- I ricercatori hanno rilevato che le guerre e i conflitti armati hanno portato a cali significativi nelle popolazioni dei grandi mammiferi nelle aree protette dell'Africa.
- Lo studio fa emergere che anche i conflitti sporadici e a bassa intensità sono bastati a ridurre il numero dei grandi mammiferi.
- Nonostante la devastazione, le popolazioni di animali selvatici possono riprendersi se si cerca di preservarli, concludono i ricercatori.
Secondo un nuovo studio pubblicato su Nature, l’impatto delle guerre o dei conflitti armati di qualsiasi tipo può essere devastante tanto sulla flora e sulla fauna selvatiche quanto sulle persone.
Da un lato, i conflitti bellici possono avere vari effetti sugli animali selvatici: gli abitanti e i soldati affamati possono cacciare gli animali per la carne, le armi utilizzate nei conflitti possono uccidere gli animali e i gruppi armati possono finanziarsi l’attività militare con il bracconaggio di animali, quali gli elefanti e i rinoceronti, per ricavarne avorio e corna. Dall’altro lato, i conflitti potrebbero ridurre la pressione sulla flora e sulla fauna selvatiche facendo allontanare le persone dalle aree dei conflitti; le industrie estrattive come quelle minerarie potrebbero fermarsi. I ricercatori Joshua Daskin, della Yale University, e Robert Pringle, della Princeton University, negli USA scrivono che, tuttavia, non è ancora noto l’impatto complessivo della guerra sulla flora e sulla fauna selvatiche.
Per capire quale sia l’effetto finale, Daskin e Pringle hanno analizzato i dati raccolti tra il 1946 e il 2010 su oltre 250 popolazioni di 36 specie di grandi mammiferi erbivori, come per esempio elefanti, antilopi, ippopotami, rinoceronti e giraffe, distribuiti in 126 aree protette dell’Africa. I ricercatori hanno rilevato che oltre il 70 percento dei parchi africani sono stati colpiti da conflitti armati durante il periodo dello studio. Hanno peraltro rilevato che la frequenza delle guerre — e non la loro l’intensità — ha rappresentato il fattore più importante, rispetto a tutti gli altri analizzati, per spiegare ciò che avveniva nelle popolazioni di animali selvatici: con l’aumento del numero di conflitti, le popolazioni di animali selvatici sono diminuite.
In Mozambico, per esempio, i governi e i gruppi in conflitto hanno utilizzato il Gorongosa National Park come teatro degli scontri tra il 1977 e il 1992. Secondo i ricercatori, tali guerre hanno devastato le popolazioni dei grandi mammiferi del parco. Dai primi anni 2000, la quantità degli elefanti è diminuita di oltre il 75 per cento e quella di bufali, ippopotami, gnu e zebre è scesa a numeri di due cifre o persino di una.
“La conclusione più sorprendente è lo stretto rapporto che intercorre tra la presenza di conflitti e le diminuzioni dei grandi mammiferi”, ha affermato in una dichiarazione. Hugh Possingham, scienziato dirigente presso The Nature Conservancy. “Ci si sarebbe potuti aspettare che l’importanza o la portata dei conflitti fosse il fattore principale ma la semplice presenza di conflitti sembra essere di per sé un fattore di predizione rilevante”.
In realtà, anche i conflitti sporadici e a bassa intensità sono stati sufficienti a ridurre le popolazioni dei grandi mammiferi. I ricercatori ritengono che ciò possa essere dovuto ai contraccolpi socioeconomici dei conflitti, quale la mancanza di mezzi di sostentamento, che potrebbero incidere più degli effetti diretti dell’attività militare. Tali conseguenze socioeconomiche “peggiorano la capacità delle istituzioni di salvaguardare la biodiversità o la capacità collettiva delle società di darle priorità e di pagare per sostenerla”, ha affermato Daskin nella dichiarazione.
“Ciò mi porta a pensare che qualsiasi tipo di conflitto, anche se a bassa intensità, debba essere evitato e che tali conflitti possono indicare problemi sociali e istituzionali di più ampia portata che costituiscono i fattori principali della diminuzione di mammiferi”, ha aggiunto Possingham. “Morale della favola: per porre fine alle minacce, come la caccia della selvaggina, la governance deve essere veramente solida”.
Tuttavia c’è speranza. Daskin e Pringle hanno rilevato che le popolazioni di animali selvatici possono riprendersi se si cerca di salvaguardarle. I ricercatori affermano che, dal 2014, a Gorongosa, le popolazioni di animali selvatici sono aumentate raggiungendo l’80 per cento del livello a cui si attestavano prima della guerra e ciò è stato in gran parte dovuto agli sforzi per salvaguardarli effettuati dal personale del parco, dal governo e dalle comunità locali.
“I risultati che abbiamo ottenuto mostrano che il caso di Gorongosa potrebbe essere di portata generale”, ha affermato Pringle. “Gorongosa è nella situazione più vicina all’eliminazione di un’intera fauna senza portare gli animali all’estinzione, e anche in quel caso, stiamo constatando che possiamo ripristinare le popolazioni di animali selvatici e ristabilire un ecosistema funzionale. Ciò suggerisce che, almeno in via di principio, anche le altre aree analizzate nel nostro studio in cui si verificano conflitti ad alta intensità possono essere sistemate”.
Le comunità locali devono fare parte della soluzione, ha affermato Possingham. “In qualsiasi area in cui la protezione dei grandi mammiferi è fonte di preoccupazione, è necessario individuare gli aspetti delle iniziative di salvaguardia che interessano le persone — definendo mezzi di sostentamento alternativi nonché misure di ordine pubblico, istruzione, contrasto della corruzione, ecc. — e, allo stesso tempo, è necessario attuare azioni concrete per proteggere l’habitat e contrastare il bracconaggio. Se non vengono fronteggiati i fattori chiave principali quali il dissesto della società civile, le azioni concrete intraprese e gli investimenti nella gestione dei parchi potrebbero non funzionare”.
Immagine di elefanti africani nel banner di Rhett A. Butler/Mongabay.
Citazione:
- Daskin JH and Pringle RM (2018). Warfare and wildlife declines in Africa’s protected areas, Nature. nature.com/articles/doi:10.1038/nature25194