- In un recente studio i ricercatori hanno utilizzato le registrazioni delle fototrappole per dimostrare che nel sud-est asiatico il bracconaggio per mammiferi e uccelli che nidificano a terra potrebbe essere una minaccia più grave della degradazione forestale.
- Hanno scelto due siti di studio nella foresta pluviale con habitat simili: il Borneo e la Catena Annamita, a sud-est del continente asiatico.
- Mentre nel Borneo il disboscamento dilagante ha raso al suolo molte foreste, l'isola ha dovuto far fronte a una diminuzione della caccia.
- Al contrario, nonostante la Catena Annamita sia stata soggetta al bracconaggio eccessivamente elevato, le foreste sono più integre dal punto di vista strutturale.
Per molto tempo il mondo ha associato la drastica diminuzione delle popolazioni della fauna selvatica del sud-est asiatico a notizie sulla degradazione forestale e a immagini strazianti di terre disboscate. Recenti studi hanno tuttavia messo in evidenza un’altra attività umana alla base del declino della fauna selvatica in questi ecosistemi.
I ricercatori del Leibniz Institute for Zoo and Wildlife Research (Leibniz-IZW) di Berlino, in collaborazione con il WWF-Vietnam, WWF-Laos e il dipartimento forestale dello Stato di Sabah nel Borneo malaysiano, ha condotto uno studio che dimostra che il bracconaggio per mammiferi e uccelli che nidificano a terra potrebbe essere una minaccia più grave della degradazione forestale. Lo studio, pubblicato il 30 ottobre 2019 nella rivista Communications Biology, confronta le registrazioni delle fototrappole provenienti dal Borneo malaysiano con un’eco-regione protetta nella Catena Annamita del Vietnam e del Laos, dove il bracconaggio è incontrollato. I risultati mostrano una perdita più rapida di specie e popolazioni di fauna selvatica nella Catena Annamita rispetto al Borneo.
I ricercatori hanno scelto i due siti di studio della foresta pluviale per la somiglianza tra gli habitat. Tuttavia, di recente sono emerse alcune differenze significative. Mentre nel Borneo il disboscamento dilagante ha raso al suolo molte foreste, l’isola ha dovuto far fronte a una diminuzione della caccia. Al contrario, nonostante la Catena Annamita sia stata soggetta al un bracconaggio eccessivamente elevato, le foreste sono più integre dal punto di vista strutturale.
Sia il disboscamento che la caccia minacciano la fauna selvatica, ma negli ultimi anni quest’ultima ha raggiunto livelli estremi.
“In una sola area protetta, le riserve naturali Hue e Quang Nam Saola, del Vietnam centrale, in pochi anni le guardie forestali hanno raccolto più di centodiecimila trappole a laccio”: questo è quanto Andrew Tilker (uno degli autori dello studio, dottorando presso il Leibniz-IZW e responsabile delle specie asiatiche presso l’ONG Global Wildlife Conservation) ha comunicato in una mail.
“Ciò non ha portato a nessuna riduzione degna di nota nell’uso complessivo alle trappole. È possibile raccoglierne centinaia in un solo giorno di camminata nella foresta. In un’area protetta in cui abbiamo lavorato sono stati cacciati quasi tutti i mammiferi più grandi di un ratto o di uno scoiattolo e ora vengono stanati gli ultimi di piccole dimensioni. È un vero e proprio collasso faunistico”.
L’utilizzo delle trappole ha condotto molte specie che vivono solo nella Catena Annamita sull’orlo dell’estinzione, come come il saola (Pseudoryx nghetinhensis) e il coniglio striato annamita (Nesolagus timminsi).
Dato che sono facili da fabbricare, le trappole sono molto diffuse, soprattutto con materiali comuni ed economici come i cavi dei freni per moto e biciclette. I cacciatori che provengono dalle comunità locali, da grandi cittadine della zona e da città più estese sostengono allo stesso modo il fiorente commercio illegale della fauna selvatica nella regione.
Secondo Tilker nella Catena Annamita c’è poca (se esiste) caccia di sussistenza.
I cacciatori e i commercianti di fauna selvatica potrebbero inviare alcune specie pregiate (come i pangolini) alle grandi città o esportarle nei mercati esteri. La maggior parte degli animali che viene catturata è destinata ai mercati locali di fauna selvatica o viene venduta direttamente ai ristoranti come selvaggina.
Tilker ha aggiunto: “In Vietnam e nel Laos la selvaggina è qualcosa di simile a uno status symbol. In parole povere, se in Vietnam appartieni alla classe alta o a quella media e vuoi vantarti con gli amici, vai a ordinare la selvaggina in un ristorante in cui la servono”.
Conferme e nuove informazioni sugli studi correlati
Anche delle ricerche precedenti nel sud-est asiatico hanno avvertito che la caccia è una minaccia più grave della deforestazione e che l’uso di trappole porta le specie all’estinzione. Lo studio attuale, in cui i ricercatori hanno quantificato la gravità delle minacce, conferma questi risultati.
“Il nostro lavoro di fototrappolaggio, applicato a una superficie di mille km quadrati sia nelle montagne annamite che in quelle del Borneo, va al di là della dell’estensione territoriale degli studi precedenti. Questo ci ha aiutato moltissimo a valutare la biodiversità in tutte le riserve forestali e nelle aree protette”: queste le parole di Andreas Wilting in una mail, scienziato presso il Leibniz-IZW e co-autore dello studio.
I dati provenienti da queste aree di grandi dimensioni hanno permesso ai ricercatori di valutare sia quali specie siano del tutto assenti in una regione o presenti in numeri così ridotti da poter essere considerate estinte a livello locale. Wilting ha aggiunto che lo studio dimostra inoltre che le specie più resistenti alla caccia hanno popolazioni inferiori nelle aree soggette a quest’ultima rispetto a quelle disboscate.
“Dal punto di vista ecologico entrambe le scoperte sono ugualmente importanti in quanto dimostrano che è impossibile che più specie resistenti assumano il ruolo ecologico di quelle scomparse, in quanto anche le specie resistenti sono influenzate negativamente dalla caccia”.
Inoltre, lo studio mette in evidenza che gli elementi connessi all’habitat che vengono osservati per il confronto, come il fogliame, non sono indici accurati della presenza delle specie nelle regioni soggette alla caccia. Secondo Wilting ciò significa che alcune specie potrebbero trovarsi anche negli habitat per i quali sono solo parzialmente adatte, se protette dalla caccia.
“A livello teorico e scientifico, si tratta di una scoperta importante in quanto valutiamo spesso la distribuzione delle specie basandoci sull’habitat adatto (ossia la copertura forestale) e i fattori relativi alla caccia vengono ignorati, in parte perché sono molto difficili da acquisire e cambiano da regione a regione”.
Mohamad Mashor Jaini, direttore del Sabah Forestry Department, ha dichiarato: “Questi risultati mostrano che le concessioni per lo sfruttamento forestale possono essere un rifugio per le comunità di mammiferi e uccelli, soprattutto se vengono applicati i protocolli per la gestione forestale sostenibile, seguendo i princìpi delle norme sulla certificazione forestale”.
Stessa attenzione alla deforestazione e alla caccia
Il co-autore Benjamin Rawson, esperto in conservazione del WWF-Vietnam, auspica una riduzione immediata della pressione antropica sulla fauna selvatica, specialmente dell’uso delle trappole.
In una mail, Rawson ha affermato che “Devono essere garantite per assicurare una presenza a lungo termine di queste specie, delle indicazioni politiche chiare e un impegno politico ad alto livello in circa i reati faunistici, sia che si tratti di prodotti di grande valore come l’avorio e il corno di rinoceronte destinati al commercio internazionale, o della vendita della selvaggina entro i confini nazionali”.
Secondo Tilker il complesso problema delle trappole deve essere affrontato da prospettive diverse. La crisi richiede la riduzione della domanda di prodotti ottenuti dalla fauna selvatica, il rafforzamento delle regole nelle aree protette e lo svolgimento di attività educative e divulgative per sensibilizzare il pubblico.
“Tuttavia, ritengo che si potrebbe discutere sul fondamentale cambiamento di paradigma nella comunità ambientalista, in cui la lotta contro la caccia di frodo viene trattata con lo stesso livello di urgenza come la protezione dell’habitat della foresta tropicale. Per decenni la comunità ambientalista ha sottolineato che la salvaguardia dell’habitat della foresta pluviale tropicale è uno dei mezzi fondamentali per la difesa della biodiversità. Ovviamente questo è importante”, ha aggiunto Tilker. “Ma il solo mantenimento della copertura forestale non è sufficiente. È possibile che alcune foreste pluviali tropicali siano incontaminate ma comunque vuote”.
Wilting è d’accordo e ha affermato: “Abbiamo bisogno di assistere a un cambiamento per quanto riguarda i fondi governativi e quelli per gli aiuti allo sviluppo su larga scala, passando dalla protezione delle foreste e degli habitat alla tutela della diversità vera e propria”.
Immagine nel banner della degradazione forestale causato dello sfruttamento forestale selettivo di Andrew Tilker.
Nanditha Chandraprakash è una scrittrice appassionata di fauna selvatica, cambiamento climatico e conservazione ambientale. Questo è il suo profilo Instagram: @ayellowmoon.
Fonti:
Tilker, A., Abrams, J. F., Mohamed, A., Nguyen, A., Wong, S. T., Sollmann, R., … Wilting, A. (2019). Habitat degradation and indiscriminate hunting differentially impact faunal communities in the Southeast Asian tropical biodiversity hotspot. Communications Biology, 2(1), 396. doi:10.1038/s42003-019-0640-y
Articolo originale: https://news-mongabay-com.mongabay.com/2019/12/illegal-hunting-a-greater-threat-to-wildlife-than-forest-degradation/