- In occasione del Global Climate Action Summit (GCAS), vertice mondiale sulle iniziative per il clima, tenutosi a San Francisco lo scorso anno, le soluzioni alla crisi climatica basate sulla natura (come la tutela delle foreste e il ripristino degli ecosistemi danneggiati per migliorarne la capacità di stoccaggio del biossido di carbonio) sono state indicate come la «soluzione dimenticata».
- Sebbene la conservazione delle foreste e di altri ecosistemi possa giocare un ruolo fondamentale nel mitigare i cambiamenti climatici a livello globale, la dott.ssa Jane Goodall, nota ambientalista e portavoce dell’ONU per la pace, in un discorso tenuto lo scorso settembre in occasione del GCAS, ha dichiarato di aver partecipato personalmente a diverse conferenze nelle quali non il tema delle foreste non è stato nemmeno preso in considerazione.
- Il messaggio sembra essere stato recepito da diversi governi, aziende e gruppi della società civile che si sono impegnati a portare avanti iniziative basate sulla natura rilevanti per il clima in occasione del vertice ONU sul clima svoltosi lo scorso lunedì e della settimana sul clima della città di New York («NYC Climate Week»), che si conclude questo fine settimana.
Al Global Climate Action Summit (GCAS), vertice mondiale sulle iniziative per il clima, tenutosi a San Francisco l’anno scorso, le soluzioni alla crisi climatica basate sulla natura (come la conservazione delle foreste e il ripristino degli ecosistemi danneggiati per migliorarne la capacità di stoccaggio del biossido di carbonio) sono state indicate come la «soluzione dimenticata».
L’attenzione è in gran parte rivolta agli sviluppi tecnologici e agli impegni assunti ad alto livello dai paesi e dal settore privato, ma i ricercatori hanno dimostrato che una serie di quelle che chiamano «soluzioni climatiche naturali» potrebbe costituire oltre un terzo della «mitigazione dei cambiamenti climatici efficace sotto il profilo dei costi necessaria da ora al 2030» per mantenere il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2°C, obiettivo sancito dall’accordo di Parigi del 2015. Tali soluzioni naturali comprendono una serie di «attività di conservazione, ripristino e miglioramento della gestione dei terreni che aumentano lo stoccaggio del biossido di carbonio e/o evitano emissioni di gas ad effetto serra nelle foreste, nelle paludi, nelle praterie e nei terreni agricoli».
Da un’analisi è emerso che proprio con il ripristino di foreste disboscate o danneggiate e il miglioramento della gestione delle foreste potremmo eliminare dall’atmosfera ogni anno l’equivalente dei gas emessi da 1,5 miliardi di auto.
Nonostante la conservazione delle foreste e di altri ecosistemi possa giocare un ruolo fondamentale nel mitigare i cambiamenti climatici a livello globale, la dott.ssa Jane Goodall, nota ambientalista e portavoce dell’ONU per la pace, in un discorso tenuto lo scorso settembre in occasione del GCAS, ha dichiarato di aver partecipato personalmente a diverse conferenze nelle quali il tema delle foreste non è stato nemmeno preso in considerazione.
«Il salvataggio delle foreste costituisce un terzo della soluzione», ha dichiarato Goodall. «Non possiamo permettere che diventi la soluzione dimenticata».
Il messaggio sembra essere stato recepito da diversi governi, aziende e gruppi della società civile che si sono impegnati a portare avanti iniziative basate sulla natura rilevanti per il clima in occasione del vertice ONU sul clima svoltosi lo scorso lunedì e della settimana sul clima della città di New York («NYC Climate Week»), che si conclude questo fine settimana.
Per esempio, la Central Africa Forest Initiative ha annunciato un accordo di 10 anni tra il Gabon e la Norvegia tramite il quale il paese africano riceverà 150 milioni di dollari per le attività di salvaguardia delle foreste e di riduzione delle sue emissioni causate dalla deforestazione e dal degrado delle foreste. Nel contesto del partenariato, la Norvegia ha accettato di pagare il doppio del prezzo corrente per il biossido di carbonio, fissando un prezzo minimo di 10 dollari per ogni tonnellata di gas che il Gabon può garantire di non aver emesso.
Parlando del programma dell’ONU per la riduzione delle emissioni causate dalla deforestazione e dal degrado delle foreste, Ola Elvestuen, ministro norvegese per l’ambiente e il clima, ha descritto l’accordo come «un importante passo avanti per la REDD+ in Africa». «Tiene in debito conto lo stato speciale del Gabon in qualità di paese con una copertura forestale elevata e una ridotta deforestazione. Il Gabon è coperto per l’88% da foreste e spero che il nostro partenariato possa aiutare tale paese a raggiungere l’obiettivo di preservare in futuro il 98% di tali foreste», ha dichiarato Elvestuen.
In Gabon, il ministro delle foreste, dei mari, dell’ambiente e dei cambiamenti climatici, Lee White, ha affermato che il partenariato potrebbe essere un modello da seguire anche per altri paesi: «Il fatto che la Norvegia abbia accettato di pagare il doppio del prezzo per ogni tonnellata di biossido di carbonio stoccata tramite la foresta pluviale è molto significativo e ci lascia sperare che la comunità internazionale fissi in futuro un prezzo realistico che fornisca un incentivo concreto per i paesi con foreste pluviali affinché seguano il nostro esempio».
Un’altra iniziativa, una collaborazione annunciata congiuntamente dal Presidente francese Emmanuel Macron, dal Presidente colombiano Ivan Duque e dal Presidente cileno Sebastian Piñera al vertice ONU sul clima del 23 settembre, mira a tutelare l’Amazzonia e le altre foreste tropicali. Per tale collaborazione sono già stati versati 100 milioni di dollari dal governo francese e 20 milioni di dollari dalla ONG Conservation International. Anche la Germania, la Norvegia e il Perù hanno dichiarato di offrire il loro sostegno.
Nel corso di un evento nello zoo di Central Park (New York), il 25 settembre, cinque organizzazioni ambientaliste – Global Wildlife Conservation (GWC), Rainforest Foundation Norway (RFN), il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo («United Nations Development Programme», UNDP), Wildlife Conservation Society (WCS) e World Resources Institute (WRI) – hanno dato il via al partenariato Forests for Life, che mira a prevenire il degrado di 1 miliardo di ettari delle foreste meglio salvaguardate del mondo. Questa iniziativa si focalizzerà sulle foreste intatte dell’Amazzonia, del bacino del Congo, della Nuova Guinea e dell’area settentrionale dell’emisfero boreale nonché sulle foreste intatte di dimensioni inferiori presenti in luoghi quali l’America centrale, il Madagascar, l’area meridionale dell’Asia e il sud-est asiatico.
I gruppi fondatori si sono impegnati a versare 50 milioni di dollari nei prossimi cinque anni in favore del partenariato Forests for life e prevedono di offrire altri 200 milioni di dollari sotto forma di finanziamenti provenienti da persone, fondazioni, aziende e governi. Uno dei primi maggiori sforzi a livello regionale sostenuti dal partenariato sarà l’iniziativa Five Great Forests of Mesoamerica, lanciata anch’essa durante la settimana sul clima.
«Perdere le grandi foreste del mondo impedirebbe lo svolgimento di qualsiasi azione a livello globale contro i cambiamenti climatici e comporterebbe un’estinzione di massa catastrofica», ha affermato in una dichiarazione Wes Sechrest, amministratore delegato di GWC e capo ricercatore. «Per i paesi con queste foreste di importanza cruciale, è veramente un’opportunità per dimostrare una leadership globale in grado di prevenire le crisi climatiche e arginare la perdita di biodiversità attraverso la protezione del loro patrimonio naturale».
Anche gli investitori istituzionali stanno iniziando a sostenere le iniziative climatiche basate sulla natura. A seguito degli incendi in Brasile e nell’Amazzonia boliviana, la settimana precedente al vertice sul clima, circa 230 investitori di tutto il mondo che gestiscono complessivamente attività per 16,2 trilioni di dollari hanno rilasciato una dichiarazione con la quale hanno avvertito centinaia di società, il cui nome non è stato citato, di onorare le promesse fatte relative all’eliminazione totale delle cause di deforestazione dalle loro catene di approvvigionamento di materie prime o di essere pronte ad affrontare conseguenze economiche. Al vertice ONU sul clima, un gruppo di investitori internazionali ha fatto un ulteriore passo avanti lanciando la Net-Zero Asset Owner Alliance. I membri dell’Alliance, che gestiscono investimenti per un importo complessivo superiore a 2,4 trilioni di dollari, si sono impegnati a rendere i loro portafogli di investimento neutrali sotto il profilo del biossido di carbonio dal 2050.
Siccome tali affermazioni e iniziative sono stati colpi di avvertimento provenienti dagli investitori, almeno alcuni produttori di prodotti agricoli di base sembrano aver ricevuto il messaggio. Insieme a 19 «aziende basate sull’agricoltura» come Danone, Nestlé e Unilever, il Consiglio mondiale delle imprese per lo sviluppo sostenibile ha avviato una nuova iniziativa «per sviluppare soluzioni innovative volte a tutelare e valorizzare la biodiversità» nelle catene di approvvigionamento delle materie prime.
«L’ecosistema agricolo e alimentare mondiale dipende in modo cruciale dalla biodiversità: dalla rigenerazione del terreno attraverso il filtraggio dell’acqua, al controllo dei parassiti e all’impollinazione, che sono solo alcuni dei numerosi elementi costitutivi della vita sulla Terra», ha affermato Emmanuel Faber, presidente e amministratore delegato di Danone, durante l’annuncio dell’iniziativa One Planet Business for Biodiversity in occasione del vertice sul clima. «Secondo molti recenti studi scientifici, abbiamo dieci anni per cambiare rotta, piegare la curva dei cambiamenti climatici e della perdita di biodiversità di specie coltivate e selvatiche».
Queste sono solo alcuni dei progetti e dei partenariati annunciati la settimana scorsa che pongono la tutela e il ripristino della natura al centro delle iniziative per il clima. Molti paesi si stanno altresì impegnando con attività basate sulla natura entro i propri confini.
Durante il vertice sul clima, il primo ministro neozelandese Jacinda Ardern ha dichiarato che il suo paese «intende dimostrare che la Nuova Zelanda può essere e sarà il produttore di alimenti più sostenibile al mondo». Ardern ha affermato che, nei prossimi cinque anni, il suo governo «collaborerà per creare sistemi che ogni agricoltore potrà utilizzare per misurare, gestire e ridurre le emissioni della propria azienda agricola».
La Nuova Zelanda si è anche impegnata a piantare un miliardo di alberi entro il 2028 e, tra questi, 150 milioni sono già stati sistemati. L’Etiopia si è impegnata a piantare 4 miliardi di alberi all’anno. La Nigeria ha affermato che si avvarrà dei giovani per piantare 25 milioni di alberi. Il Pakistan si è impegnato a piantare 10 miliardi di nuovi alberi nei prossimi cinque anni. La Sierra Leone si è impegnata a piantare 100 milioni di alberi entro il 2023. Il Kenya intende piantare 2 miliardi di alberi entro il 2022 e di ripristinare 5,1 milioni di ettari di foreste. Il Guatemala intende ripristinare 1,5 milioni di ettari di foreste entro il 2022. La Colombia prevede di ripristinare 300.000 ettari di foreste entro il 2022 nonché di sottoporre a una gestione forestale sostenibile e a un sistema agroforestale 900.000 ettari del suo territorio.
Nello spiegare il motivo per cui ha convocato il vertice sul clima, Antonio Guterres, Segretario generale dell’ONU, ha dichiarato: «Dobbiamo ridurre le emissioni di gas a effetto serra del 45% entro il 2030». Abbiamo bisogno di raggiungere la neutralità in termini di emissioni di biossido di carbonio entro il 2050. […] Ecco perché sto dicendo ai leader di non giungere al vertice solo con dei bei discorsi. Venite con progetti concreti (iniziative chiare per incrementare i contributi determinati a livello nazionale entro il 2020) e con strategie per conseguire la neutralità in termini di emissioni di biossido di carbonio entro il 2050».
Resta da capire se i paesi abbiano veramente accolto l’appello di Guterres in favore di iniziative sul clima più ambiziose. Quando hanno firmato l’accordo di Parigi nel 2015, i paesi hanno convenuto di incrementare i loro obiettivi ogni 5 anni e ciò significa che sono tenuti a presentare nuovi contributi determinati a livello nazionale («Nationally Determined Contributions», NDC), piani di azione sul clima stabiliti a livello nazionale, durante la conferenza dell’ONU sui cambiamenti climatici.
«I risultati misurabili del vertice prenderanno forma negli NDC dell’anno prossimo», ha dichiarato a Mongabay Caleb McCLennen, vicepresidente per la conservazione mondiale della Wildlife Conservation Society.
Tuttavia, una cosa è certa: le soluzioni per il clima basate sulla natura sono finalmente sempre più diffuse.
«In California, le soluzioni basate sulla natura sono state definite come la “soluzione dimenticata”», ha affermato McClennen. «Ora, stando agli impegni presi, sono in corso di attuazione. Sembra di essere passati da una fase in cui veniva descritto il problema al momento in cui, quest’anno, i leader politici e i progetti concreti la stanno rendendo realtà».
CITAZIONE
• Griscom, B. W., Adams, J., Ellis, P. W., Houghton, R. A., Lomax, G., Miteva, D. A., … & Woodbury, P. (2017). Natural climate solutions. Proceedings of the National Academy of Sciences, 114(44), 11645-11650. doi:10.1073/pnas.1710465114
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Questo articolo è parte dell’iniziativa Covering Climate Now, collaborazione su scala mondiale di oltre 300 punti di vendita di tutto il mondo per incrementare la copertura mediatica sul clima.
Articolo originale: https://news-mongabay-com.mongabay.com/2019/09/nature-based-climate-action-no-longer-the-forgotten-solution/