- Dei 185 casi di assassinii di ambientalisti documentati in tutto il mondo nel 2015, più della metà delle uccisioni sono avvenute in Brasile (50), nelle Filippine (33) e in Colombia (20).
- Le popolazioni indigene rappresentano circa il cinque per cento della popolazione mondiale, ma sono state vittime in quasi il 40 per cento delle uccisioni documentate nel 2015 dal Global Witness.
- Il settore dell’industria mineraria ed estrattiva è stato collegato a 42 delle uccisioni in 10 paesi.
È un duro momento per combattere nel nome dell’ambiente. Il 2015 è stato l’anno peggiore documentato fino ad ora per il numero di assassinii di persone che difendevano le loro foreste, fiumi e terre dai progetti industriali, come riferito da un rapporto pubblicato oggi dalla Global Witness, una ONG con base londinese.
Il rapporto, “On Dangerous Ground”, ha documentato 185 casi di ambientalisti uccisi in 16 paesi in tutto il mondo nel 2015. Questa è la cifra più alta dal 2002, anno in cui il Global Witness ha incominciato a raccogliere dati, e rappresenta un aumento del 59 per cento rispetto al 2014.
Secondo Billy Kyte, responsabile della campagna di Global Witness e autore del rapporto, i fattori legati a questo aumento sono il fallimento dei governi a perseguire le uccisioni.
“La maggior parte di questi crimini rimangono impuniti, il che significa che i responsabili sanno di potersela cavare. Di conseguenza, questo genera più violenza e gli attacchi sono diventati più sfrontati”, ha riferito Kyte a Mongabay per e-mail.
Nel 2015, i paesi con il maggior numero di morti erano il Brasile con 50 casi e le Filippine con 33, seguiti dalla Colombia (26), il Perù (12) e il Nicaragua (12). L’America Latina conta più dei due terzi di tutti i casi documentati lo scorso anno.
Il totale di 185 morti documentato da Global Witness è probabilmente una stima per difetto, secondo l’organizzazione. Molte morti non vengono riporate, ed altre possono non venire verificate adeguatamente. La disponibilità dei dati varia ampiamente di paese in paese, e alcuni governi potrebbero nascondere una parte della documentazione.
“La mancanza di sorveglianza e la soppressione dei media e della società civile in alcuni paesi, in particolare Asia e Africa, significa che ci siano invariabilmente più casi di quelli documentati”, secondo il rapporto.
Nonostante il limite dei dati, il Global Witness è riuscito a categorizzare molti dei casi, basandosi sulle industrie legate ai conflitti in mezzo ai quali gli ambientalisti sono stati uccisi. Le miniere e l’industria estrattiva sono tra le principali cause di questi assassinii, con 42 casi in 10 paesi, seguiti dall’agroindustria, in particolare legata all’olio di palma (20 casi), il disboscamento (15) e i progetti idroelettrici (15).
“Abbiamo visto industrie come miniere, grandi impianti idroelettrici, e business agricoli invadere sempre di più aree ricche di risorse precedentemente intatte, e scontrarsi con le comunità locali che vivono nella zona, soprattuttto indigeni”, ha affermato Kyte.
Si stima che il cinque per cento della popolazione mondiale sia indigena, ma quasi il 40 per cento delle 185 vittime riportate dal Global Witness nel 2015 appartengono a comunità indigene.
La regione del Mindanao, nel sud delle Filippine, ospita la tribù dei Lumad, una popolazione nativa. Data la presenza di vaste produzioni minerarie e agricole, è una delle regioni più pericolose al mondo per le persone che difendono la loro terra e le loro risorse con le parole o con le azioni: 25 di queste persone furono uccise nel 2015.
“Veniamo minacciati, denigrati e uccisi perchè lottiamo contro le compagnie minerarie che sono sulla nostra terra, e i paramilitari che le proteggono”, ha detto Michelle Campos in una dichiarazione.
Il 1 settembre 2015 il padre di Campos, un leader della comunità, è stato pubblicamente giustiziato a Lianga per mano di un gruppo paramilitare, di fronte alle sorelle minori di Campos e altri membri della comunità. Anche il nonno e il maestro di Campos furono uccisi. Tutti e tre avevamo protestato contro le operazioni minerarie nelle terre dei Lumad.
I membri del gruppo paramilitare avevano precedentemente minacciato le persone del luogo, consigliando loro di abbandonare l’area. All’indomani dell’attacco, si è stimato che 3000 nativi abbiamo abbandonato le loro case, secondo Global Witness.
“Mio padre, mio nonno e il mio insegnante di scuola sono solo tre delle numerose vittime”, ha detto Campos. “Conosciamo gli assassini – camminano liberamente nella nostra comunità. Stiamo morendo e il governo non fa nulla per aiutarci.”
Le triste notizie continuano nella regione di Mindanao. Diverse uccisioni tra i Lumad sono già state riportate nel 2016, secondo il Global Witness.
La morte avvenuta lo scorso marzo di Berta Cáceres, nota attivista per i diritti delle comunità indigene delle Honduras, è un brutto segno per il 2016, dichiara Kyte. Cáceres era la coordinatrice del Consiglio delle organizzazioni popolari e indigene dell’Honduras (Copinh), ed è stata insignita del Premio Goldman per l’Ambiente per aver aiutato la popolazione indigena Lenca a proteggere un fiume locale da un progetto idroelettrico.
“L’uccisione di Berta Cáceres dimostra che ora chiunque può essere un facile bersaglio”, ha detto Kyte. “Se un’attivista di cosi alto profilo è stata abbattuta a casa propria, ciò significa che gli autori delle violenze stanno diventando più audaci e che colpiscono chiunque si trovi sulla loro strada.”
Il rapporto indica una serie di consigli per compagnie, investitori, istituzioni internazionali, e soprattutto per i governi.
I governi dovrebbero incrementare la protezione dell’ambiente e degli attivisti che vengono minacciati, i crimini dovrebbero essere investigati e i responsabili portati davanti alla giustizia – aziende e politici compresi – dice Kyte. Ha anche affermato che i governi dovrebbero sostenere il consenso attivo e il diritto delle persone di dire no ai progetti nelle loro terre, se necessario.
“È importante sottolineare che [i governi] dovrebbero risolvere le cause alla base della violenza nei confronti dei difensori dell’ambiente, riconoscendo formalmente i diritti delle comunità alla loro terra, e la lotta contro la corruzione e l’illegalità che affliggono i settori delle risorse naturali “, ha detto Kyte.
Se non si agisce ci saranno gravi conseguenze, secondo il rapporto di Global Witness : “Senza tali misure, quelli in prima linea nella battaglia per salvare l’ambiente continueranno ad essere uccisi in cifre da record – e anche la speranza che abbiamo per le generazioni future sarà uccisa.”