- Il periodo permiano terminò circa 250 milioni di anni fa con la più grande estinzione di massa mai registrata nella storia del pianeta, quando probabilmente una serie di enormi eruzioni vulcaniche scatenarono un cambiamento climatico globale che finì per eliminare il 96 per cento delle specie marine, in un evento conosciuto come la “Grande Morìa”.
- Secondo Justin Penn, dottorando presso l'Università del Washington (UW), l'estinzione del Permiano può aiutarci a capire gli impatti del cambiamento climatico nell'epoca attuale.
- Penn ha guidato un team di ricercatori che, combinando modelli sulle condizioni oceaniche e sul metabolismo animale con dati sui processi paleooceanografici, ha mostrato come l'estinzione di massa del Permiano fu causata dalle temperature in aumento delle acque oceaniche, che a sua volta costrinse la fauna marina ad accelerare il proprio metabolismo.
Una nuova ricerca, proveniente dall’Università americana dello stato di Washington e dall’Università di Stanford, suggerisce che l’evento di estinzione di massa più disastroso nella storia antica del nostro pianeta fu causato da un riscaldamento globale che rese impossibile alla vita marina respirare.
Il periodo Permiano, l’ultimo periodo nell’era del Paleozoico, terminò circa 250 milioni di anni fa con la più grande estinzione di massa mai registrata nella storia del pianeta. Prima della comparsa dei dinosauri durante il Triassico, tra 243 e 233 milioni di anni fa, una serie di enormi eruzioni vulcaniche scatenarono un cambiamento climatico globale che portò all’estinzione del Permiano, che eliminò il 96 per cento delle specie marine, in un evento conosciuto come la “Grande Morìa”.
Secondo Justin Penn, dottorando presso l’Università del Washington (UW), l’estinzione del Permiano può aiutarci a capire gli impatti del cambiamento climatico nell’epoca attuale. Penn è l’autore principale di uno studio pubblicato su Science nel dicembre 2018, basato su ricerche precedenti effettuate da Curtis Deutsch, un professore di oceanografia presso la UW.
“Nel 2015, Curtis pubblicò uno studio che dimostrava come temperatura e ossigeno agiscano da barriere invisibili per gli habitat degli animali negli oceani moderni,” ha raccontato Penn a Mongabay. “Volevamo vedere se fosse possibile utilizzare questo stesso quadro teorico per capire il collegamento tra riscaldamento oceanico, perdita di ossigeno ed ecosistemi marini. L’estinzione di massa del Permiano ci è servita come l’esempio perfetto, perché, durante quel periodo, ci sono prove chiare di riscaldamento oceanico e perdita di ossigeno e fossili che hanno registrato la reazione della biodiversità marina.”
Penn ha guidato un team di ricercatori che, combinando modelli sulle condizioni oceaniche e sul metabolismo animale con dati sui processi paleooceanografici, ha mostrato come l’estinzione di massa del Permiano fu causata dalle temperature in aumento delle acque oceaniche, che a loro volta costrinsero la fauna marina ad accelerare il proprio metabolismo. L’aumento del metabolismo si tradusse in un innalzamento del fabbisogno di ossigeno, che tuttavia non si trovava in quantità sufficienti nelle acque ormai riscaldate. La vita marina si ritrovò così a boccheggiare.
Durante il Permiano, le terre emerse si trovavano ancora unite nel supercontinente Pangea e prima che le eruzioni vulcaniche in Siberia aumentassero la concentrazione di gas serra nell’atmosfera, le temperature delle acque oceaniche e i livelli di ossigeno erano simili a quelli odierni. I ricercatori hanno sviluppato un modello basato sulla configurazione della Terra e del clima nel Permiano, per poi aumentare, nel modello stesso, i gas serra fino a fare alzare di 10ºC le temperature della superficie delle acque oceaniche tropicali, cioè le condizioni causate dal riscaldamento globale che si stava verificando in quel periodo.
Il riscaldamento globale e la perdita di ossigeno simulati nel modello di Penn e del suo team corrispondeva alle ricostruzioni di tali cambiamenti effettuate tramite i reperti fossili della fine del periodo del Permiano. Gli oceani persero circa l’80 per cento del loro ossigeno e circa la metà dei fondali oceanici diventò totalmente asfittica, specialmente a basse profondità.
Successivamente, i ricercatori hanno utilizzato misurazioni pubblicate su 61 specie marine moderne, come crostacei, pesci, molluschi, coralli e squali, per esaminare in quale modo queste specie possano rispondere a tali condizioni di ossigeno e di temperatura. Si pensa che la fauna marina attuale possa essere in grado di sopportare temperature elevate e bassi livelli di ossigeno come gli animali del Permiano, perchè evolutesi durante condizioni ambientali simili.
“Il riscaldamento e la perdita di ossigeno avrebbero causato una perdita di habitat aerobico per la fauna marina, aumentando il suo fabbisogno di ossigeno, legato alla temperatura, nel bel mezzo di una diminuzione della disponibilità dello stesso,” ha spiegato Penn. “La ricostruzione della geografia e della severità dell’estinzione di massa che ne derivò spiega l’andamento osservato nei reperti fossili marini della “Grande Morìa”.”
In una dichiarazione, Curtis Deutsch ha spiegato che, combinando le caratteristiche delle specie con le simulazioni paleoclimatiche effettuate dal gruppo di ricerca, gli studiosi hanno potuto prevedere la geografia dell’estinzione. “Pochissimi organismi marini restarono negli stessi habitat in cui si trovavano – si trattava di fuggire o di morire,” ha detto Deutsch, uno dei coautori dello studio pubblicato su Science.
Il modello ha mostrato che gli animali presenti a latitudini elevate, lontano dai tropici, avrebbero sofferto maggiormente, perchè più sensibili ai livelli di ossigeno. Le specie con un fabbisogno di ossigeno particolarmente alto sarebbero state quasi completamente cancellate. Secondo il modello, si sarebbero estinte anche molte specie tropicali.
“Dato che il metabolismo delle specie tropicali era già adattato a condizioni relativamente calde e con poco ossigeno, questi animali si sarebbero potuti spostare e avrebbero potuto trovare le stesse condizioni da un’altra parte,” ha detto Deutsch. “Ma se un organismo era fatto per vivere in un ambiente freddo e ricco di ossigeno, allora quelle condizioni cessarono di esistere negli oceani meno profondi.”
Per verificare la previsione fatta dal modello climatico, i coautori dello studio Jonathan Payne e Erik Sperling dell’Università di Stanford si sono serviti della banca dati Paleobiology, un archivio virtuale di reperti fossili. Osservando come i fossili sono distribuiti nelle rocce di un fondale marino antico, è possibile risalire a dove gli animali vivevano prima dell’estinzione, dove sono fuggiti o se si sono estinti oppure se finirono per essere confinati a vivere in una piccola porzione del loro habitat originale. Le distribuzioni dei fossili della fine del periodo del Permiano hanno confermato che le specie più lontane dall’equatore vennero colpite in misura maggiore dall’evento di estinzione di massa.
“Il tratto distintivo di quel meccanismo di morte, riscaldamento climatico e perdita di ossigeno, è questo andamento geografico che è stato previsto dal modello e di seguito scoperto nei reperti fossili,” ha spiegato Penn in una dichiarazione. “La corrispondenza tra i due indica che questo meccanismo di riscaldamento climatico e perdita di ossigeno fu la causa principale dell’estinzione.”
Penn e i suoi coautori spiegano che anche altri cambiamenti nell’ambiente oceanico, come acidificazione o variazioni nella produttività di organismi fotosintetici, contribuirono probabilmente all’estinzione del Permiano, ma l’aumento delle temperature, responsabile dei livelli insufficienti di ossigeno, causò più della metà delle perdite di animali marini.
Ciò potrebbe aiutarci a capire come reagirebbe la fauna marina al riscaldamento globale dell’era contemporanea, ha aggiunto Penn, dato che le condizioni della fine del Permiano sono simili a quelle di oggi.
I responsabili dell’estinzione di massa del Permiano (CO2 di origine vulcanica immessa nell’atmosfera che causò un riscaldamento globale) sono simili alle emissioni di CO2 che avvengono oggi per mano dell’uomo, ha fatto notare Penn. “Questi risultati ci permettono di paragonare la portata del nostro problema moderno con l’evento di estinzione più grande nella storia del pianeta,” ha dichiarato a Mongabay. “Con uno scenario invariato, nel 2100 il riscaldamento della superficie delle acque oceaniche avrà raggiunto il 20 per cento del riscaldamento del Permiano e nel 2300 avrà raggiunto il 35-50 per cento.”
Di conseguenza, lo studio evidenzia la possibilità di un evento di estinzione di massa causato da un riscaldamento globale per mano dell’uomo, dovuto a meccanismi simili a quelli che causarono l’estinzione del Permiano, ha spiegato Penn. “In nessun modo l’oceano potrà venire raffreddato o arricchito di ossigeno, a livello globale. L’unica soluzione sostenibile per ridurre il rischio di un’ipossia legata alla temperatura è quella di fermare l’accumulazione antropogenica di CO2 nell’atmosfera.”
CITAZIONE
• Penn, J. L., Deutsch, C., Payne, J. L., & Sperling, E. A. (2018). Temperature-dependent hypoxia explains biogeography and severity of end-Permian marine mass extinction. Science, 362(6419), eaat1327. doi:10.1126/science.aat1327