- In una nuova ricerca volta a capire se alcune specie selvatiche fossero più colpite di altre dalla perdita di habitat, è emerso che i più colpiti sono i predatori. Ciò era prevedibile ma i risultati dello studio hanno riservato alcune sorprese.
- Siccome con la perdita di risorse vegetali i grandi predatori fanno più fatica a trovare cibo a sufficienza, i ricercatori ritenevano che le conseguenze peggiori delle variazioni d'uso delle aree in cui cacciano tali animali si sarebbero fatte sentire proprio su di loro.
- L'analisi ha dimostrato che la perdita di habitat influisce effettivamente più sui predatori che su altre specie animali ma ha anche rilevato che i declini maggiori non riguardano i carnivori più grandi. Sono i piccoli invertebrati a farne maggiormente le spese.
In una nuova ricerca volta a capire se alcune specie selvatiche fossero più colpite di altre dalla perdita di habitat, è emerso che i più colpiti sono i predatori. Era prevedibile ma i risultati dello studio hanno riservato alcune sorprese.
Il team di ricerca guidato da Tim Newbold della University College London (UCL) intendeva capire se fossero veramente le popolazioni di carnivori e di animali di grandi dimensioni a pagare le conseguenze maggiori della perdita di habitat dovuta ad attività umane come l’urbanizzazione o la conversione del terreno per fini agricoli. Siccome con la perdita di risorse vegetali i grandi predatori fanno più fatica a trovare cibo a sufficienza, i ricercatori ritenevano che le conseguenze peggiori delle variazioni d’uso delle aree in cui cacciano tali animali si sarebbero fatte sentire proprio su di loro.
Per verificare la loro ipotesi, Newbold e il suo team hanno utilizzato una banca dati contenente più di un milione di dati relativi alla diffusione di oltre 25.000 specie che vivono in habitat naturali come la foresta primaria e in habitat in cui è presente l’essere umano, dalle aree coltivate in modo intensivo alle città, in 80 paesi di tutto il mondo. Dopo aver suddiviso gli animali in gruppi sulla base delle loro dimensioni, della distinzione tra sangue caldo e freddo nonché sulla base della dieta onnivora, carnivora o erbivora, i ricercatori hanno analizzato i dati per capire se, in linea generale, il declino dei grandi carnivori sia più marcato rispetto a quello di altri animali quando l’habitat viene danneggiato o distrutto.
L’analisi ha dimostrato che la perdita di habitat influisce effettivamente più sui predatori che su altre specie animali ma ha anche rilevato che i declini maggiori non riguarda i carnivori più grandi. Sono i piccoli invertebrati a farne maggiormente le spese. I risultati della ricerca sono illustrati in modo dettagliato in uno studio pubblicato nella rivista Functional Ecology.
“Quando parliamo di predatori, pensiamo solitamente ai grandi animali come i leoni o le tigri. Il declino di questi grandi predatori in seguito alla perdita dell’habitat non è stato così marcato come ci saremmo aspettati e riteniamo che ciò sia dovuto al fatto che il loro numero era già calato a causa delle attività umane svolte in passato (come la caccia)”, ha dichiarato Newbold in una dichiarazione. “Sono invece i piccoli predatori (come i ragni e le coccinelle) a far registrare il declino maggiore”.
Secondo lo studio, la conversione dell’habitat colpisce in modo eccessivo anche gli animali a sangue freddo come gli invertebrati, i rettili e gli anfibi (ectotermi di piccole dimensioni), i mammiferi e gli uccelli (endotermi di grandi dimensioni) e gli animali che mangiano funghi (fungivori). Per tutti questi gruppi è stato registrato un calo nel numero degli esemplari compreso tra il 25% e il 50% nelle aree occupate dall’essere umano, rispetto alle popolazioni che vivono in habitat naturali.
Si tratta di risultati importanti, fanno notare i ricercatori, perché gli ecosistemi necessitano di un equilibrio tra le diverse specie animali per funzionare correttamente e, con perdite eccessive al vertice della catena alimentare, la distruzione degli habitat sembra compromettere tale equilibrio.
“Dai risultati, secondo i quali certi gruppi funzionali sono notevolmente più avvantaggiati di altri nelle aree occupate dagli esseri umani, emerge una sostanziale ristrutturazione delle comunità ecologiche”, scrivono nello studio i ricercatori. “Siccome i vari gruppi funzionali apportano contributi particolari ai processi ecologici, è probabile che il funzionamento degli ecosistemi sia influenzato in modo considerevole”.
Newbold ha avvertito che lo studio è stato influenzato in modo negativo dai dati disponibili, in quanto lui e i co-autori vi hanno riscontrato alcune lacune significative dal punto di vista dell’oggettività. Ad esempio, non sono disponibili campioni a sufficienza su diversi gruppi di animali in ampie parti dell’Asia, mentre gli uccelli sono i meglio rappresentati tra i vertebrati e gli insetti i meglio rappresentati tra gli invertebrati.
“Così come avviene per tutti gli studi di carattere globale, la ricerca ha una portata limitata a causa della disponibilità di informazioni sul luogo in cui vengono osservati gli animali e sulla loro dieta,” ha detto. “Siamo stati in grado di ottenere informazioni sul maggior numero di animali mai visto prima, ma si trattava comunque di una quantità pari a circa 1 animale su 100 tra quelli noti alla scienza”.
CITAZIONE
• Newbold, T., Bentley, L. F., Hill, S. L., Edgar, M. J., Horton, M., Su, G., … & Purvis, A. (2020). Global effects of land use on biodiversity differ among functional groups. Functional Ecology. doi:10.1111/1365-2435.13500
Articolo originale: https://news-mongabay-com.mongabay.com/2020/03/predators-disproportionately-impacted-by-human-land-use-changes-study-finds/