- Gli scienziati hanno identificato 38 "oasi" di barriera corallina nel Pacifico e nell'Atlantico occidentale che sono "sfuggite", hanno "resistito" o si sono "riprese" dalla diminuzione della copertura di corallo, nonostante le barriere coralline vicine non lo abbiano fatto.
- In nuovo studio, gli scienziati affermano che, se da un lato queste storie positive non sminuiscono la notizia che molte barriere coralline in tutto il mondo sono gravemente minacciate, offrono comunque esempi di luoghi in cui i coralli stanno meglio, o non sono messi così male, rispetto a comunità di coralli altrove.
- I ricercatori sperano che il quadro che hanno sviluppato per identificare le oasi di barriera corallina sarà utile per individuare oasi in altri ecosistemi.
In mezzo alle tristi notizie sulle barriere coralline di tutto il mondo, è emerso un barlume di speranza: gli scienziati hanno identificato “oasi” di barriera corallina che prosperano nonostante le minacce a cui sono sottoposte.
Dagli eventi di sbiancamento di massa causati da un aumento indotto dai cambiamenti climatici delle temperature oceaniche, alle minacce rappresentate dalla pesca eccessiva, l’inquinamento e le invasioni di stelle marine divoratrici di coralli, le barriere coralline sono perennemente sotto attacco. Ma secondo un nuovo studio pubblicato nel Journal of Applied Ecology, alcune barriere coralline sembrano stare meglio dei loro vicini.
“Negli ultimi 12-24 mesi, le cattive notizie sulle barriere coralline sono apparse ad un ritmo allarmante, in particolare a causa del grave sbiancamento dei coralli che si è verificato sulla Grande Barriera Corallina in seguito a El Niño del 2016”, ha scritto in una nota il coautore Peter Edmunds, un biologo marino della California State University, Northridge, USA. “Il messaggio generale è ‘Oh mio Dio, le barriere coralline di tutto il mondo stanno morendo e molte sono ormai perdute’. Avevamo la sensazione che mancasse un pezzo della storia.”
Per colmare questa lacuna, Edmunds e i suoi colleghi hanno analizzato i dati dei programmi di monitoraggio a lungo termine della barriera nel Pacifico e nell’Atlantico occidentale e hanno identificato 38 barriere coralline che sono “scampate”, hanno “resistito” o si sono “riprese” dalle diminuzioni nella copertura del corallo, mentre le barriere coralline vicine non lo hanno fatto. Queste oasi di barriera offrono speranza in tempi di rapida perdita di copertura corallina, affermano i ricercatori.
“Penso che il concetto di oasi di barriera corallina trovi il favore di qualsiasi ecologista che abbia una lunga esperienza di immersioni in diverse barriere coralline”, ha spiegato a Mongabay, James Guest, un biologo marino dell’Università di Newcastle, nel Regno Unito. “Personalmente, le mie esperienze lavorative a Singapore – uno degli ambienti di barriera corallina più pesantemente colpiti al mondo – mi hanno reso consapevole di come alcune barriere coralline possano essere notevolmente resistenti nonostante i disturbi cronici e acuti”.
Il team definisce “oasi sfuggite (ai danni)”, le barriere coralline come quelle del cratere Molokini delle Hawaii, che sono riuscite ad evitare gravi danni in gran parte grazie alle caratteristiche fisiche e ambientali del sito in cui si trovano. “Oasi resistenti” sono invece comunità di corallo che sembrano tollerare i disturbi ambientali per via delle caratteristiche specifiche dei coralli in quel sito. Ad esempio, alcune barriere coralline nelle Florida Keys si presentano in aree con torbidità e condizioni di temperatura estremamente variabili, cosa che gli autori affermano “potrebbero aver favorito una maggiore tolleranza alle anomalie termiche acute” – cioè, sono più resistenti a livelli superiori al normale delle temperature del mare.
“Oasi in recupero” sono coralli che hanno subito danni come molte altre barriere, ma si sono ripresi rapidamente, migliorando il proprio stato. Alcuni degli esempi più eclatanti sono le barriere coralline di Moorea, nella Polinesia francese, nel Pacifico. Le barriere coralline lì sono passate dal 47% di copertura del corallo nel 2005 a meno dell’1% nel 2010, principalmente a causa delle stelle marine a corona di spine (Acanthaster planci) che masticavano i coralli e l’impatto del Ciclone Oli nel 2010. Ma entro il 2015, la copertura corallina è ritornata a circa il 54%.
“Abbiamo iniziato a lavorare lì nel 2005, e quasi immediatamente abbiamo incontrato orde di stelle marine che mangiavano coralli e stavano rapidamente consumando il loro tessuto”, ha spiegato Edmunds. “Entro il 2010, i coralli esterni erano quasi ridotti a zero, come non mi era mai capitato di vedere in vita mia. Eppure, entro otto anni, i coralli sono ricresciuti. In alcuni luoghi, circa l’80% del fondo marino è ora coperto da coralli vivi. È un notevole esempio di oasi.”
In altre barriere indo-pacifiche che si sono riprese bene, Guest ha detto che due delle cose più importanti che hanno aiutato il loro recupero sono “la quantità di pesci erbivori, in quanto aiutano a mantenere le superfici di barriera lontane dalle alghe che possono competere con i coralli piccoli, e la quantità di nuovi coralli giovani ‘reclutati’ nella barriera corallina.”
“Se si dispone di un alto rifornimento di nuovi coralli ogni anno, e se la barriera viene mantenuta ragionevolmente pulita dagli erbivori, allora le barriere coralline hanno buone probabilità di guarigione”, ha detto.
Anche le barriere coralline senza queste caratteristiche possono riprendersi.
“Le barriere che ho studiato a Singapore sono interessanti in quanto hanno tassi di reclutamento di nuovi coralli e di erbivori piuttosto bassi, ma nel 1998 si sono riprese bene da un grande evento di sbiancamento dei coralli”, ha raccontato Guest. “Penso che quello che succede qui è che la maggior parte dei coralli di Singapore sono abbastanza tolleranti allo stress e quando vengono colpiti dallo sbiancamento, muore solo una parte della colonia. I frammenti che rimangono, possono ricrescere molto rapidamente, quindi la copertura corallina tornerà alla normalità in pochi anni”.
Mentre queste storie positive non sminuiscono i rapporti secondo cui molte barriere coralline sono minacciate, esse offrono esempi di luoghi in cui i coralli stanno meglio, o non così male, rispetto a comunità di coralli in altri luoghi. “Questi luoghi forniscono un focus di attenzione che potrebbe essere utilizzato per migliorare gli sforzi di conservazione dei coralli”, ha affermato Edmunds.
I risultati dello studio mostrano anche che le barriere coralline variano molto nella loro risposta ai turbamenti, anche su scale molto piccole, da decine a migliaia di metri, ha spiegato Guest. “Le ragioni per cui una barriera corallina sopravvive possono essere molto diverse rispetto a un’altra barriera corallina, e queste differenze possono essere importanti quando si prendono decisioni sulla loro gestione”, ha detto. “Abbiamo davvero bisogno di avere una quantità maggiore di dati a lungo termine sulle barriere coralline che siano disponibili pubblicamente.”
Il team è fiducioso che il quadro sviluppato per identificare le oasi della barriera corallina sarà utile per individuare oasi in altri ecosistemi.
“Ho sviluppato questo metodo allo scopo di aiutare gli addetti ai lavori e gli scienziati a capire quali barriere stanno bene e quali invece vanno male, e poi per comprendere cosa causa queste differenze e decidere quali azioni intraprendere in termini di protezione e conservazione “, ha concluso Guest. “Spero davvero che il documento sia utile a coloro che gestiscono la tutela delle barriere e che ispiri altri ad esaminare queste idee in altri ecosistemi”.
Citazioni:
James R. Guest, Peter J. Edmunds, Ruth D. Gates, Ilsa B. Kuffner, Andreas J. Andersson, Brian B. Barnes, Iliana Chollett, Travis A. Courtney, Robin Elahi, Kevin Gross, Elizabeth A. Lenz, Satoshi Mitarai, Peter J. Mumby, Hannah R. Nelson, Britt A. Parker, Hollie M. Putnam, Caroline S. Rogers, Lauren T. Toth. A framework for identifying and characterising coral reef “oases” against a backdrop of degradation. Journal of Applied Ecology, 2018; DOI: 10.1111/1365-2664.13179