- La scienza ha sempre più dimostrato l'importanza della conservazione promossa dalle popolazioni indigene e comunità locali e, di conseguenza, i finanziatori hanno iniziato a stanziare risorse finanziarie a favore dell'operato di tali gruppi.
- Nel 2021, durante la conferenza sul clima in occasione della COP26 delle Nazioni Unite, i donatori privati e governativi si sono impegnati a stanziare 1,7 miliardi di dollari per garantire i diritti di proprietà fondiaria delle popolazioni indigene e comunità locali.
- Una recente valutazione effettuata a distanza di un anno dal momento in cui è stato preso tale impegno mostra che solo pochi finanziamenti giungono direttamente alle popolazioni indigene e comunità locali, in quanto spesso passano prima per ONG internazionali, società di consulenza, banche di sviluppo e altri intermediari.
- Ciò vale anche per la maggior parte degli aiuti in favore della conservazione promossa dalle popolazioni indigene e comunità locali. Ora, tuttavia, i donatori e i rappresentanti delle popolazioni indigene e comunità locali stanno cercando di agevolare e aumentare i flussi di finanziamenti in favore delle attività volte a contrastare i cambiamenti climatici e la perdita di biodiversità del pianeta.
Nel 2020, la pandemia di COVID-19 ha colpito le comunità indigene di Cabécar in Costa Rica che si trovavano già in una situazione precaria. Tra le foreste ricche di specie del Territorio Indigeno Cabécar Talamanca, i cambiamenti climatici avevano già iniziato a suscitare il timore degli agricoltori, con aumenti delle temperature, alluvioni e la comparsa di nuovi parassiti. L’organizzazione Kábata Könana (Cabécar per le “donne che difendono la foresta”) ha agito in risposta a tale situazione ridando vita ai metodi tradizionali basati su una maggiore varietà di colture più adatte alle condizioni climatiche locali.
I lockdown causati dalla pandemia hanno frenato i mercati locali, compromettendo risorse significative di materie prime e prodotti utilizzati per fini di sussistenza e di reddito. Con il sostegno dei finanziamenti del ministero della Cultura, Kábata Könana ha sviluppato i mercati online per la vendita e il commercio di decine di varietà di prodotti con le comunità Cabécar e Bribri, un’altra popolazione indigena di Talamanca.
Il progetto ha contribuito a garantire la sicurezza alimentare durante la pandemia e Kábata Könana ha ricevuto il premio Equatore delle Nazioni Unite nel 2021, conferito per le attività sostenibili volte a contrastare la povertà. L’operato del gruppo costituisce una dimostrazione delle potenzialità insite nel sostegno diretto in favore delle comunità indigene ai fini della mitigazione e dell’adattamento climatici, ha dichiarato Levi Sucre Romero, rappresentante Bribri di Talamanca.
Secondo gli attivisti per i diritti sono troppo pochi i finanziamenti forniti direttamente alle organizzazioni guidate da popolazioni indigene, persone di origine africana e comunità locali e sono numerosi gli ostacoli per i finanziamenti diretti. La scienza ha tuttavia dimostrato che le foreste e altri biomi sono più sani quando se ne occupano tali comunità, anche se i loro diritti consuetudinari non sono sempre riconosciuti.
Gli scienziati sia del gruppo intergovernativo sui servizi ecosistemici e sulla biodiversità (“Intergovernmental Panel on Biodiversity and Ecosystem Services”, (IPBES) che del gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite (“Intergovernmental Panel on Climate Change”, IPCC) hanno individuato il ruolo che le popolazioni indigene e comunità locali devono svolgere nell’affrontare le crisi climatiche e della biodiversità. Secondo una relazione del 2022 della Rights and Resources Initiative (RRI), rete globale di istituti universitari e organizzazioni delle popolazioni indigene e comunità locali, nei terreni solitamente gestiti da popolazioni indigene e comunità locali vive circa l’80% della biodiversità globale e oltre un terzo delle foreste intatte rimanenti.
“Abbiamo svolto attività in favore della conservazione”, afferma Nadino Calapucha, giovane rappresentante indigeno della Global Alliance for Territorial Communities (GATC), rete di organizzazioni di popolazioni indigene che gestisce oltre 9,5 milioni di chilometri quadrati di foreste tropicali (più del doppio della superficie dell’Unione europea). “Siamo tutti in grado di realizzare tali progetti in favore della conservazione con o senza finanziamenti e la scienza lo riconosce”.
Calapucha ha tuttavia dichiarato a Mongabay che maggiori finanziamenti diretti potrebbero rendere più incisivo il loro operato.
I leader mondiali riconoscono l’importanza delle popolazioni indigene e comunità locali a livello internazionale e hanno iniziato a dare seguito alle loro dichiarazioni stanziando finanziamenti: nel 2021, in occasione della conferenza sul clima COP26 delle Nazioni Unite a Glasgow (Scozia), cinque paesi e 17 donatori privati si sono impegnati a versare 1,7 miliardi di dollari nell’arco di cinque anni in favore dei diritti di proprietà fondiaria delle popolazioni indigene e comunità locali.
“Le crisi non si risolvono con proclami e parole ma con azioni”, osserva Calapucha.
Tuttavia, solo una quantità esigua dei finanziamenti promessi giunge alle organizzazioni delle popolazioni indigene e comunità locali (meno dell’1% dei finanziamenti relativi al clima, secondo una relazione del 2021 elaborata dalla ONG Rainforest Foundation Norway). Cosa ne è stato dell’impegno storico di 1,7 miliardi di dollari della COP26? Secondo la prima relazione annuale sui finanziamenti, solo il 7% dei circa 322 milioni di dollari versati il primo anno ha raggiunto tali organizzazioni in modo diretto.
Gli osservatori rilevano troppi ostacoli lungo il tragitto che mette i finanziamenti a disposizione di tali organizzazioni. I requisiti amministrativi onerosi, i livelli ridotti di fiducia e comunicazione tra, da una parte, i donatori e, dall’altra parte, le popolazioni indigene e comunità locali nonché altre sfide hanno dato vita a un sistema nel quale sono pochi i progetti portati avanti dalle popolazioni indigene e comunità locali. Solitamente gli aiuti giungono invece attraverso le organizzazioni “intermediarie” che i donatori possono tendenzialmente contattare più facilmente, quali le ONG internazionali, le banche di sviluppo e le società di consulenza.
I rappresentanti delle popolazioni indigene e comunità locali ritengono che, nonostante le carenze, l’impegno riguardante la gestione delle foreste della COP26 abbia oggi dato vita a un nuovo dibattito.
“La portata di tale impegno ha iniziato a cambiare le regole del gioco”, osserva Sucre, che è altresì coordinatore della Mesoamerican Alliance of Peoples and Forests (AMPB) e co-presidente della GATC. L’attenzione è ora prestata a una maggiore flessibilità nei finanziamenti, ai contributi forniti dalle popolazioni indigene e comunità locali riguardo alle priorità di finanziamento e alla riduzione degli ostacoli amministrativi. Il risultato finale, sperano i donatori e i rappresentanti delle popolazioni indigene e comunità locali, consisterà in progetti su misura basati sulle conoscenze e sulle esigenze delle comunità specifiche.
Secondo molti però tale processo richiederà tempo.
Per consentire l’afflusso di una maggiore quantità di denaro alle popolazioni indigene e comunità locali “sono necessarie riforme strutturali e cambiamenti culturali significativi nel modo in cui circolano i finanziamenti, il che non è di facile gestione”, osserva Brian O’Donnell, direttore di Campaign for Nature, gruppo con sede negli Stati Uniti che opera per la conservazione del 30% del pianeta entro il 2030.
Ostacoli nella circolazione dei finanziamenti
Molti finanziamenti, ivi compresa una parte dell’impegno sulla gestione delle foreste del 2021, puntano al rafforzamento dei diritti di proprietà fondiaria delle popolazioni indigene e comunità locali. Il riconoscimento formale dei loro diritti riguardanti gli ambienti naturali che controllano e gestiscono e su cui fanno affidamento apporterà benefici sotto il profilo climatico e della biodiversità, affermano gli attivisti per i diritti. L’aggiunta di una base giuridica ai diritti consuetudinari rivendicati contribuirà probabilmente a incrementare i finanziamenti. Attualmente, tuttavia, i diritti da molto tempo vantati da tali comunità non sono riconosciuti in modo rilevante dalle autorità dei paesi in cui vivono.
“Per noi, è importante che lo Stato riconosca le popolazioni indigene e trasformi [tale riconoscimento] in norme giuridiche”, ha dichiarato Monica Ndoen, inviata speciale del segretario generale dell’Indigenous Peoples Alliance of the Archipelago (AMAN), che rappresenta oltre 2.000 comunità indigene in Indonesia.
Ai fini del conseguimento degli obiettivi globali per la salvaguardia della natura e la limitazione dell’aumento delle temperature, secondo RRI e Campaign for Nature, sarà necessario garantire alle popolazioni indigene e comunità locali il diritto di gestire circa 4 milioni di km2 di foreste tropicali vale a dire una superficie pari circa a quella dell’Unione europea. Il gruppo ritiene che, per un obiettivo di tale portata, sarà necessario stanziare almeno 10 miliardi di dollari entro il 2030.
Oltre delle basi fragili su cui poggiano talvolta le rivendicazioni dei diritti di proprietà fondiaria delle popolazioni indigene e comunità locali, i rappresentanti di tali popolazioni e comunità affermano che le restrizioni agli aiuti limitano la loro capacità di svolgere attività significative, impedendo addirittura in alcuni casi alle loro organizzazioni di ricevere i finanziamenti.
Le sovvenzioni fornite da donatori privati e pubblici necessitano solitamente di un monitoraggio rigoroso dei progetti. I destinatari devono presentare frequenti relazioni sullo stato di avanzamento in inglese, ottenere vari preventivi per gli acquisti effettuati con le donazioni e aprire diversi conti bancari per fini di trasparenza fiscale. Se un donatore presta denaro a un’organizzazione, i tassi di interesse possono essere troppo elevati per le organizzazioni delle popolazioni indigene e comunità locali.
“Tali meccanismi non sono progettati per essere utilizzati da popolazioni indigene e comunità locali”, osserva Sucre a Mongabay. “Sono invece pensati per le ONG [internazionali]”.
Molte popolazioni indigene e comunità locali non possono accedere facilmente ai mercati in cui è possibile chiedere preventivi ai vari fornitori e gli istituti bancari possono trovarsi lontano dalle località dei progetti. In molte comunità, sono poche le persone che padroneggiano la lingua inglese o hanno esperienza in attività di sviluppo.
“Sono necessarie competenze molto specifiche per accedere a tali finanziamenti”, unitamente all’accesso a infrastrutture e strumenti necessari per fini di conformità, afferma Anne Lasimbang, amministratrice e membro fondatore del trust Partners of Community Organizations in Sabah (PACOS) in Malaysia.
È vero che i requisiti previsti dai donatori per le popolazioni indigene e comunità locali possono favorire la capacità di rendere conto del proprio operato e la qualità della programmazione, sostiene Torbjørn Gjefsen, responsabile del team per le politiche di Rainforest Foundation Norway nonché autore principale della relazione del 2021 che rivela la limitatissima quantità di finanziamenti che giungono alle popolazioni indigene e comunità locali. “Così però gli oneri complessivi diventano troppo elevati”.
Ad esempio, le sovvenzioni governative finanziate dai contribuenti necessitano di “un esame approfondito e un’elevata capacità di rendere conto del proprio operato per garantire che tutti i finanziamenti siano spesi in modo efficiente ed efficace nonché per ridurre al minimo il rischio di un uso scorretto dei fondi, indipendentemente da chi ne sia il destinatario”, ha scritto via e-mail a Mongabay Chris Penrose Buckley, consulente di alto livello presso il ministero degli Esteri, del commonwealth e dello sviluppo del Regno Unito.
Le “procedure rigorose riguardanti il dovere di diligenza” possono comportare l’esclusione di qualsiasi organizzazione che non dispone “delle capacità o dei sistemi necessari”, aggiunge Penrose Buckley.
Secondo una relazione commissionata da vari finanziatori che hanno preso l’impegno riguardante la gestione delle foreste in occasione della COP26, le organizzazioni delle popolazioni indigene e comunità locali devono spesso fare affidamento a sovvenzioni limitate e di breve periodo che non forniscono il tipo di sostegno costante necessario per affrontare problemi di grande portata. Gli autori, della società danese Charapa Consult, hanno osservato che solo sei organizzazioni di popolazioni indigene e comunità locali sulle 75 esaminate dispongono di bilanci annuali superiori a 1 milione di dollari. Un’organizzazione in Asia ha comunicato di aver ricevuto finanziamenti da 17 donatori e ha fatto notare le sfide poste dai diversi requisiti di ciascun soggetto finanziatore.
I donatori possono diffidare dei rischi associati a sovvenzioni più significative, relativi alla possibile corruzione o cattiva gestione dei finanziamenti. Una parte dello sviluppo di AMAN, organizzazione gestita da popolazioni indigene dell’Indonesia, si è basata sulla creazione di una linea programmatica che stabilisce le modalità per contrastare la corruzione nell’utilizzo dei finanziamenti, qualora tale circostanza dovesse presentarsi, afferma Ndoen.
Valérie Courtois è direttrice di Indigenous Leadership Initiative, organizzazione canadese che sostiene i dirigenti e promuove lo status di nazione, nonché membro della “nazione Innu”. Ritiene che le popolazioni indigene canadesi abbiano dovuto affrontare problemi di questo tipo nell’attrazione dei finanziamenti.
“È opinione diffusa… che le popolazioni indigene non siano brave a gestire il denaro, sebbene nulla possa essere più distante dalla realtà”, osserva Courtois in base alla sua esperienza in Canada.
Secondo Penrose Buckley è necessario “un aumento esponenziale” della capacità richiesta per gestire i finanziamenti provenienti da governi e finanziatori privati nonché per accedervi.
Nadino Calapucha concorda con tale osservazione.
“C’è urgente necessità di finanziamenti globali, sì, per i progetti in favore della conservazione”, ha dichiarato Calapucha a Mongabay. Ha però aggiunto: “abbiamo altresì bisogno di impegni finanziari per lo sviluppo di capacità che ci permettano di disporre di strutture valide”.
AMAN ha ad esempio ricevuto denaro nel 2017 dalla iniziativa Building Institutions and Networks della Ford Foundation che ha contribuito a fornire sistemi di comunicazione, l’accesso a Internet e computer per le organizzazioni delle popolazioni indigene e comunità locali in Indonesia.
Ruolo degli intermediari
In alcuni casi, è possibile che le popolazioni indigene e comunità locali non desiderino finanziamenti diretti, afferma Kevin Currey, responsabile dei programmi presso la Ford Foundation. Possono preferire partenariati con intermediari “in quanto ciò le sgrava degli oneri e consente loro di focalizzarsi sul lavoro da svolgere”.
Quando le ONG assumono tale ruolo, possono consentire alle organizzazioni delle popolazioni indigene e comunità locali di concentrarsi sul lavoro per i progetti chiave, ha dichiarato O’Donnell di Campaign for Nature. In qualità di intermediaria tra i donatori e i partner della sua comunità, la sua organizzazione è spesso maggiormente in grado di occuparsi della comunicazione e di rendere conto ai donatori di quanto viene effettuato.
“Non vorrei che le comunità indigene [passassero] la maggior parte del loro tempo a cercare di capire la struttura fiscale negli Stati Uniti o in Europa”, confida a Mongabay.
Tuttavia, secondo quanto rilevato dall’RRI in alcune delle proprie ricerche sul modo in cui le popolazioni indigene e comunità locali percepiscono il sostegno degli intermediari, il rapporto non è sempre vantaggioso, afferma Bryson Ogden, responsabile per i diritti e i mezzi di sussistenza presso l’RRI.
“L’altra faccia della medaglia consiste nel fatto che, in alcuni casi, [gli intermediari] potrebbero inserire le proprie priorità nei progetti che stanno approvando”, aggiunge Ogden. “Potrebbero assorbire quote eccessive di finanziamenti per coprire spese generali e costi di altro tipo”.
O’Donnell ha dichiarato che un approccio adottabile dalle ONG internazionali consiste nella riduzione o eliminazione della quantità di denaro che ricevono per il loro rapporto con le popolazioni indigene e comunità locali. Campaign for Nature ha recentemente operato in partenariato con GATC e RRI nella richiesta di sovvenzioni rivolta a Bezos Earth Fund. Se la proposta dovesse essere accettata, Campaign for Nature non riceverà alcun finanziamento. Dovrà però sostenere i partner delle sue popolazioni indigene e comunità locali nel progetto e “dare in una certa misura conto di quanto viene svolto per garantire che le sovvenzioni siano utilizzate in modo efficace”, aggiunge O’Donnell.
Alcune organizzazioni delle popolazioni indigene e comunità locali, come il trust PACOS in Malaysia, possono comunque voler condividere la responsabilità per il soddisfacimento dei requisiti stabiliti dai donatori per poter essere maggiormente autosufficienti nel lungo periodo, ha dichiarato Lasimbang, amministratrice del trust. L’esternalizzazione delle attività necessarie per rispettare i requisiti fissati dai donatori alle ONG o alle società di consulenza porta solitamente a buoni risultati, afferma, “ma così non si sviluppano conoscenze e non si matura esperienza”.
Incoraggiare i partner a sviluppare conoscenze e maturare esperienza costituisce un’attività importante che possono svolgere gli intermediari, ha dichiarato a Mongabay Monica Ndoen di AMAN. Rainforest Foundation Norway è stata per molto tempo partner di AMAN. Alla fine però l’associazione di popolazioni indigene indonesiane ha iniziato a ricevere finanziamenti diretti dal governo norvegese. Ndoen ritiene in effetti che l’organizzazione sia stata in grado di “promuoversi” e di stabilire un rapporto diretto con i donatori.
“Ecco cosa dovremmo fare: cercare di sviluppare capacità in seno a tali organizzazioni affinché noi diventiamo obsoleti”, ha dichiarato Gjefsen in merito al ruolo degli intermediari.
“Scambio di ruoli”
Secondo molti osservatori, le popolazioni indigene e comunità locali non dovrebbero costituire l’unica parte del sistema da cambiare.
“Quali cambiamenti devono avvenire tra i donatori?” si chiede Ogden di RRI. “Forse è una domanda da… 1,7 miliardi di dollari”, dice riferendosi all’impegno riguardante la gestione delle foreste della COP26.
I soggetti che si oppongono alla struttura attuale ritengono che sia fondata su un approccio che va dal vertice alla base e perpetui uno squilibrio tra le priorità.
Kennedy Odede è l’amministratore delegato di Shining Hope for Communities (SHOFCO) in Kenia, da lui definita un “movimento popolare”. Sottolinea che lo sviluppo di capacità delle popolazioni indigene e comunità locali è “una scusa” per mantenere il paradigma che vede il controllo del denaro e delle modalità di spesa nelle mani dei donatori. Tale approccio crea oneri per le organizzazioni delle popolazioni indigene e comunità locali che devono osservare le condizioni poste dai donatori, anche se sono perfettamente al corrente dei problemi che deve affrontare il pianeta, aggiunge Odede.
Cita a titolo esemplificativo le recenti alluvioni in Pakistan causate dai cambiamenti climatici. Da altre parti, aggiunge, “le persone muoiono a causa della siccità che colpisce le comunità locali”.
Spesso però, le priorità dei finanziamenti (e i requisiti per accedervi) sono determinate in occasione di incontri delle commissioni governative e di riunioni nei paesi ricchi, con contributi scarsi, o addirittura assenti, da parte dei membri delle popolazioni indigene e comunità locali, affermano i soggetti che si oppongono al sistema attuale.
“È una modalità neocolonialista di gestire i rapporti”, dichiara a Mongabay Fernando Matthias Baptista, consulente strategico brasiliano di Rainforest Foundation Norway. “Sono un donatore, ho i soldi, detto le regole. Se si vuole avere accesso al denaro, va bene, ma queste sono le regole”.
Odede afferma che i donatori devono prendere atto della discriminazione sistemica che ha luogo con il sistema attuale.
“Per consentirci di compiere cambiamenti significativi e di intavolare discussioni schiette, devono riconoscere che, sì, siamo stati condizionati”, sostiene Odede. “È una questione di cessione del potere”.
“È una questione di scambio dei ruoli e di cambio nei soggetti che gestiscono i dialoghi e le discussioni con i donatori”, afferma Kevin Currey della Ford Foundation. “Dobbiamo continuare a semplificare i nostri sistemi e renderli più flessibili”.
Ndoen di AMAN ha ribadito la necessità di una migliore comunicazione.
“Se si desidera discutere dell’accesso ai finanziamenti in favore del clima per le popolazioni indigene, dovrebbe essere previsto un dialogo diretto con tali popolazioni”, ritiene Ndoen, aggiungendo che i donatori “devono occuparsi della parte scomoda del lavoro”.
“Quando incontriamo i donatori, diciamo loro sempre di visitare le comunità delle popolazioni indigene in modo tale da conoscere le situazioni concrete”, aggiunge.
Consentire ai rappresentanti delle popolazioni indigene e comunità locali di partecipare agli incontri internazionali quale il recente vertice della COP27 a Sharm el-Sheikh (Egitto) affinché possano interagire faccia a faccia con i donatori e le ONG internazionali può costituire l’occasione per intavolare discussioni, affermano i rappresentanti delle comunità indigene.
Penrose Buckley afferma che il ministero degli Esteri, del commonwealth e dello sviluppo del Regno Unito nonché gli altri donatori che hanno preso l’impegno riguardante la gestione delle foreste della COP26 hanno organizzato riunioni periodiche con le organizzazioni delle popolazioni indigene e comunità locali al fine di promuovere la comunicazione e la capacità di rendere conto del proprio operato.
Le popolazioni indigene e comunità locali hanno cominciato ad adoperarsi per aumentare il proprio accesso ai finanziamenti dei progetti mediante la creazione di fondi regionali come il fondo Mesoamerican Territorial Fund in Messico e America latina e il fondo Nusantara Fund in Indonesia, che in cambio forniscono finanziamenti alle organizzazioni delle comunità. Tali meccanismi consentono ai donatori di fornire un’unica donazione a un fondo centralizzato anziché sovvenzioni singole e di minore entità a centinaia o migliaia di organizzazioni di popolazioni indigene e comunità locali.
Sono in corso attività di più ampia portata svolte dalle popolazioni indigene e comunità locali finalizzate a migliorare sia le comunicazioni che l’accesso ai finanziamenti, quale l’ecosistema di finanziamento degli Shandia, che comprende i fondi Mesoamerican Territorial Fund e Nusantara Fund.
“Si tratta in realtà di una questione di spazio da offrire ai donatori affinché finanzino direttamente le popolazioni indigene”, ha dichiarato Ndoen, come pure della possibilità di instaurare rapporti con le organizzazioni di popolazioni indigene e comunità locali presenti in altre parti del mondo e di trarre insegnamenti da esse.
In Brasile, il fondo per le popolazioni indigene del Rio Negro, Rio Negro Indigenous Fund, funge da tramite per il denaro donato dalla Norvegia. Secondo l’Instituto Socioambiental (ISA), che collabora con la federazione delle organizzazioni di popolazioni indigene del Rio Negro, la prima donazione di circa 182.000 dollari ha finanziato 15 progetti incentrati sulla sostenibilità, sulla sicurezza alimentare e sulla cultura promossi dalle popolazioni indigene nella regione.
Campaign for Nature e RRI hanno operato in favore di un altro portale per i finanziamenti dei donatori, denominato “Community Land Rights and Conservation Finance Initiative” (CLARIFI), finalizzato a fronteggiare “la complessità dei contesti finanziari e giuridici” per le popolazioni indigene e comunità locali, ha dichiarato O’Donnell.
In modo analogo, l’“organizzazione basata sulla cooperazione” Forests, People, Climate annunciata in occasione della COP27 di novembre riunisce i finanziatori e le ONG con l’obiettivo di porre fine alla deforestazione attraverso finanziamenti in favore delle organizzazioni delle popolazioni indigene e comunità locali.
Forests, People, Climate ha come obiettivo la creazione di un’infrastruttura che diriga i finanziamenti alle popolazioni indigene e comunità locali, «fondamentalmente un sistema per la “circolazione” di tali finanziamenti», ha dichiarato in un’e-mail Lindsey Allen, amministratrice di Climate and Land Use Alliance, membro di Forests, People, Climate.
“Partner, non beneficiari”
Il cambiamento necessario non riguarda comunque solo l’ottenimento di maggiori somme di denaro a livello locale, affermano i rappresentanti delle comunità indigene. Riguarda anche il modo in cui i gruppi di popolazioni indigene e comunità locali interagiscono con i donatori e le organizzazioni intermediarie.
Le popolazioni indigene sono spesso considerate “beneficiarie”, osserva Nadino Calapucha. “Ma non vogliamo essere beneficiari. Desideriamo essere partner”.
Secondo Ndoen, è importante raggiungere un livello di parità con i donatori. “Non desideriamo una situazione in cui ci forniscono denaro e noi lavoriamo per loro”.
Valérie Courtois di Indigenous Leadership Initiative ritiene che il Canada abbia fornito un “ottimo esempio” di tale tipo di rapporto.
Nonostante la triste storia con il governo canadese, Indigenous First Nations ora coopera con il governo nazionale alle iniziative in favore della conservazione. Tale organizzazione svolge un ruolo fondamentale nella gestione e protezione delle regioni artiche e boreali vaste e scarsamente popolate, che ospitano le foreste intatte più grandi del mondo, attraverso il programma per le guardie indigene.
Nel 2018, il Dehcho dei Territori del Nord-Ovest in Canada ha protetto 14.218 km2 di territori importanti sotto il profilo culturale. È una superficie pari quasi a quella del parco nazionale del Serengeti in Tanzania e ospita paludi e specie animali selvatiche tra cui si contano alci, caribù e bisonti. Nel marzo 2022, il governo canadese ha seguito i consigli della nazione Dehcho e ha riconosciuto ufficialmente lo status di parco nazionale Edéhzhíe National Wildlife Area per tali territori. I due governi hanno concordato che le guardie di Dehcho K’éhodi debbano prendere pienamente parte alla gestione dell’Edéhzhíe.
“Quando i finanziamenti vanno direttamente alle nazioni e ciò avviene in modo tale da riconoscere le nazioni in quanto tali”, afferma Courtois, “i successi sul campo tendono ad aumentare”.
Il programma di sorveglianza e le altre forme di collaborazione forniscono posti di lavoro e danno un impulso economico alle comunità remote, afferma Courtois. Hanno però anche modificato il rapporto tra le nazioni. Il governo canadese ora collabora con le comunità indigene per la protezione dell’ambiente, anziché progettare programmi di aiuto unidirezionali in favore di tali comunità.
“Al Canada non verrebbe mai in mente di programmare qualcosa per gli Stati Uniti”, afferma Courtois. “Lo stesso vale per le nazioni indigene in seno al Canada. Preferiamo affrontare la situazione sulla base di un partenariato”.
Secondo Courtois, la motivazione con cui operano tali comunità è tanto importante quanto lo è l’operato stesso delle guardie. Questa motivazione deriva da “un obbligo di responsabilità nei confronti del nostro rapporto con la terra”, che spesso è sacra.
“Non saremmo qui se non fosse per il nostro ambiente e siamo consapevoli di tale valore”, rileva Courtois.
Il mondo si sta svegliando lentamente rendendosi conto delle modalità in cui le popolazioni indigene e comunità locali interagiscono con il loro ambiente, affermano gli attivisti dei diritti delle popolazioni indigene, in gran parte perché ciò può costituire la migliore possibilità di sopravvivenza nelle crisi climatiche e della biodiversità.
“La comunità globale ci sta chiedendo di recuperare la nostra sapienza ancestrale”, afferma Calapucha, “gli insegnamenti che i nostri nonni e nonne ci hanno trasmesso”.
I rappresentanti di tali comunità si dicono pronti ad aiutare. Ora non chiedono altro che il sostegno del mondo.
“Noi, popolazioni indigene e comunità locali siamo pronti a discutere. Siamo disponibili a metterci al lavoro. Siamo disponibili ad affrontare le questioni importanti da trattare”, osserva Levi Sucre. “Se le persone hanno buona volontà, se i finanziatori hanno buona volontà, ce la faremo”.
Immagine del banner: rappresentante indigeno Arhuaco in un’area precedentemente adibita alla produzione di coca in Colombia. Immagine di Rhett A. Butler/Mongabay.
John Cannon è uno scrittore della redazione di Mongabay. È presente su Twitter: @johnccannon
Articolo originale: https://news-mongabay-com.mongabay.com/2022/11/despite-pledges-obstacles-stifle-community-climate-and-conservation-funding/