimento di Raposa Serra do Sol come Territorio Indigeno.
A migliaia di chilometri dal confine con il Perù, anche Higino Pimental Tenório si è arreso al COVID-19. Il capo della popolazione Tuyuka ha dedicato gli ultimi trent’anni della sua vita a tutelare la lingua e la cultura del suo popolo, che si stavano estinguendo a causa della società degli invasori.
La pandemia dilaga
La situazione è grave: il virus ha raggiunto il bacino del fiume Xingu, una vasta area a sud del Rio delle Amazzoni, negli stati del Parà e del Mato Grosso, che comprende 28 territori indigeni, cinque dei quali sono stati tra i più colpiti dalla deforestazione nel 2019.
Qui sono stati registrati casi di coronavirus in molte riserve indigene, tra cui l’iconico Territorio Xingu, creato nel 1961 come risultato diretto della campagna portata avanti dai pionieristici fratelli Villas-Boas, che diedero origine a quella che allora fu considerata un’idea radicale: proteggere ampie aree di foresta pluviale abitate esclusivamente da indigeni.
È ancora presto per sapere quanti indigeni siano stati infettati nel Territorio Xingu, ma Lili Chipaia, segretaria esecutiva della Federazione delle Popolazioni Indigene dello Stato di Parà (FEPIPA) è preoccupata: a un quotidiano locale ha dichiarato: “abbiamo sentito parlare di contagiati i primi di maggio, ma sappiamo che i numeri aumentano in maniera esponenziale.”
A metà giugno COIAB e PEPIPA hanno inviato una lettera urgente a Helder Barbalho, governatore dello stato del Parà, in cui chiedevano misure d’emergenza come rifornimenti regolari di panieri alimentari, in modo da non costringere gli indigeni a spostarsi verso le città vicine per rifornirsi di cibo e, quindi, a esporsi al virus.
Chipaia ha spiegato che i prodotti naturali provenienti dalla foresta come pesce, frutti selvatici, noci e selvaggina che, un tempo consentivano agli indigeni di sopravvivere perché abbondanti, oggi scarseggiano. E questo, ha aggiunto, “è il risultato della presenza di numerose miniere illegali [nei territori indigeni], del taglio di legname, delle irruzioni di contadini e del fenomeno del “land grabbing,” che ha avuto impatti sull’ecosistema e la biodiversità e ha aumentato la dipendenza delle comunità dall’acquisto di cibo.
Il Segretariato della Salute Pubblica dello stato del Parà (SESPA) ha risposto di essersi già attivato in aiuto delle comunità indigene, dedicando corsie ospedaliere riservate agli Indiani nelle città di Belém, Marabà, Santarém e Breves e inviando squadre nei villaggi indigeni per effettuare test e prestare cure. Il FUNAI, l’agenzia brasiliana per gli affari indigeni, ha dichiarato di aver distribuito circa 5.000 panieri alimentari alle famiglie indigene dello stato del Parà.
A rischio gruppi contattati di recente o mai contattati
La valle del fiume Xingu comprende popoli indigeni che interagiscono con il mondo esterno da secoli, altri che vi sono entrati in contatto di recente e altri ancora che rimangono isolati. Gli esperti sono preoccupati soprattutto per questi ultimi due gruppi, particolarmente vulnerabili perché non hanno sviluppato difese contro le malattie occidentali e perché gran parte di loro non ha accesso alle strutture mediche moderne.
Una comunità entrata di recente in contatto con il mondo moderno e che corre il rischio di essere distrutta, e forse persino sterminata, dal virus è quella degli Arana, che vive nel Territorio Indigeno Cachoeira Seca, sul fiume Iriri, affluente dello Xingu. Questa comunità è venuta a contatto con il mondo esterno in maniera duratura nel 1987, quando la strada transamazzonica, che veniva fatta passare per il bacino amazzonico, raggiunse il loro territorio. Molti Arara persero la vita a causa del conflitto e delle malattie derivati da questo primo, brusco contatto. Non si sa quanti Arara esistessero prima che venissero disturbati dalla costruzione della strada poiché molti fuggirono nella foresta; tuttavia, nel 1996 ne erano rimasti solo 48.
Negli ultimi 20 anni, gli Arara hanno cominciato a riprendersi, nonostante qualche battuta d’arresto. Situato nella sfera di influenza della mega centrale di Belo Monte, il loro territorio è stato invaso ripetutamente da taglialegna illegali e predatori di terre, attirati dalla costruzione della centrale. Nel 2016, inoltre, la riserva ha subìto la maggiore deforestazione di tutti i territori indigeni del Brasile. I 121 Arara non sono pronti a sopportare altri eventi negativi, eppure, al momento, quasi la metà è risultata positiva al virus. Molto probabilmente, a causa del loro stile di vita comunitario, ne verranno infettati molti altri.
Un membro della comunità Arara ha dichiarato a Survival International: “Siamo preoccupati. Il villaggio è a tre giorni dalla città dove si trova l’ospedale [più vicino]. Chiediamo protezione per questi casi di coronavirus. Il numero di intrusi è molto aumentato, stanno tagliando parecchio legname. Il governo non li blocca. Ci sono molti intrusi nella nostra area.”
Alcuni gruppi sono molto vulnerabili
Un altro popolo che sta vacillando a causa dell’impatto del COVID-19 è quello degli Xicrin, che vive nel territorio indigeno Xicrin do Cateté, nel Parà sudoccidentale, a circa 400 chilometri dalla cittadina di Maraba. “Nei villaggi indigeni ci sono lacrime giorno e notte,” ha dichiarato un giovane Xicrin ad Agência Pública.
“Siamo davvero terrorizzati,” ha aggiunto Bekroti Xikrin, presidente dell’istituto che rappresenta i cinque villaggi all’interno del territorio. “Sette persone della nostra famiglia sono morte” a causa del virus, ha detto, riferendosi all’intera popolazione Xicrin di 1.818 persone, considerate tutte come parte della sua famiglia estesa.
Finora circa il 15% degli Xicrin (270 persone) è risultato positivo al virus, ma il numero è destinato a salire. Tra i sette deceduti c’è Bep Karoti, di 63 anni, capo del villaggio Pokro, molto rispettato in tutto il territorio indigeno per la forza fisica e per le conoscenze spirituali. Il virus ha preso le vite di altri quattro anziani, tutti guerrieri. Questi guerrieri Xicrin hanno avuto un ruolo chiave nel tramandare le tradizioni indigene alle nuove generazioni.
Dato l’elevato numero di contagiati e di morti in rapporto al numero totale del gruppo, sembra che gli Xicrin siano notevolmente più vulnerabili al COVID-19 rispetto all’intera popolazione del Brasile; sicuramente, molto più di altri gruppi indigeni. Ciò potrebbe essere dovuto al fatto che la loro salute a lungo termine risulta già compromessa, visti i casi di diabete, ipertensione e problemi cardiaci più frequenti rispetto alle popolazioni indigene vicine.
In un rapporto pubblicato a Marzo 2020, João Paulo Botelho Vieira Filho, docente alla Facoltà di Medicina dell’Università Federale di San Paolo (UNIFESP) ed esperto del popolo Xicrin, afferma che tali problemi di salute potrebbero derivare benissimo dalla contaminazione del fiume Cateté, che attraversa il lor territorio. Infatti, questo fiume svolge un ruolo determinante nella vita degli Xicrin: si lavano, pescano e cucinano con le sue acque. Secondo Vieira Filhoche le quantità inammissibili di metalli pesante presenti in queste acque potrebbero essere la causa dei problemi di salute che affliggono gli Xicrin. Un’analisi delle acque del fiume ha, infatti, rilevato livelli eccessivi di piombo, ferro, rame, nickel e cromo.
Vieira Filho ritiene che questi metalli provengano, in gran parte, dalla vicina miniera di nickel Mineração Onça Puma, aperta nel 2010 e di proprietà della Vale, multinazionale mineraria che ha sede in Brasile. La Vale respinge le accuse, affermando che delle analisi indipendenti hanno dimostrato che la causa dell’inquinamento non sono le loro attività estrattive, nonostante la miniera Onça Puma si trovi nelle colline vicine che vengono drenate da fiumi affluenti del Cateté. Il contenzioso è ancora in corso.
Gli indigeni si proteggono da sé
Ma non ci sono solo brutte notizie: in tutto il Brasile, gli indigeni si stanno risollevando organizzando gruppi di autoaiuto e adottando misure per proteggersi: per esempio, molti gruppi si stanno isolando nella foresta amazzonica più profonda di propria iniziativa. Secoli di esperienza in epidemie occidentali hanno consentito agli indigeni di sapere meglio di chiunque altro quanto possa essere letale una pandemia e come difendersi.
All’inizio di giugno, Rede Wayuri, una rete di comunicatori indigeni che lavorano in 350 comunità amazzoniche diffondendo informazioni attraverso WhatsApp e ShareIT, è stata individuata da Reporter Senza Frontiere, un’organizzazione internazionale che lavora per tutelare la libertà di espressione e di informazione, come uno dei 30 “eroi dell’informazione”. Secondo Reporter Senza Frontiere, infatti, Rede Wayuri lavora senza sosta durante la crisi per istruire e informare le comunità indigene sul COVID-19.
Nel banner: vista del fiume Iriri, senza persone. Alcuni esperti temono che la pandemia possa spopolare e destabilizzare le comunità indigene, spalancando le porte a una totale razzia di terre in Amazzonia. Foto di Mauricio Torres.
Articolo originale: https://news-mongabay-com.mongabay.com/2020/06/brazils-indigenous-hit-especially-hard-by-covid-19-why-so-vulnerable/