- Uno studio pubblicato sulla rivista Frontiers In Forests And Global Change concorda in gran parte con le conclusioni a cui giunge il recente rapporto dell’IPBES, affermando che c’è molto meno habitat intatto che ospita la propria comunità di vita originale di quanto era stato stimato in passato.
- Inoltre, gli autori dello studio sostengono, sulla base alle loro scoperte, che i metodi finora utilizzati per determinare le aree più importanti di conservazione di flora e fauna selvatiche per mezzo di telerilevamenti e insiemi di dati globali, non sarebbero attendibili per la valutazione dell’integrità faunistica.
- I ricercatori hanno scoperto che sul 54,7 percento della superficie terrestre del pianeta (Antartide esclusa) almeno una specie si è estinta, con alcuni siti che hanno perso addirittura 52 specie, e che persino molte foreste che, dalle loro coperture, si ritenevano intatte, al di sotto della copertura stessa hanno invece perso delle specie.
- I ricercatori concludono: “Recenti pubblicazioni hanno evidenziato l’esigua percentuale di aree naturali o intatte residue: ebbene, i nostri risultati indicano che siti realmente intatti popolati da una serie completa di specie sono ancora più rari.”
A maggio l’Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services (IPBES) delle Nazioni Unite ha pubblicato una sintesi di un’ampia ricerca sulle minacce alla biodiversità mondiale, secondo cui oggi le specie scompaiono molto più velocemente che in qualsiasi altra epoca della storia dell’umanità. La ricerca riporta anche che circa un milione di specie di piante e animali, al momento, è a rischio estinzione, con serie conseguenze per il futuro benessere dell’uomo.
Secondo il rapporto dell’IPBES, il numero delle specie terrestri del pianeta è calato del 20 percento, soprattutto nel corso degli ultimi 120 anni. Uno studio pubblicato sulla rivista Frontiers In Forests And Global Change concorda in gran parte con le conclusioni a cui giunge il rapporto dell’IPBES, affermando che c’è molto meno habitat intatto che ospita la propria comunità di vita originale di quanto era stato stimato in passato. Inoltre, gli autori dello studio sostengono, sulla base delle loro scoperte, che i metodi finora utilizzati per determinare le aree più importanti di conservazione di flora e fauna selvatiche per mezzo di telerilevamenti e insiemi di dati globali, non sarebbero attendibili per la valutazione dell’integrità faunistica.
Lo studio è stato condotto da Andrew Plumptre, a capo del segretariato della Key Biodiversity Areas (KBA) Partnership, che comprende 12 organizzazioni ambientaliste internazionali, tra cui l’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN), Birdlife International e la Wildlife Conservation Society. Plumptre e un gruppo di ricercatori hanno scoperto che sul 54,7 percento della superficie terrestre del pianeta (Antartide esclusa), almeno una specie si è estinta, con alcuni siti che hanno perso addirittura 52 specie, e che persino molte foreste che, dalle loro coperture, si ritenevano intatte, al di sotto della copertura stessa hanno invece perso delle specie.
“Ancora una statistica che mostra l’estremo pericolo in cui si trova il nostro pianeta,” sostiene Plumptre. “È necessario che i governi agiscano su quelli che sono i resoconti del rapporto IPBES e si impegnino seriamente a trovare delle soluzioni alla perdita di biodiversità e ai cambiamenti climatici.”
Plumptre e i suoi colleghi hanno valutato il grado di integrità faunistica in scenari sparsi in tutto il mondo mettendo insieme le mappe degli areali pubblicate dalla Lista Rossa delle Specie in Pericolo IUCN, che mostrano dove le specie si sono estinte. Tuttavia, non tutte le valutazioni del grado di conservazione di una specie della Lista Rossa IUCN riportano il luogo in cui le specie si sono estinte, e le mappe della Lista Rossa non si riferiscono a prima del 1500. Secondo i ricercatori, queste limitazioni nei dati a disposizione hanno portato a sottovalutare l’entità delle estinzioni che si sono verificate in tutto il pianeta.
Le aree del pianeta di importanza globale per le misure di conservazione della biodiversità possono essere indentificate attraverso diversi approcci: lo studio ne prende in considerazione due. Uno di questi prevede l’individuazione della cosiddetta “ultima area selvatica,” ovvero biomi in cui è stata registrata la minore influenza umana, sebbene, per i loro studi, i ricercatori abbiano modificato il metodo “dell’ultima area selvatica” per individuare delle ecoregioni piuttosto che dei biomi, chiamando il nuovo approccio “ultima area selvatica per ecoregione” (LWE).
L’altro approccio su cui si basa lo studio consiste nella stima dei Paesaggi Forestali Intatti (IFL), che è simile al metodo “dell’ultima zona selvatica” ma è rivolto esclusivamente agli ecosistemi forestali.
“Concentrandoci sugli ecosistemi forestali, abbiamo valutato se uno dei due approcci identificasse aree di integrità faunistica come misurazione preliminare di una più completa integrità della specie,” scrivono Plumptre e i coautori dello studio. “I metodi LWE e IFL sono due degli approcci di una famiglia più ampia di tecniche per mappare l’integrità ecologica su scala mondiale, che viene individuata attraverso misurazioni del grado di impatto o influenza da parte dell’uomo, piuttosto che attraverso la mappatura di comunità faunistiche intatte.”
I ricercatori hanno prodotto delle mappe dell’areale di 18 specie che dipendono da habitat forestali, che hanno alte probabilità di subire l’impatto di attività umane e per le quali sono state effettuate delle stime di densità o abbondanza su tutto l’areale. Combinando questi dati con le stime risultanti dagli approcci IFL e LWE, i ricercatori hanno scoperto che molte aree considerate integre hanno perso una o più di queste 18 specie: ciò significa che la fauna di tali aree non può più essere considerata intatta.
“I nostri risultati mostrano che sul nostro pianeta rimangono poche aree intatte dal punto di vista faunistico, un risultato che corrisponde a molte valutazioni della biodiversità globale (per esempio, Secretariat of the Convention on Biological Diversity United Nations Environment Programme, 2014; Wolf and Ripple, 2017), scrivono i ricercatori. I metodi IFL e LWE includono “aree del pianeta abbastanza ampie,” aggiungono, “ma se prendiamo in considerazione le specie che vivono nelle foreste che si trovano nelle aree IFL o LWE, molte di loro non sono presenti in gran parte di queste “aree intatte,” oppure la loro densità è talmente esigua da non risultare ecologicamente funzionale.”
Più della metà delle aree LWE analizzate dal team di ricerca potrebbe non recare alcuna traccia di specie ormai estinte, a meno che fossero disponibili dati antecedenti al 1500, specialmente in Europa, “e se i dati della Lista Rossa IUCN relativi alle estinzioni fossero, in generale, più completi,” riporta lo studio.
Plupmtre e i coautori sostengono che il concetto chiave della loro analisi è che “nelle grandi aree rimaste sulla terra, l’integrità faunistica è estremamente rara e non può essere individuata facilmente dalle immagini satellitari di foreste dalla copertura apparentemente intatta e da interferenze umane (metodo IFL), né da stime effettuate tramite l’[Indice dell’Impatto Umano] (aree LWE).”
I ricercatori concludono: “Recenti pubblicazioni hanno evidenziato l’esigua percentuale di vita selvatica o siti intatti rimanenti: ebbene, i nostri risultati indicano che siti realmente intatti popolati da una serie completa di specie sono ancora più rari.”
CITAZIONI
• Plumptre, A. J., Baisero, D., Grantham, H., Jędrzejewski, W., Kühl, H., Maisels, F., … & Wich, S. A. (2019). Are we capturing faunal intactness? A comparison of intact forest landscapes and a first scoping of Key Biodiversity Areas of Ecological Integrity. Frontiers In Forests And Global Change. doi:10.3389/ffgc.2019.00024>
Articolo originale: https://news-mongabay-com.mongabay.com/2019/06/at-least-one-species-has-been-lost-on-more-than-half-of-earths-land-area/