- Un nuovo studio valuta gli impatti che i progetti di conservazione hanno sulla vita delle persone lasciando che siano loro stesse a definire ciò che davvero è importante per loro.
- Lo studio ha adattato l’indice Global Person Generated Index (GPGI), precedentemente utilizzato nel settore della salute, per osservare cosa le persone considerano importanti per la qualità della loro vita e per consentire loro di valutare le prestazioni in tali ambiti.
- Lo studio ha rilevato che, nel complesso, le popolazioni locali di solito sono più interessate all'agricoltura, alla salute, all'allevamento, all'istruzione, al lavoro e alle attività legate alla famiglia. Allo stesso tempo però, più del 50% delle persone intervistate ha dichiarato che i progetti di conservazione non avevano avuto impatti significativi su questi aspetti del loro benessere.
Al giorno d’oggi la maggior parte dei progetti di conservazione deve rispondere a una domanda chiave: come influisce il progetto sulla popolazione locale? Ciononostante, studi di alta qualità volti a misurare l’impatto dei progetti di tutela sul benessere delle persone rimangono ancora sporadici.
Quelle rare ricerche più precise che esistono, tendono a concentrarsi su una gamma ristretta di indicatori economici, come il reddito o la spesa delle famiglie, che fungono da variabili proxy per il benessere delle persone. Ma il benessere può significare cose diverse a seconda delle persone. E indicatori come il reddito, sebbene oggettivi, secondo alcuni ambientalisti potrebbero non catturare aspetti riguardanti il benessere che sono realmente importanti per le persone. Gli ambientalisti hanno quindi chiesto di integrare i metodi più oggettivi con approcci che misurano ciò che le persone ritengono importanti per loro, questo perché le percezioni dei locali sugli impatti dei progetti possono determinarne anche il loro futuro sostegno.
A tal fine, un recente studio pubblicato su World Development ha trovato un nuovo modo di misurare gli impatti sulla vita delle persone, permettendo a loro stesse di definire quello che più reputano importante.
Allo scopo di valutare come in Madagascar un’area protetta e la gestione forestale da parte delle comunità influenzano la qualità della vita delle persone, Ranaivo Rasolofoson, attualmente ricercatore presso l’Università del Vermont, Stati Uniti, e i suoi colleghi, hanno adattato il Global Person Generated Index (GPGI), un indice precedentemente utilizzato nel settore della salute per osservare cosa le persone considerano importanti per la propria qualità della vita, e che consente loro di valutare le prestazioni in tali ambiti.
Questa è la prima volta che l’indice GPGI viene utilizzato per valutare gli impatti sociali di una strategia di conservazione della natura, ha affermato Rasolofoson. “Il benessere include molte cose: dalla ricchezza e la salute, alla famiglia e alla cultura. L’indice GPGI delinea un quadro di queste dimensioni multiple, una cosa importante da fare perché ogni individuo possiede una concettualizzazione del benessere diversa, e concentrarsi su una o due dimensioni o indicatori fornisce una visione molto limitata di ciò che sta accadendo.”
Rasolofoson e il suo team hanno intervistato persone che vivono all’interno del Parco Nazionale di Zahamena e nelle foreste gestite dalla comunità di Ambohilero, e hanno scoperto che, nel complesso, le popolazioni locali erano più interessate all’agricoltura, alla salute, all’allevamento, all’istruzione, al lavoro e alle attività legate alla famiglia. Le persone hanno parlato di impatti sia positivi che negativi su questi aspetti. Tuttavia, oltre il 50% della popolazione ha affermato che i progetti di conservazione non hanno avuto un impatto significativo sugli aspetti che contano di più per loro.
“Se ci si pensa attentamente, nella vita delle persone succedono un sacco di cose; ci sono la politica e le dinamiche familiari, per esempio “, ha spiegato la coautrice dello studio, Julia PG Jones, professoressa di scienze della conservazione presso la Bangor University, Regno Unito. “E molte delle cose che le persone considerano importanti per il loro benessere potrebbero non avere nulla a che fare con il progetto di conservazione”.
L’uso dell’indice GPGI ha riservato anche altre sorprese. Ad esempio, nonostante la comune aspettativa che la gestione delle foreste da parte delle comunità sia una scelta migliore per le popolazioni locali rispetto alla protezione più tradizionale, lo studio non ha rilevato alcuna differenza tra gli impatti complessivi dei due interventi.
“Questo dimostra che la retorica sulla conservazione da parte della comunità spesso non corrisponde alla realtà sul terreno”, ha affermato Emily Woodhouse dell’University College di Londra, Regno Unito, che studia gli impatti sociali dei progetti di conservazione, ma non ha partecipato allo studio.
Tuttavia, se da una parte in generale non è stata rilevata una differenza, le persone che vivevano all’interno dell’area protetta e delle foreste gestite dalla comunità, percepivano gli stessi aspetti in modo diverso. Ad esempio, alcune persone all’interno del parco nazionale hanno affermato che la creazione del parco ha ridotto il loro accesso a terreni agricoli di loro appartenenza.
Al contrario, le persone che vivevano nelle foreste, si sentivano più sicure riguardo le proprie terre agricole. Il terreno forestale appartiene ancora allo stato, ha spiegato Rasolofoson, ma la gente del posto può prendere decisioni sulla gestione delle terre e delle foreste, cosa che ha reso alcune persone più sicure riguardo alle loro attività e ai terreni agricoli in quelle aree.
Uno degli intervistati, ad esempio, ha affermato che la gestione forestale da parte della comunità “ha permesso e legalizzato la nostra permanenza e le nostre attività agricole qui nelle foreste … e ci è stato concesso il diritto di praticare le nostre attività agricole senza temere lo sfratto”.
Oggettivamente, però, non è comunque del tutto chiaro se la gestione della comunità abbia effettivamente migliorato o meno la sicurezza della proprietà terriera, affermano i ricercatori.
Le persone che vivono nelle foreste erano però insoddisfatte dell’accesso all’istruzione. E hanno attribuito questa insoddisfazione al progetto forestale della comunità.
Il problema, hanno detto i ricercatori, era che l’ente di conservazione che sosteneva il progetto di gestione forestale nella zona, aveva promesso che avrebbe costruito una scuola. E per quanto lo abbia fatto, i genitori locali non potevano permettersi di pagare lo stipendio dell’insegnante. Quindi, mentre da un punto di vista oggettivo i villaggi non stavano peggio di prima, ha spiegato Jones, la gente ora aveva una scuola vuota senza insegnante, un fatto che veniva percepito come impatto negativo.
“Il benessere non riguarda solo dove ti trovi in questo momento nella vita, ma dove vuoi essere”, ha affermato. “Quindi, alzando le aspettative, fai credere alle persone di stare peggio. È come quando sei felice dello stipendio che guadagni, ma poi senti parlare del tuo collega, che è al tuo stesso livello, ma guadagna molto di più. A quel punto, non sei più soddisfatto di ciò che guadagni. Questa è semplicemente la natura umana. Il problema è che molti enti di conservazione aumentano le aspettative che poi non soddisfano”.
Nel complesso, il GPGI è stato semplice da utilizzare e ha generato un enorme volume di informazioni, ha affermato Rasolofoson: “La conservazione può avere un impatto su diversi aspetti della vita delle persone, come ad esempio il loro reddito, ma può anche essere percepita come un problema per la coesione della comunità, la salute e altre cose. Il GPGI può aiutare lo sviluppo delle attività che riguardano questi impatti e quindi aiutare gli sforzi volti a rendere la conservazione accettabile per le comunità locali”.
Woodhouse ha aggiunto che l’uso dell’indice GPGI nello studio “mostra l’importanza del dare la priorità alle persone che sono maggiormente colpite dalla conservazione piuttosto che utilizzare gli indicatori economici standard che non riflettono gli aspetti della vita che contano davvero per le persone”.
“Ci si concentra molto sui criteri di valutazione di impatto “gold standard” con sofisticati progetti quasi sperimentali”, ha dichiaratato, aggiungendo però che questo studio dimostra anche il valore della comprensione delle “esperienze di cambiamento” proprie delle comunità.
Rasolofoson ha comunque sottolineato che l’indice GPGI è una misura soggettiva e potrebbe non essere necessariamente preciso.
“Il fatto che le persone percepiscano qualcosa non significa che questa cosa sia reale”, ha affermato. “La loro percezione può essere influenzata dall’umore, dalle norme culturali o anche dalla tempistica delle interviste. Poi, c’è l’adattamento della gente. Cioè, la conservazione può effettivamente avere un impatto sulle loro vite, ma possono aver adattato, rielaborato o ridefinito il loro benessere, così che la misurazione del benessere soggettivo generale non rileva nulla”.
Ulteriori indicatori quantitativi come il reddito sono importanti per le parti esterne interessate, come donatori, agenzie governative e non, ha affermato Rasolofoson. Ma anche il GPGI, nonostante sia soggettivo, può fornire informazioni molto utili.
“Il GPGI non può fornire informazioni sull’entità degli impatti, ma fornisce una grande quantità di informazioni su ciò che le persone reputano importante ed è rilevante per coloro che cercano sostegno dalle comunità locali per la conservazione”, ha concluso. “Pertanto, questi diversi metodi per la valutazione dell’impatto sono complementari e rilevanti per scopi diversi.”
Citazioni:
- Rasolofoson, R.A., Nielsen, M.R. and Jones, J.P.G. (2018) The potential of the Global Person Generated Index for evaluating the perceived impacts of conservation interventions on subjective well-being. World Development. https://doi.org/10.1016/j.worlddev.2017.12.032