- Esaminando le impronte chimiche nei tessuti dello squalo balena e mediante identificazione fotografica, uno studio ha rivelato che solitamente i giovani esemplari di squalo presenti in tre Paesi lungo la costa occidentale dell'Oceano Indiano non si allontanano più di qualche centinaio di km dai luoghi in cui si cibano.
- Degli oltre 1200 squali fotografati, solo due si sono spostati tra i diversi punti in cui si nutrono: in questo caso, circa 2000 km tra Mozambico e Tanzania.
- Secondo gli autori dello studio, le loro scoperte dimostrano che la conservazione locale di queste popolazioni è importante perché se gli squali balena scomparissero in un'area, quest'ultima non verrebbe ripopolata.
Gli squali balena riescono a nuotare per lunghe distanze, ma sembra che molti siano anche pantofolai.
Un nuovo studio pubblicato il 9 agosto nella rivista Marine Ecology Progress Series che ha utilizzato le impronte chimiche trovate nel tessuto degli squali balena insieme all’identificazione fotografica ha rivelato che la maggior parte dei membri della specie, detta Rhincodon typus, non si allontana più di qualche centinaio di km da un punto specifico in cui si nutre, almeno in gioventù.
“Gli squali balena sono perfettamente in grado di attraversare gli oceani, ma sembra che gli esemplari giovani, per lo meno, scelgano di non farlo”: queste le parole di Simon Pierce (biologo della conservazione marina presso il Marine Megafauna Foundation in California, nonché uno degli autori dello studio) ha rilasciato in una dichiarazione. “Ogni anno tornano negli stessi posti per approfittare delle prevedibili opportunità di nutrimento”.
L’autrice principale, Clare Prebble, biologa marina presso l’Università di Southhampton nel Regno Unito, ha affermato che ogni anno gli squali balena potrebbero essere in grado di nuotare per 10.000 o più km. Inoltre, studi sul patrimonio genetico delle popolazioni di squalo balena suggeriscono che alcuni di essi, almeno ad un certo punto della loro vita, abbandonano i noti punti d’incontro per centinaia di simili intorno ai punti alimentazione preferiti per mischiarsi con altre popolazioni.
Finora, però, gli scienziati hanno incontrato difficoltà nell’utilizzo di etichette al fine di rintracciare gli esemplari nelle lunghe distanze o durante lunghi periodi di tempo. All’inizio di quest’anno un team è arrivato a una svolta quando ha seguito i movimenti di una femminadurante un viaggio di 20.142 km, durato due anni e mezzo.
Prebble e i suoi colleghi hanno deciso di esaminare il rapporto di diverse forme o isotopi di due elementi (carbonio e azoto) presenti nella pelle e nei muscoli degli squali. Hanno pensato che questa specie di “passaporto biologico” potrebbe contribuire a capire dove si dirigono. Ad esempio, un rapporto con isotopi di un certo tipo potrebbe suggerire che uno squalo ha trascorso più tempo lungo la costa piuttosto che nell’oceano. Il team ha raccolto dei campioni di tessuto dagli squali nelle acque intorno a Tanzania, Mozambico e Qatar e li ha confrontati.
A sostegno dello studio sono state anche esaminate delle foto di squali balena scattate nei siti nell’arco di dieci anni, che ha permesso al team di identificare i singoli squali dalla loro caratteristica livrea. In totale, il team ha fotografato più di 1200 esemplari singoli.
Quando sono stati confrontati i rapporti isotopici tra le popolazioni in prossimità dei tre Paesi, si è scoperto che, generalmente, questi ultimi suggerivano che la maggior parte degli squali era rimasta entro un raggio di qualche centinaio di chilometri. Il team ha fotografato solo due esemplari in posti diversi. Entrambi hanno nuotato per circa 2000 km, dal Mozambico alla Tanzania.
L’ecologista marino Clive Trueman dell’Università di Southampton, nonché co-autore, ha affermato che gli squali presenti nei siti oggetto di studio erano soprattutto esemplari giovani.
“Per valutare davvero la struttura e la distribuzione globale delle popolazioni è necessario saperne di più sui luoghi in cui gli squali si recano una volta raggiunta dell’età adulta”. Queste le parole di Trueman, che ha poi aggiunto: “Probabilmente si muovono senza essere visti per cibarsi e riprodursi in acque più profonde”.
Inoltre, secondo Prebble, che lavora anche presso la Marine Megafauna Foundation, lo studio porta con sé delle conseguenze significative per la protezione degli squali balena.
Queste le sue parole: “I nostri risultati mostrano che dobbiamo considerare ciascun sito in maniera separata e garantire una buona gestione della conservazione, in quanto gli squali potrebbero non ripopolare certe aree se queste ultime fossero interessate dalle attività umane”.
Nel 2016 lo IUCN ha classificato gli squali balena come in pericolo. Il pesce più grande del mondo è minacciato dagli urti contro le navi nel Golfo Arabico (noto anche come Golfo Persico). Talvolta viene anche catturato per errore in reti destinate ad altre specie lungo le coste della Tanzania e del Mozambico.
Alcuni Paesi stanno cominciando a rendersi conto che gli squali balena sono una benedizione per il settore turistico. Un recente studio ha individuato una “zona calda” sconosciuta fino a quel momento nell’Oceano Indiano, intorno al Madagascar, in cui gli squali sembrano ritornare per cibarsi di plankton. Ciò ha dato impulso a un afflusso di visitatori desiderosi di trascorrere del tempo a nuotare a fianco agli squali, che possono raggiungere i 20 metri di lunghezza. Il turismo incentrato sugli squali balena trae vantaggio dal fatto che questi ultimi prediligono gli stessi terreni di caccia.
“Se si considera lato positivo, ciò significa che la protezione locale può rappresentare un vantaggio importante per il recupero di questa specie a rischio di estinzione”: queste le parole di Pierce, della Marine Magafauna Foundation. Ha inoltre aggiunto: “I vantaggi esistono anche a livello locale perché attualmente il turismo degli squali balena ha un valore di oltre cento milioni di dollari in tutto il mondo”.
Immagine banner: uno squalo balena nella spiaggia di Tofo, Mozambico © Clare Prebble/Marine Megafauna Foundation/Università di Southampton.
Citazioni
Diamant, S., Rohner, C. A., Kiszka, J. J., d Echon, A. G., d’Echon, T. G., Sourisseau, E., & Pierce, S. J. (2018). Movements and habitat use of satellite-tagged whale sharks off western Madagascar. Endangered Species Research, 36, 49-58.
Guzman, H. M., Gomez, C. G., Hearn, A., & Eckert, S. A. (2018). Longest recorded trans-Pacific migration of a whale shark (Rhincodon typus). Marine Biodiversity Records, 11(1), 8.
Pierce, S., & Norman, B. (2016). Rhincodon typus. The IUCN Red List of Threatened Species, 8235(2307–8235), 26.
Prebble, C. E. M., Rohner, C. A., Pierce, S. J., Robinson, D. P., Jaidah, M. Y., Bach, S. S., & Trueman C. N. (2018). Limited latitudinal ranging of juvenile whale sharks in the Western Indian Ocean suggests the existence of regional management units. Marine Ecology Progress Series, 601, 167–183.
Schmidt, J. V., Schmidt, C. L., Ozer, F., Ernst, R. E., Feldheim, K. A., Ashley, M. V., & Levine, M. (2009). Low genetic differentiation across three major ocean populations of the whale shark, Rhincodon typus. PLOS ONE, 4(4), e4988.