La cattura accessoria di animali marini attraverso la pesca commerciale è un grave problema ambientale a livello globale con il 40 percento del totale della pesca oceanica di tutto il mondo che ogni anno viene buttato via.Quasi 29 milioni di tonnellate di fauna selvatica indesiderata composta da uccelli, mammiferi e tartarughe marine, innumerevoli specie di pesci, razze e cefalopodi trova la morte come cattura accessoria ingoiando esche all’amo o rimanendo intrappolata nelle reti.La Namibia, la cui pesca un tempo era famosa per essere “la peggiore al mondo” in termini di cattura accessoria di uccelli marini, sta affrontando questo problema. Sui suoi 70 pescherecci da traino e 12 pescherecci a palangari, infatti, sono stati installati dei cavi scaccia-uccelli e altri sistemi a basso costo per ridurre la cattura accessoria di uccelli marini, che ogni anno uccideva più di 30.000 volatili.Il “Meme Itumbapo Women’s Group”, un gruppo di donne famoso per le collane e altri gioielli fatti con le conchiglie, oggi produce in maniera sostenibile e vende cavi scaccia-uccelli dal quartier generale “Bird’s Paradise,”a Walvis Bay, in Namibia. Si spera che questi sforzi congiunti riducano la cattura accessoria di uccelli marini dell’85-90 percento nell’immediato futuro. Un giovane albatros dalle sopracciglia nere agganciato da un amo innescato. L’animale è stato poi rimesso in libertà dall’Albatross Task Force. Foto gentilmente concessa dall’Albatross Task Force. Diversi anni fa seguii mio cugino, ufficiale su un peschereccio sportivo, in una battuta di pesca a largo della costa della Carolina del Nord. Nella speranza di catturare pesci persici, utilizzavamo lenze da traina innescate. Mentre mi trovavo nella timoniera, sentii uno dei tre clienti paganti pronunciare una solenne imprecazione. Guardai a poppa e vidi un grande uccello bianco dimenarsi nell’acqua: si era immerso per catturare una delle esche vive ed era rimasto agganciato all’amo. Il cliente strattonò con rabbia la canna da pesca, tirando su l’animale in difficoltà, una sula bassana. Non appena fu sul ponte, ci accertammo che l’uccello aveva ingoiato l’amo. Il capitano avanzò rapidamente per tagliare la lenza e gettare l’uccello, ormai spacciato, in mare ma, prima che potesse agire, chiesi di poterlo esaminare. Me lo passò, cinquecento grammi che si dimenavano, scalciavano e battevano le ali. Il viso dell’animale, ora così vicino al mio, era straordinario: il becco che martellava disperatamente come uno scalpello, una sfumatura di grigio giusto sopra la testa e due occhi fissi bianchi cerchiati da un turchese meraviglioso. Con l’aiuto del capitano, gli spalancai il becco e scoprii che non aveva ingoiato l’amo, bensì gli era rimasto in gola. Con una pinza, riuscii a raggiungerlo attraverso la bocca, che emetteva vocalizzi all’impazzata, lo afferrai e, con un veloce movimento all’indietro, lo tirai via. Immediatamente, e con una gioia inaspettata, il capitano lanciò l’uccello in aria e, in silenzio, tutti lo guardammo allontanarsi da noi alla massima velocità. Il cliente che si era mostrato così infastidito dall’interruzione subìta dalla sua attività di pesca a causa dell’uccello, esclamò a bassa voce: “Caspita, è stato…davvero forte.” Purtroppo questa sula bassana è stata una delle poche vittime della cattura accessoria che se l’è cavata. La maggior parte dei miliardi di animali raccolti per sbaglio da pescatori professionisti e pescatori sportivi muore. Nella lontana Namibia, però, hanno trovato una semplice soluzione a questo problema che dovrebbe essere d’ispirazione e d’esempio a tutto il mondo. L’albatros di Tristan (Diomedea dabbenena), in “pericolo critico.” Secondo lo IUCN, le popolazioni riproduttive sono confinate sull’isola Gough, a circa 2.000 miglia a sudovest della Namibia: gli esemplari adulti sorvolano diverse centinaia di miglia di acque di pesca a largo della costa namibiana. La principale minaccia per queste specie è la pesca con palangari. Foto michael clarke stuff Creative Commons Attribuzione condividi allo stesso modo 2.0 generica Lo spreco della cattura accessoria La cattura accidentale di animali marini attraverso la pesca commerciale è un problema globale molto grave ma largamente trascurato: uno scioccante 40 percento della cattura della pesca marina di tutto il mondo ogni anno viene buttato via. Si tratta di quasi 29 milioni di tonnellate di fauna selvatica indesiderata, uccelli, mammiferi e tartarughe marine, innumerevoli specie di pesci, razze e cefalopodi, che inavvertitamente trovano la morte ingoiando ami innescati o restando intrappolati nelle reti. A questa cattura accessoria, conosciuta anche come “bycatch,” spetta una sorte simile a quella quasi capitata alla nostra sula bassana. Tutti i 29 milioni di tonnellate di animali marini vengono infatti buttati in mare, morti o moribondi: uno spreco tremendo di fauna selvatica che fino a poco tempo fa era dato quasi per scontato. Oggi, invece, alcuni governi, grazie a una sempre maggiore consapevolezza della devastazione causata dai metodi tradizionali di pesca, stanno cominciando a obbligare i pescatori commerciali, e talvolta anche quelli sportivi, ad applicare ai loro equipaggiamenti dei dispositivi creati appositamente per ridurre una tale, assurda perdita di vite. Un albatros beccogiallo (Thalassarche chlororhynchos) dell’Atlantico, specie “in pericolo”. Ogni anno, innumerevoli uccelli marini sono vittime della cattura accessoria o “bycatch”, nonostante esistano dispositivi piuttosto semplici ed economici che possono evitarne la morte. Foto di JJ Harrison, Creative Commons Attribuzione condividi allo stesso modo 3.0 Il TED, o Turtle Excluder Device, un dispositivo che esclude le tartarughe, ad esempio, negli Stati Uniti è obbligatorio dal 1987: le reti delle navi che pescano gamberetti devono avere una griglia di metallo che consente il passaggio dei gamberetti ma blocca le tartarughe, gli squali e altri animali più grandi che, altrimenti, diventerebbero cattura accessoria. La griglia consente agli animali indesiderati di fuggire incolumi attraverso un’apertura nella parte superiore o inferiore della rete. Si tratta di un traguardo tecnologico promettente per un paese così ricco che per molto tempo ha trascurato il problema della cattura accessoria. I paesi in via di sviluppo invece, che dal punto di vista finanziario sono messi male, si sono dotati di equipaggiamenti per la prevenzione della cattura accessoria molto lentamente, o hanno avuto bisogno di tempo prima che i programmi governativi ne rendessero obbligatoria l’installazione e venissero accettati dai pescatori tradizionali e spesso molto conservatori. La Namibia paese pioniere nella lotta alla cattura accessoria di uccelli marini La semisconosciuta Namibia, in Africa sudoccidentale, potrebbe essere benissimo il paese attualmente più avanzato in fatto di protezione degli uccelli marini: un dato interessante, se si considera che un tempo la sua pesca era conosciuta come la “peggiore al mondo” in termini di cattura accessoria di volatili. I pescatori namibiani, di solito, danno la caccia al nasello, un pesce simile al merluzzo, che costituisce quasi il 50 percento dell’industria ittica del paese e che frutta 11 miliardi di dollari namibiani (845 milioni di dollari americani). Purtroppo, durante il processo di pesca, vengono catturati accidentalmente e uccisi più di 30.000 uccelli marini all’anno, compresi l’albatros di Tristan (classificato nella lista rossa IUCN come “in pericolo critico”), l’albatros beccogiallo dell’Atlantico (“in pericolo”), l’albatros sopracciglio nero e l’albatros cauto (entrambi “quasi minacciati”), la procellaria mentobianco e la sula del Capo (entrambi “vulnerabili”). Gli albatros sono la famiglia di uccelli più minacciata al mondo e, al livello di cattura accidentale raggiunto dalla Namibia, l’industria ittica di questo paese stava per diventare una delle prime cause a portare questa specie verso l’estinzione. Samantha Matjila si prepara per andare in mare: ha trovato i pescatori namibiani disposti ad accettare l’utilizzo di nuovi dispositivi per prevenire la cattura accessoria. Foto gentilmente concessa dall’Albatross Task Force Samantha Matjila fa parte della Namibia Nature Foundation, che rappresenta il suo paese all’interno dell’Albatros Task Force (ATF) composta da Argentina, Brasile, Cile, Ecuador, Uruguay, Sudafrica e, appunto, Namibia. La scorsa primavera, Matjila è entrata a far parte di un programma che l’ATF, accolta da BirdLife International, porta avanti in Namibia dal 2008 e che è stato rafforzato da nuove regolamentazioni, introdotte dal governo namibiano nel 2014, che impongono a tutti i pescherecci l’uso di equipaggiamenti per abbattere la cattura accessoria e che prevedono multe di 500,000 dollari namibiani (38.400 dollari americani) e fino a dieci anni di carcere per i trasgressori. Il compito di Matjila è mostrare ai pescatori come installare i vari dispositivi che evitano la cattura accessoria alle attrezzature da pesca dell’imbarcazione e poi accompagnarli in mare per mostrare loro il funzionamento pratico dei vari arnesi. I dispositivi anti-bycatch sono piuttosto semplici e facili da usare: tra questi ci sono i cavi “scaccia-uccelli” (noti anche come cavi tori o “streamers”) utilizzati dai 70 pescherecci da traino a disposizione del paese. I cavi scaccia-uccelli, assieme a palangari zavorrati e tecniche di innesco notturne, vengono utilizzati anche dai 12 pescherecci a palangari namibiani. Gli albatros, che talvolta vivono fino a 60 anni, si impigliano e annegano quando attaccano un amo innescato prima che questo possa andare più a fondo di quanto loro possano immergersi. Il cavo scaccia-uccelli è formato da una corda lunga 150 metri sulla quale sono piazzate delle bandierine dai colori sgargianti ogni due o tre metri. I palangari zavorrati, invece, prevedono, l’aggiunta di zavorre a ogni lenza in modo che l’esca vada a fondo più rapidamente mentre si cala il palangaro, un cavo principale lungo chilometri che può avere fino 2.500 ami innescati attaccati a cavi secondari più corti. Questi palangari vengono calati anche di notte per evitare la cattura accessoria di albatros diurni. Pescatori namibiani sbrogliano dei cavi “scaccia-uccelli” e si preparano a utilizzarli. Foto gentilmente concessa dall’Albatross Task Force Lungo il confine con il Sudafrica, dove l’ATF lavora con i pescatori dal 2006 utilizzando le stesse semplici tecniche, ci sono stati dei risultati positivi sorprendenti con una diminuzione della cattura accessoria di uccelli marini di oltre il 90 percento. Anche in Namibia è stato raggiunto un successo simile: qui l’ATF spera di arrivare a una riduzione dell’85-90 percento della cattura accessoria nel prossimo futuro. Matjila racconta che l’ATF nel 2008 ha cominciato a lavorare con pescatori namibiani volontari. “Allora non conoscevamo l’impatto della pesca namibiana, ma sapevamo che la zona in cui si trovavano gli albatros e la zona in cui i pescherecci piazzavano gli ami coincidevano. Sapevamo anche che esistevano misure pratiche e semplici per ridurre la morte degli uccelli marini.” E per quanto riguarda le reazioni ostili alle nuove regolamentazioni (qualcosa a cui si era assistito nei primi tempi dell’introduzione dei TED negli Stati Uniti)? “Avendo lavorato con i pescatori e avendo preso parte alle loro discussioni sulle leggi sulla la cattura accessoria, possiamo dire con certezza che sì, le stanno accettando poiché si rendono conto dei benefici apportati dalle misure di mitigazione,” ci ha risposto Matjila. Dopo essere stati certificati dall’ATF, i pescatori commerciali namibiani vengono controllati a bordo delle loro imbarcazioni dagli agenti della National Fisheries Observer Agency. Oliver Yates, coordinatore della Global Albatross Task Force, che fa parte del network BirdLife International, ha affermato che oggi “quasi il 100 percento delle imbarcazioni ha a bordo degli osservatori. Si tratta di una copertura particolarmente buona che fa della Namibia l’esempio perfetto di come le cose potrebbero/dovrebbero funzionare come si deve” in tutto il mondo. Il Meme Itumbapo Women’s Group e i loro cavi scaccia-uccelli fatti a mano. Foto gentilmente concessa da BirdLife International Salvare gli uccelli con un’economia sostenibile Non sono solo gli uccelli a trarre benefici dal programma portato avanti dalla Namibia. Stando a quanto dice Matjila “le aziende di pesca acquistano i cavi scaccia-uccelli prodotti da un’organizzazione del posto chiamata ‘Meme Itumbapo Women’s Group,’ un consorzio di cinque donne di età compresa tra il 33 e i 47 anni che ricava un piccolo guadagno dalla vendita di gioielli tradizionali. Oggi queste donne producono e vendono i cavi scaccia-uccelli ai pescherecci a palangari e da traino dal loro quartier generale ‘Bird’s Paradise,’ nella città costiera di Walvis Bay. “Queste donne ricevono finanziamenti da un’autorità portuale namibiana indipendente, Namport, e noi stiamo lavorando per far diventare il loro consorzio un’impresa sostenibile che rifornisca la pesca di cavi scaccia-uccelli a un buon prezzo,“ ha aggiunto Matjila. Queste lavoratrici instancabili e flessibili sono passate senza difficoltà dall’intreccio di meravigliose collane fatte di conchiglie alla fornitura del dieci per cento (finora) degli equipaggiamenti necessari alla flotta da pesca namibiana per salvare gli uccelli: un esempio di conservazione sostenibile e a basso costo, oltre che di parità di genere. Ora la promessa dell’ATF è che “nei prossimi due anni i loro cavi fatti a mano sul posto, di qualità e a buon prezzo verranno lanciati dalla parte retrostante di sempre più pescherecci namibiani.” Un albatros cauto (Thalassarche cauta), specie “quasi minacciata”. Foto di JJ Harrison, JJ Harrison, Creative Commons Attribuzione condividi allo stesso modo 3.0 unported Clemens Naomab è stato uno dei primi formatori namibiani contro la cattura accessoria. Ci racconta come ha conquistato la fiducia di pescatori indipendenti, dalla mentalità chiusa: “ai namibiani piace guardare il calcio europeo, in particolare la premier league inglese. La maggior parte dei nostri rapporti è nata condividendo storie di calcio. Quando hai un buon rapporto con i pescatori, diventa più facile comunicare con loro.” Grazie alla lingua universale dello sport, Naomab ha superato le barriere e ha conquistato la fiducia dei pescatori, che hanno appreso velocemente le sue lezioni utili e istruttive, diventando padroni delle abilità necessarie a salvare gli uccelli marini. “Appena vengono spiegate loro le procedure e cosa devono fare, quasi tutti i pescatori adottano subito le misure,” ci riferisce. E aggiunge: “ ho sempre amato la natura e tutto ciò a essa connesso,” e per questo ha accettato con entusiasmo l’incarico all’ATF, pur pentendosene, all’inizio, dopo essersi accorto di soffrire di mal di mare. Oggi ride sopra quei primi giorni di sofferenza in mare e li descrive: “i primi viaggi in mare sono stati duri perché mi sentivo male molto spesso. All’inizio non sapevo nulla sugli uccelli marini e non avrei mai immaginato che mi sarei occupato di loro. Con il passare del tempo invece, mi sono accorto della bellezza e della maestosità di queste creature e, alla fine, è valsa la pena trascorrere tutte quelle nottate in bianco sui pescherecci. Clemens Naomab dell’Albatross Task Force (ATF) mentre cataloga gli uccelli marini. Foto gentilmente concessa dall’Albatross Task Force