- Un nuovo studio pubblicato il 25 febbraio ha monitorato i post su Twitter riguardanti argomenti legati alle condizioni climatiche rivelando che le persone accettano rapidamente fenomeni meteorologici inusuali come qualcosa di “normale”.
- I ricercatori hanno calcolato che noi umani definiamo la nostra “linea di partenza” per ciò che consideriamo un tempo meteorologico “normale” in base a quello che abbiamo vissuto negli ultimi due-otto anni.
- Gli autori dello studio scrivono che, man mano che le persone si abituano a oscillazioni sempre più brusche della temperatura e di altri modelli meteorologici, potrebbero diventare reticenti a trovare modi per affrontare il cambiamento climatico o addirittura a vederlo come un problema.
La ricerca sul clima ha dimostrato che il riscaldamento globale del pianeta sta portando a un’impennata nei fenomeni climatici estremi. E’ evidente che le temperature già alte sono aumentate ancora di più di quanto non abbiano fatto prima d’ora. Allo stesso tempo, in alcuni luoghi le temperature stanno scendendo al di sotto dei minimi storici e si verificano sempre più tempeste (nonostante la palese mancanza di volontà di alcune figure pubbliche di vedere queste tendenze come legate ai cambiamenti climatici).
Ora un nuovo studio ha monitorato i messaggi su Twitter relativi alle condizioni climatiche rivelando che le persone accettano rapidamente fenomeni meteorologici inusuali come un qualcosa di normale.
“Stiamo vivendo condizioni che sono storicamente estreme, ma che potrebbero non essere percepite come particolarmente inusuali se tendiamo a dimenticare ciò che è accaduto più di cinque anni fa”, Frances C. Moore, assistente professore di scienze e politiche ambientali presso l’Università della California a Davis, e autrice principale dello studio, ha commentato in una dichiarazione.
“Ciò potrebbe potenzialmente limitare l’accettazione del fatto che il clima della Terra sta effettivamente cambiando, portando a ostacoli nel trovare possibili soluzioni mirate a invertire il cambiamento climatico o a consentire di adattarci”, Moore e i suoi colleghi hanno scritto il 25 febbraio nella rivista scientifica Proceedings of the National Academy of Sciences.
“C’è il rischio che normalizzeremo rapidamente le condizioni che invece non vogliamo normalizzare”, ha detto.
Il team ha setacciato oltre 2 miliardi di tweet dai feed su Twitter di quasi 13 milioni di utenti pubblicati tra marzo 2014 e novembre 2016, alla ricerca di parole legate al clima, tra cui “snowmageddon“, “scorching” e altri 250 termini circa. I dati di geolocalizzazione dei tweet hanno mostrato ai ricercatori il modo in cui le diverse temperature influenzano ciò che gli utenti pubblicano sui loro feed.
Diverse tecnologie hanno reso possibile questo studio. I progressi nell’elaborazione di dati hanno permesso agli scienziati di modellare il clima futuro sulla base di secoli di dati disparati. Analisi migliori dei “Big data” ci hanno permesso di cercare in enormi database termini specifici e associare le parole al tempo e alla posizione geografica in cui sono stati scritte.
Infine, il rapido avanzamento degli strumenti di intelligenza artificiale consente ai ricercatori di associare termini di ricerca o commenti alle intenzioni dell’autore, attraverso una tecnologia chiamata “analisi del sentimento“. L’analisi del sentimento riconosce le emozioni umane nei dati, in particolare in quelli testuali. Questa capacità la rende uno strumento utile per le aziende che vogliono sapere come si sentono le persone riguardo i propri prodotti, i concorrenti o le tendenze del mercato.
Aiuta inoltre gli scienziati sociali a studiare come le persone reagiscono al clima, in base alle parole che scelgono nei loro tweet, e a generare quindi le tendenze, nello spazio e nel tempo, dei sentimenti nei confronti del clima.
Le temperature insolite tendono infatti ad istigare le chiacchiere sui social media – almeno all’inizio. Ma nell’arco di un periodo di alcuni anni, se quelle stesse temperature che un tempo erano considerate insolite continuano a ripetersi, i ricercatori hanno scoperto che le persone ne parlano di meno. Moore e i suoi colleghi hanno calcolato che la nostra “linea di partenza” per ciò che consideriamo normale è ciò che abbiamo vissuto negli ultimi 2-8 anni.
Lo studio ha usato “l’analisi del sentimento” anche per rivelare che temperature fredde più fredde o temperature calde più calde suscitano sensazioni negative.
“Abbiamo osservato che le temperature estreme turbano ancora le persone, ma poi smettono di parlarne”, ha detto Moore. “Le persone sembrano abituarsi ai cambiamenti che preferirebbero evitare.”
Ecco perché, ha spiegato, la normalizzazione è “un vero effetto rana bollita“. L’analogia con il principio della rana collocata in una pentola d’acqua che viene poi gradualmente riscaldata è una metafora comune – sebbene gli autori sottolineano che sia apocrifa in quanto non strettamente legata alla realtà – per comprendere la relazione dell’umanità con il cambiamento climatico. Le acque che lentamente si scaldano per la rana potrebbero diventare scomode, ma ci si abitua, a differenza di una rana che invece viene buttata in una pentola di acqua già bollente.
La rana non può, tuttavia, adattarsi alle condizioni in cui le temperature si avvicinano all’ebollizione, e quindi alla fine cuoce nell’acqua.
Gli autori sottolineano che, man mano che le persone si adattano ai modelli climatici alterati provocati da un clima che cambia, potrebbero diventare reticenti a trovare modi per affrontare il problema o addirittura a vederlo come un problema, dal momento che il loro quadro di riferimento si basa su una serie di ricordi che risalgono solo a pochi anni prima. E questo si riflette nei loro feed più silenziosi su Twitter.
“Ma solo perché non ne stanno parlando”, ha aggiunto Moore, “non significa che non li faccia stare peggio”.
Immagine di copertina dal satellite GOES-16 della NOAA, cortesia della NOAA (Dominio pubblico).
Citazioni
Moore, F. C., Obradovich, N., Lehner, F., & Baylis, P. (2019). Rapidly declining remarkability of temperature anomalies may obscure public perception of climate change. Proceedings of the National Academy of Sciences, 201816541.