- Il Global Rewilding Alliance e l’ OpenForests hanno ufficialmente lanciato la mappa dei progetti di rewilding (dall’inglese, rinaturazione) in tutto il mondo.
- Le organizzazioni hanno contribuito ai progetti attraverso storie, foto e video in 70 paesi, coprendo un’area di 1 milione di chilometri quadri (386.000 miglia quadrate); i leader dell’alliance annunciano che verrà fatto di più.
- Il rewilding è un tipo di restauro ecologico che ha l’obiettivo di restaurare le dinamiche e i processi naturali degli ecosistemi.
- I sostenitori di questo approccio sostengono che esso abbia la potenzialità di affrontare sia la perdita della biodiversità che il cambiamento climatico.
L’ultimo decennio ha visto il ritorno del bisonte europeo (Bison bonasus) nell’Europa centrale e orientale. I cacciatori, circa un secolo fa, ne avevano ucciso l’ultimo esemplare noto nella regione. Tuttavia, grazie ai programmi di reintroduzione nella Bielorussia, in Polonia, in Russia e in Romania, il numero dei bisonti vivi risulta ad oggi quasi quattro volte tanto quello registrato nel 2003. Tale aumento, che ammonta a circa 7.000 animali, è bastato a far sì che l’IUCN abbassasse nel 2020 lo stato di conservazione del bisonte europeo da vulnerabile a quasi minacciato.
La più grande mandria vagante della Romania vive nelle montagne dei Carpazi meridionali, che si estendono basse ricoperte da una fitta foresta antica. La reintroduzione del bisonte, compresa l’aggiunta recente di due maschi e sei femmine nel 2020, deriva dalla collaborazione tra il WWF della Romania e il Rewilding Europe, un’organizzazione non-profit che ha sede nei Paesi Bassi. È anche una delle dozzine di progetti esposti nella nuova mappa dal Global Rewilding Alliance che è stato ufficialmente lanciato lo scorso 11 aprile.
“Non sapevo che [il bisonte selvatico] circolasse in Romania,” ha dichiarato Alexander Watson, CEO dell’OpenForests, un’impresa sociale che ha sede in Germania e che ospita la mappa del progetto di rewilding.
Watson ha dichiarato che i dettagli di questo tipo di progetti sono ora visibili al pubblico e ad altre organizzazioni attraverso la mappa, che offre non solo delle idee ma anche la prova di ciò che è possibile realizzare attraverso i progetti di restaurazione delle funzioni delle aree naturali. Le organizzazioni membri del Global Rewilding Alliance possono pubblicare nella mappa foto, video e storie dei loro progetti. Per farne parte, i gruppi devono aderire all’atto costitutivo dell’Alliance, che definisce il rewilding come l‘aiutare la natura a guarire’.
Ad oggi, la mappa include progetti di rewilding in oltre 70 paesi, abbracciando un’area di 1 milione di chilometri quadri (386.000 miglia quadrate). L’auspicio, secondo i leader del Global Rewilding Alliance, è di aggiungerne altri nei prossimi 10 anni. I tempi coincidono con quelli del Decennio di ripristino degli ecosistemi dell’ONU, che ha l’obiettivo di fermare e invertire la degradazione degli ambienti terrestre e marino fino al 2030.
“Una mappa è la base ideale in cui abbinare la narrazione di storie con i dati”, ha spiegato Watson. E ancora: “non solo crea l’ispirazione, ma da anche l’impressione che qualcosa vi stia realmente accadendo”.
Tale piattaforma, per esempio, fornisce la trasparenza con cui informare il mercato dei crediti del carbonio, ha affermato l’OpenForests. Fanno notare inoltre che la piattaforma explorer.land, su cui la mappa è costruita, comprende strati di carbonio del suolo e di copertura forestale, aggiungendo così ulteriori informazioni sull’impatto di questi progetti. Uno strato comprenderà anche le storie di rewilding geolocalizzato di Mongabay.
Vance Martin, presidente della WILD Foundation che ha sede negli Stati Uniti, ha dichiarato che la portata dei progetti di rewilding va dalla tutela dei “bozzoli” in India iniziata con il rewilding di 42 ettari (105 acri di appezzamento agricolo) al fine di collegare l’ habitat delle tigri, agli sforzi per risparmiare una sezione no-take gigantesca dell’Oceano Pacifico dall’estensione di 520.000-km2 (200.000-miglia2).
La mappa presenta in primo piano ai visitatori del sito web le storie di come questo tipo di restauro si sviluppi e il perché sia importante “renderle più tangibili” a chi vive lontano da queste aree del pianeta, ha spiegato Watson.
E ha aggiunto: “Ritengo che la gente protegga solo ciò che può vedere e conoscere”.
È anche un modo per introdurre a un pubblico più ampio il concetto del rewilding, cioè del permettere alla natura di riprendersi il controllo. Questo termine risale alla fine degli anni ’90, quando due scienziati, Michael Soulé e Reed Noss, introdussero il rewilding come un concetto incentrato sulla restaurazione della natura selvaggia e sul ritorno nel paesaggio di animali grossi, soprattutto carnivori.
Questo concetto, pur allargatosi negli ultimi due decenni e mezzo, si basa sul permettere alla natura di fare da guida e di ripristinare i processi naturali anziché uno stato fisso dell’ecosistema.
Un ecosistema “non è qualcosa di statico”, ha spiegato a Mongabay Andrea Perino, ecologista e coordinatore politico presso il Centro Tedesco per la Ricerca Integrativa sulla Biodiversità, aggiungendo: “è una cosa dinamica”.
In un articolo pubblicato sulla rivista a 2019 paper in the journal Science nel 2019, Perino e colleghi, alle prese con le sfide che comporta il rewilding, individuano tre elementi nelle dinamiche interne degli ecosistemi funzionanti. Primo: la catena alimentare è complessa. Gli esseri umani hanno spesso minato questa complessità, talvolta attraverso la rimozione completa di quegli animali che hanno un effetto a catena su altre specie, come nel caso del bisonte dell’Europa orientale.
Secondo, le dinamiche ecologiche dipendono a volte da casuali sconvolgimenti naturali del paesaggio, quali gli incendi, che ridistribuiscono gli equilibri tra le specie. Tuttavia, in molti luoghi del mondo, gli esseri umani hanno cercato di contenere o eliminare tali forze.
Terzo, le specie hanno bisogno di essere capaci di muoversi ed espandersi, in modo da non sovrappopolare un’area col pericolo di gravare troppo sulle sue risorse. La “dispersione”, come la chiamano gli scienziati, aiuta anche ad evitare l’inincrocio e la competizione tra le specie. Ma ancora una volta, gli esseri umani hanno bloccato la fauna selvatica, ostacolando questa componente del flusso dell’ecosistema.
Il recupero dei suddetti elementi è ciò che differenzia il rewilding da altri tipi di ristorazione. L’approccio si fonda sul presupposto che la natura può guarire se’ stessa se le si dà l’opportunità.
“La natura sa cosa fare e lo ha saputo da milioni di anni”, ha dichiarato in una email Laurien Holtjer, Direttore della Comunicazione presso il Rewilding Europe.
Karl Wagner, scienziato e co-direttore del Global Rewilding Alliance, ha affermato che gli studi hanno dimostrato come occorra un’area ben più ampia in cui predomini la natura se vogliamo fermare la perdita della biodiversità o ridurre la quantità di carbonio nell’atmosfera per limitare gli effetti del cambiamento climatico.
“Non possiamo raggiungere i nostri obiettivi climatici senza una buona dose di ristorazione e soprattutto di rewilding,” ha dichiarato Martin.
Un filone di ricerca recente ha visto dei ricercatori fare appello all’animazione del ciclo del carbonio,” che collega l’importanza dell’avere ecosistemi intatti ricchi di biodiversità con l’affrontare il cambiamento climatico. Attraverso il foraggiamento, lo sconvolgimento del suolo e la dispersione dei semi, gli animali supportano l’abilità delle piante di assorbire il carbonio. Gli scienziati hanno dimostrato che, se si permettesse agli elefanti delle foreste di tornare al numero in cui esistevano prima della diffusione della caccia, le foreste del Bacino del Congo strapperebbero all’atmosfera oltre 85 milioni di tonnellate metriche di carbonio, il che equivale a quanto la Francia emette ogni anno attraverso la combustione di combustibili fossili.
Eccovi 5 motivi per celebrare il Rewilding day:
Perché si facciamo il rewild
1. Stabilizzare il clima
Il rewilding crea lo spazio necessario agli animali per prosperare, e si da il caso che siano proprio loro gli esperti in materia di sequestro del carbonio ai fini della stabilizzazione del clima.
2. Fermare l’estinzione. Le popolazioni indigene, pur costituendo meno del 5% della popolazione terrestre, gestiscono l’80% della biodiversità globale. Ripristinando i luoghi naturali e sostenendo le popolazioni indigene, possiamo proteggere un numero incredibile di specie.
3. Investire nel business: il rewilding non fa bene solo al pianeta ma anche al business
4. Per le persone: dalla fornitura di cibo alla spinta alle economie globali, il rewilding, in un modo o nell’altro, aiuta ogni persona del pianeta.
5. Ricambiamo il favore: la natura ha supportato, nutrito e ispirato gli esseri umani in tutta la nostra storia. Tocca ora a noi supportarla attraverso il rewilding.
“Il bello di mettere ciò sulla mappa sta nel potere assegnare alla biodiversità un valore basato sul carbonio, cosa questa che non è stata mai fatta finora”, ha dichiarato Magnus Sylvén, biologo e co-direttore del Global Rewilding Alliance. “Si può assegnare un valore basato sul carbonio al recupero delle balene, dei gnu, dei castori e degli squali.”
Il segreto è quello di lasciare che la natura prenda il controllo e ci guidi verso la realizzazione di ecosistemi sani, ha dichiarato Wagner.
“Ciò non vuol dire che l’uomo debba rimanerne fuori”, ha precisato Wagner, “bensì che la natura ha la priorità”.
Le comunità indigene in particolare hanno da tanto tempo usato le foreste mondiali, le praterie e gli ambienti marini. Oggi, una abbondante mole di ricerca dimostra che gli ambienti terrestri e marini governati dalle comunità indigene sono spesso più sane delle aree convenzionalmente protette. Tuttavia, gli scettici esprimono la preoccupazione che il rewilding, lungo il cammino verso il ripristino della natura, possa intralciare i bisogni dell’uomo.
Holtjer ha affermato che i progetti di rewilding devono riconoscere il ruolo che questi gruppi hanno.
“Il rewilding abbraccia il ruolo della gente e dei loro legami culturali ed economici con il territorio”, ha spiegato. “Si tratta di trovare modi di vivere e lavorare all’interno di ecosistemi naturali sani e vivaci, riconnettendosi con la natura selvaggia”.
È proprio la possibilità di cambiare il pianeta in meglio ad eccitare i tanti sostenitori del rewilding.
“Ciò che amo di questa piattaforma è che essa mostra gente che agisce”, ha affermato Heather Campbell, amministratrice delegata del Bush Heritage Australia. E ancora: “Ci assicuriamo di avere nei territori delle specie che abbiano la potenzialità di prosperare in futuro”.
In uno dei progetti del Bush Heritage nell’Australia occidentale, il gruppo ha lavorato per ripristinare gli ecosistemi attraverso la vegetazione nativa, sperando che questa possa favorire il ritorno di specie native quali quella del possum pygmy (Cercartetus concinnus). Quattro delle cinque specie di questa famiglia di marsupiali tascabili, dal peso pressoché equiparabile a quello di una pallina da golf, vivono soltanto in Australia, e il loro numero è scemato da quando gli europei sono arrivati nel continente. Conigli, gatti, volpi ed altre specie ivi introdotte hanno alterato l’habitat naturale, mentre gli esseri umani hanno cambiato il modo in cui gli incendi hanno modellato storicamente il paesaggio.
Oltre a cercare di eliminare le suddette minacce, il Bush Heritage ha collocato delle cassette nido sperando che le famiglie possum potessero prendervi dimora. Campbell visitò il sito nel 2021 insieme all’ecologista del team per vedere se i loro sforzi avevano fatto la differenza. La prima cassetta risultò vuota, mentre la seconda albergava soltanto una colonia di ragni-cacciatori.
Quando però aprirono la terza cassetta nido, “ecco che fecero capolino due piccoli cuccioli”, ha raccontato. Quel momento ha coronato l’obiettivo del rewilding, validando il lavoro del team.
“Abbiamo realizzato l’habitat giusto, e questo ci ha regalato un giorno memorabile” ha concluso Campbell.
Citazioni:
Perino, A., Pereira, H. M., Navarro, L. M., Fernández, N., Bullock, J. M., Ceaușu, S., … Wheeler, H. C. (2019). Rewilding complex ecosystems. Science, 364(6438), eaav5570. doi:10.1126/science.aav5570.
Soulé, M., & Noss, R. (1998). Rewilding and biodiversity: Complementary goals for continental conservation. Wild Earth, 8, 18-28. Retrieved from https://rewilding.org/wp-content/uploads/2012/04/RewildingBiod.pdf.
Immagine del banner:Musk oxen in a field. Foto di cortesia del Global Rewilding Alliance.
John Cannon è inviato speciale di Mongabay. Lo si può trovare su Twitter: @johnccannon
Articolo originale: https://news-mongabay-com.mongabay.com/2022/04/nature-has-priority-rewilding-map-showcases-nature-led-restoration/